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Nicholas Sparks
OGNI GIORNO DELLA MIA VITA
Titolo dell'opera originale: At First Sight. Traduzione di Alessandra Petrelli. Copyright (c) 2005 by Nicholas Sparks. (c) 2006 Edizioni Frassinelli. Edizione Mondolibri S.p. A., Milano. su licenza Edizioni Frassinelli. www.mondolibri.it In copertina: foto (c) Agenzia Corbis.
L'autore.
Nicholas Sparks è autore dei bestseller Il posto che cercavo, Un cuore in silenzio e Come un uragano e inoltre di Le pagine della nostra vita, Le parole che non ti ho detto, I passi dell'amore, Un segreto nel cuore, Quando ho aperto gli occhi e Come la prima volta. Insieme con suo fratello Micah ha scritto anche la commovente autobiografia Tre settimane, un mondo. Tutti i suoi libri sono stati tra i bestseller del "New York Times", hanno avuto grande risonanza internazionale e sono stati tradotti in più di trenta lingue. Da tre di essi, Le parole che non ti ho detto, I passi dell'amore e Le pagine della nostra vita sono stati tratti film di successo. Nicholas Sparks vive nel North Carolina con la moglie ed i figli. Per maggiori informazioni visitate il sito www.nicholas-sparks. com. AVVERTENZA. Questo romanzo è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto dell'immaginazione dell'autore o sono usati in modo fittizio. Qualsiasi riferimento a fatti, luoghi o persone, esistenti o esistite, è puramente casuale.
A Miles, Ryan, Landon, Loie e Savannah.
RINGRAZIAMENTI. Denise Di Novi, la mia santa patrona nel mondo di Hollywood, è una benedizione nella mia vita. Howie Sanders e Dave Park, agenti cinematografici della United Talent Agency, continuano a occuparsi dei miei romanzi con grande efficienza professionale. Jennifer Romanello ed Edna Farley, dell'ufficio stampa, sono favolose e bravissime. In effetti, sono due tesori, ed è grazie a loro che posso ancora incontrare i miei lettori. Lynn Harris e Mark Johnson, produttori del film tratto da Le pagine della nostra vita, sono e resteranno sempre miei amici. Scott Schwimer, il mio avvocato, ha un gran cuore, ma anche la straordinaria capacità di fare in modo che ogni contratto sia come deve essere. La mia gratitudine va anche a Flag, che crea le copertine delle edizioni originali; a Harvey-Jane Kowal, responsabile della revisione del testo, e a Shannon ÒKeefe, Sharon Krassney e Julie Barer. Per concludere, vorrei ringraziare il dottor Rob Patterson, che mi ha spiegato la sindrome da costrizione congenita delle bande amniotiche. Se sono riuscito a scriverne correttamente, è tutto merito suo; eventuali errori vanno attribuiti a me. E poi Todd Edwards, che ha recuperato il file del romanzo dopo che è andato in tilt il mio computer. Il suo tempestivo intervento è stato provvidenziale. Infine, ringrazio Dave Simpson, Philemon Gray, Slade Trabucco e gli atleti della squadra di corsa della New Bern High School, che ho avuto il piacere di conoscere ed allenare per le gare olimpiche della categoria juniores. Grazie di avermi dato il meglio.
Prologo. Febbraio 2005. Esiste davvero l'amore a prima vista? Seduto in salotto, si rifece la domanda per la centesima volta. Fuori, il sole invernale era tramontato da un pezzo. Un velo di nebbia grigiastra si andava infittendo e, a parte il lieve battere di un ramo contro la finestra, intorno a lui tutto era silenzio. Ma non era solo in casa e, d'impulso, si alzò dal divano, imboccò il corridoio e si affacciò alla porta della camera da letto. Mentre la guardava dormire, considerò l'idea di sdraiarsi accanto a lei, se non altro per chiudere gli occhi per un po. Aveva bisogno di riposare, però non voleva rischiare di addormentarsi. La vide muoversi nel sonno e la sua mente tornò al passato. Ripensò agli eventi che li avevano portati fin lì. Chi era lui allora? E adesso? Sembrava facile rispondere. Si chiamava Jeremy Marsh, aveva quarantadue anni, era figlio di padre irlandese e madre italiana, e si guadagnava da vivere scrivendo articoli per riviste scientifiche. Questo era quanto diceva di solito alla gente. Pur essendo la verità, ogni tanto si chiedeva se non dovesse aggiungere qualcos'altro. Per esempio, avrebbe dovuto accennare al fatto che, cinque anni prima, da New York si era recato nel North Carolina per indagare su un mistero? Che lì, nel giro di poco, si era innamorato non una, bensì due volte della stessa donna? E che la struggente bellezza di quei ricordi si intrecciava alla tristezza, al punto che ancora oggi si domandava quale sentimento alla fine sarebbe prevalso? Si allontanò dalla porta della camera e tornò in salotto. Sebbene non avesse l'abitudine di rimuginare sul passato, neppure evitava del tutto di pensarci. Non poteva cambiare quel
capitolo della sua vita più di quanto non potesse modificare la propria data di nascita. In certi momenti gli sarebbe piaciuto tornare indietro nel tempo per cancellare tutta la tristezza, ma intuiva che, in quel modo, anche la gioia sarebbe diminuita. E questo non lo avrebbe accettato. Era soprattutto nelle ore più buie che gli tornava in mente la notte trascorsa con Lexie al cimitero, quando aveva visto le luci spettrali che era andato lì a studiare. Era stato allora che aveva capito per la prima volta quello che provava per lei. Mentre attendevano nell'oscurità che si verificasse il fenomeno, Lexie gli aveva raccontato una storia della sua infanzia. Gli aveva spiegato che era rimasta orfana da piccola Jeremy lo sapeva già e che, qualche tempo dopo la morte dei genitori, aveva cominciato a soffrire di incubi. Erano sogni terribili e ricorrenti, in cui assisteva all'incidente che era costato la vita a suo padre ed a sua madre. La nonna Doris, non sapendo che altro fare, alla fine l'aveva condotta al cimitero per mostrarle le luci misteriose. Ai suoi occhi di bambina erano sembrate un evento miracoloso, e vi aveva riconosciuto gli spiriti dei suoi genitori che erano venuti a trovarla. Era quello che aveva bisogno di credere, e da allora gli incubi non l'avevano più tormentata. Jeremy era rimasto impressionato dal suo racconto, commosso dalla sua dolorosa perdita e dall'ingenuità delle convinzioni infantili. Più tardi quella notte, però, dopo aver osservato di persona le luci, le aveva domandato cosa pensava che fossero davvero. Lei si era sporta in avanti e aveva sussurrato: "Erano i miei genitori. Probabilmente volevano conoscerti". A quel punto aveva dovuto fare uno sforzo tremendo per non prenderla subito tra le braccia. Da tempo aveva compreso che in quell'istante si era innamorato di lei, e da allora non aveva mai smesso di amarla. Fuori, il vento di febbraio tornò a soffiare con forza. Non vedeva niente oltre l'oscurità lattiginosa e si sdraiò sul divano
con un sospiro di stanchezza, assalito dai ricordi che lo riportavano indietro a quell'anno. Avrebbe potuto scacciare le immagini ma, mentre fissava il soffitto, ancora una volta le lasciò affiorare alla mente. Questo, rammentò, è ciò che accadde dopo.
Capitolo primo. Cinque anni prima. New York, 2000. "Vedi, è semplice", disse Alvin. "Prima s'incontra una ragazza carina, poi la si frequenta per un po per verificare di essere compatibili, confrontandosi sulle grandi decisioni da prendere per la vita in comune. Per esempio, quali parenti si vanno a trovare durante le vacanze, se si preferisce abitare in una villetta o in un condominio, avere un cane oppure un gatto, e chi dei due entra in bagno per primo al mattino. Se si continua ad andare più o meno d'accordo su tutto, ci si sposa. Fin qui mi segui?" "Come no", rispose Jeremy. Era un freddo sabato pomeriggio di febbraio e il suo amico Alvin Bernstein lo stava aiutando a svuotare l'appartamento nell'Upper West Side. Erano ore che stavano imballando roba e c'erano scatoloni dappertutto. Quelli già pieni erano accatastati accanto alla porta d'ingresso, pronti per essere prelevati dalla ditta di traslochi; altri erano sparsi in giro in vari stadi di riempimento. A colpo d'occhio sembrava che un diavolo della Tasmania, irrompendo all'improvviso, si fosse divertito a devastare la casa prima di scomparire in un lampo. Jeremy era incredulo di fronte alla quantità di cose
accumulate nel corso degli anni, un fatto che la sua fidanzata Lexie Darnell aveva sottolineato per tutta la matina. Venti minuti prima lei aveva gettato la spugna ed era uscita a pranzo con la futura suocera, lasciandoli lì a sbrigarsela da soli. "Allora, mi vuoi spiegare che cosa stai facendo?" chiese Alvin. "Esattamente quello che hai detto" "Non è vero. Hai invertito l'ordine. Vuoi arrivare direttamente al solenne "Sì" prima ancora di aver capito se voi due siete fatti l'uno per l'altra. La conosci appena". Jeremy riversò in uno scatolone gli indumenti che stavano in un cassetto. "Ti assicuro che la conosco bene", tagliò corto, sperando che l'altro cambiasse argomento. Alvin raccolse le pile di carte sulla scrivania e le gettò nello stesso scatolone che stava riempiendo Jeremy. Essendo il suo migliore amico, si sentiva in diritto di esprimere fino in fondo la propria opinione. "Voglio parlarti sinceramente, e tu dovresti sapere che la tua famiglia la pensa come me. Il punto è che non conosci abbastanza Lexie per trasferirti laggiù da lei. E men che meno per sposarla. Avete trascorso solo una settimana insieme. Non è come con Maria", aggiunse, riferendosi alla ex moglie di Jeremy. "Ricordo bene che voi due vi eravate frequentati per un anno prima di arrivare al matrimonio" Jeremy tirò fuori le carte dallo scatolone e le rimise sulla scrivania. "E con questo?" "Senti, in che modo reagiresti tu se ti annunciassi che ho appena incontrato una ragazza fantastica, e che ho deciso di rinunciare alla carriera, di abbandonare amici e parenti e di trasferirmi al Sud per sposarla? Per esempio, quella... come si chiama... Rachel?" Rachel lavorava nel ristorante della nonna di Lexie, e Alvin l'aveva conosciuta durante la sua breve visita a Boone Creek.
Si era spinto fino al punto di invitarla a New York. "Ti farei le mie congratulazioni" "Ma per favore! Non ti ricordi che cosa mi hai detto quando volevo sposare Eva?" "Sì, però in quel caso era diverso" "Oh, capisco. Perché tu sei più maturo di me". "Anche, e poi c'è il fatto che Eva non era proprio il tipo di donna da sposare" In effetti, Alvin non poteva dargli torto. Mentre Lexie faceva la bibliotecaria in una cittadina di provincia, e ambiva a mettere su famiglia, Eva era un'artista del tatuaggio di Jersey City. Era lei l'artefice della maggior parte dei disegni che gli ricoprivano le braccia, oltre che dei piercing alle orecchie che lo facevano sembrare un ex galeotto. Ma la cosa non lo aveva turbato minimamente; era stato il convivente della ragazza di cui Alvin ignorava l'esistenza a costringerlo alla fine a interrompere la relazione. "Persino Maria ritiene che questa sia una pazzia" "Glielo hai detto?" "Ma certo. Noi parliamo di tutto". "Sono contento che tu sia rimasto così amico della mia ex moglie. Ma la cosa non riguarda né lei, né te". "Sto solo tentando di farti ragionare. Stai accelerando troppo. Tu non conosci Lexie" "Perché continui a ripeterlo?" "Intendo insistere finché non ammetterai che in realtà siete due estranei" "Che cosa?" "Mi hai sentito. Dimmi qual è il suo secondo nome". Jeremy lo guardò stupito. "E questo che cosa c'entra?" "Niente, ma se stai per impalmarla, non credi che dovresti essere in grado di rispondere alla domanda?" Jeremy aprì la bocca per replicare, poi si rese conto che in effetti non lo sapeva. Lexie non ne aveva mai accennato, né lui
si era preoccupato di chiederglielo. Approfittando della sua esitazione, Alvin proseguì implacabile. "Bene, e che mi dici di altre informazioni basilari? In quale facoltà si è laureata, per esempio? Chi erano i suoi amici all'università? Qual è il suo colore preferito? Le piace il pane bianco od integrale? Quali sono i suoi gusti televisivi e cinematografici? E che genere di libri legge? Almeno sai quanti anni ha?" "Intorno ai trenta", rispose Jeremy vago. "Questo l'ho capito anch'io" "Sono quasi sicuro che abbia trentun anni" "Ne sei "quasi sicuro"? Ma ti rendi conto che è ridicolo? Non puoi sposare una persona di cui non conosci nemmeno l'età" Jeremy aprì un secondo cassetto e lo svuotò in un'altra scatola. Gli era venuto il sospetto che Alvin avesse ragione, ma non voleva ammetterlo. Si limitò a fare un profondo sospiro. "Non sei felice che finalmente io abbia trovato qualcuno?" chiese. "Sono felice per te. Però non credevo che avessi sul serio intenzione di lasciare New York e di sposarla. So che è una donna eccezionale. Lo penso davvero, e se tra un anno o due andrete ancora d'amore e d'accordo, sarò io stesso a trascinarti all'altare. Ma stai affrettando le cose, e non ne vedo il motivo" Jeremy si girò a guardare fuori e scorse i mattoni grigi coperti di fuliggine che incorniciavano le finestre rettangolari dell'edificio adiacente. Immagini sfocate si intravedevano dietro ai vetri: una ragazza che parlava al telefono; un uomo avvolto in un asciugamano che si dirigeva verso il bagno; una donna che stirava davanti alla televisione accesa. In tutto il tempo che aveva abitato lì, non aveva mai scambiato una parola con i suoi vicini. "Lei è incinta", disse infine. Per un attimo Alvin pensò di aver sentito male. Ma notando
l'espressione del suo viso, comprese che l'amico non scherzava. "Aspetta un bambino?" "É una bambina" Alvin cadde sul letto come se le gambe gli avessero ceduto di colpo. "Perché non me lo hai detto prima?" "Lexie non vuole che lo sappia nessuno. Perciò tienitelo per te, capito?" "Sì", rispose lui, perplesso. "Certo". "E c'è un'altra cosa" Alvin alzò lo sguardo, e Jeremy gli posò una mano sulla spalla. "Vorrei che tu fossi il mio testimone di nozze" Com'era potuto accadere? Il giorno seguente, mentre camminava con Lexie nel reparto giocattoli di un grande magazzino, Jeremy faticava a trovare risposta. L'interrogativo non riguardava la gravidanza; quella era una notte che non avrebbe mai dimenticato. Però, a dispetto dell'atteggiamento spavaldo assunto davanti ad Alvin, certe volte aveva l'impressione di recitare una parte in una commedia romantica, in cui tutto poteva succedere e niente era certo fino ai titoli di coda. La catena di eventi che lo aveva portato fin lì era a dir poco bizzarra. A quanti capitava di recarsi in una cittadina di provincia per scrivere un articolo per una rivista scientifica, d'incontrare una bibliotecaria e innamorarsi perdutamente di lei nel giro di pochi giorni? E chi deciderebbe di rinunciare a condurre un programma televisivo e di lasciare New York per trasferirsi a Boone Creek, nel North Carolina, una località che era solo un puntino sulla carta geografica? Questo non significava che avesse dei ripensamenti. Al contrario, osservando Lexie che sceglieva tra i mucchi di Big Jim e di Barbie un regalo da portare ai numerosi nipoti del suo fidanzato, Jeremy si sentiva più sicuro che mai della decisione
presa. Sorrise, immaginando il genere di esistenza che lo aspettava. Cenette tranquille, lunghe passeggiate, risate e coccole sul divano davanti alla televisione. Belle cose, di quelle che contano davvero. Non era tanto ingenuo da credere che loro due non avrebbero mai litigato, ma confidava che avrebbero felicemente superato ogni tempesta, giungendo alla conclusione che erano fatti l'uno per l'altra. Nell'insieme, la vita sarebbe stata meravigliosa. Mentre Lexie era concentrata nella scelta, Jeremy si sorprese a fissare un'altra coppia in piedi accanto a una montagna di peluche. In realtà era difficile non notarli. Entrambi sulla trentina, erano vestiti in modo elegante; lui aveva l'aspetto di un agente di Borsa o di un avvocato, e lei sembrava il tipo che passa i pomeriggi da Bloomingdales. Tenevano appesi al braccio sacchetti di vari negozi. Il brillante che sfoggiava la donna era grosso quanto una biglia; niente a che vedere con l'anello di fidanzamento che lui aveva appena comperato per Lexie. Notando la loro aria frastornata, suppose che i due fossero abituati a portarsi dietro la tata quando uscivano con i bambini. Ora sembrava che non sapessero proprio che pesci pigliare. La neonata nella carrozzina piangeva disperata, emettendo suoni acuti e penetranti. Nello stesso momento, il fratellino maggiore sui quattro anni urlava più di lei, e di colpo si buttò per terra. I genitori avevano l'espressione allibita e scioccata dei soldati sotto il fuoco nemico. Dietro la facciata impeccabile, erano allo stremo delle forze. Alla fine la donna prese la bambina dalla carrozzina e se la strinse contro la spalla, mentre il marito si chinava su di lei ad accarezzare la schiena della piccola. "Ci penso già io a calmarla!" abbaiò la moglie. "Tu occupati di Elliot!" Costernato, l'uomo si girò verso il figlio, che scalciava e dava pugni per terra, strepitando come un ossesso.
"Smettila subito di fare i capricci!" gli disse in tono severo, agitando un dito. Come no, ubbidirà di sicuro, pensò Jeremy. Elliot nel frattempo era diventato paonazzo e continuava a contorcersi sul pavimento. A quel punto anche Lexie aveva smesso di esaminare i giocattoli e rivolto l'attenzione alla coppia. Era uno spettacolo impossibile da ignorare. La neonata strillava, il bambino strepitava, la moglie gridava al marito di fare qualcosa e l'uomo rispondeva urlando che ci stava provando. Una piccola folla si era riunita attorno alla rumorosa famigliola. Le donne assistevano alla scena con un misto di sollievo e compassione; grazie al cielo non stava capitando a loro, ma capivano quasi sicuramente per esperienza che cosa quei due stessero passando. Gli uomini, d'altro canto, sembravano non desiderare altro che allontanarsi prima possibile da quel frastuono. Elliot sbatté la testa sul pavimento e si mise a ululare ancora più forte. "Andiamocene!" sbottò la madre alla fine. "Cosa credi che stia cercando di fare?" latrò il padre. "Tiralo su" "É ovvio. Non c'è bisogno che tu me lo dica!" gridò lui esasperato. Elliot non voleva essere preso in braccio. Quando il padre lo afferrò, cominciò a divincolarsi come un serpente. Girava la testa da una parte all'altra e scalciava con forza. L'uomo aveva la fronte imperlata di sudore e la bocca contorta per lo sforzo. Il bambino sembrava crescere tra le sue braccia, una specie di mini Hulk che si espandeva per la collera. I genitori riuscirono infine a incamminarsi alla meno peggio, carichi di borse, figli e carrozzina. La folla si aprì come il Mar Rosso e la famiglia svanì dalla vista, lasciandosi dietro l'eco dei pianti e delle grida.
La gente si disperse. "Poveracci", commentò Jeremy. Era allibito. D'un tratto si chiedeva se anche la sua vita sarebbe diventata così nel giro di un paio d'anni. "Hai perfettamente ragione", concordò Lexie, come se temesse la stessa cosa. Jeremy rimase in ascolto finché i lamenti cessarono; la famiglia doveva essere uscita dal grande magazzino. "Nostra figlia non farà mai capricci del genere", dichiarò lui. "Mai" Più o meno consciamente, Lexie si era posata una mano sull'addome. "Non era affatto normale". "E quella coppia sembrava non avere la minima idea di che cosa fare", aggiunse Jeremy. "Hai visto come il marito non sapesse nemmeno che tono usare con il bambino?" "Ridicolo", convenne Lexie. "E come lui e la moglie si rimbeccavano? I bambini avvertono la tensione. Non c'è da stupirsi se poi i genitori non riescono a tenerli a bada" "Ma com'è possibile?" "Forse sono troppo impegnati per avere del tempo da dedicare ai figli" Jeremy, ancora immobile, guardò le ultime persone allontanarsi. "Non era una cosa normale", ripeté. "Lo penso anch'io" E va bene, si stavano illudendo. In fondo al cuore lui e Lexie lo sapevano, ma preferivano far finta di credere che non si sarebbero mai trovati ad affrontare una situazione del genere. Perché loro sarebbero stati più preparati. Più consapevoli, gentili e pazienti. Più affettuosi. E la bambina... be, sarebbe cresciuta in un ambiente tranquillo e armonioso. Non c'erano dubbi in proposito. Avrebbe dormito tutta la notte fin da neonata. Da piccola, li avrebbe entusiasmati con il suo buffo vocabolario e le capacità motorie superiori alla media. Avrebbe attraversato con disinvoltura il campo minato dell'adolescenza, evitando le droghe e le cattive compagnie. Al momento di andarsene da casa, sarebbe stata
una ragazza educata e simpatica; i suoi risultati scolastici le avrebbero assicurato l'ingresso ad Harvard, sarebbe diventata campionessa nazionale di nuoto e, d'estate, avrebbe trovato comunque il tempo di dedicarsi al volontariato. Jeremy rimase aggrappato per un po alle sue fantasie, poi si riscosse. Pur non avendo la minima esperienza come genitore, intuiva che le cose non sarebbero andate così lisce. E poi, stava precorrendo i tempi. Un'ora dopo erano seduti su un taxi bloccato nel traffico mentre si stavano dirigendo nel Queens. Lexie sfogliava il libro Che cosa aspettarsi quando si aspetta che aveva appena comperato, mentre lui guardava il mondo fuori dal finestrino. Era la loro ultima sera a New York, e i suoi genitori avevano organizzato una piccola riunione di famiglia in onore di Lexie. Piccola in senso relativo; con cinque fratelli più le loro mogli e diciannove nipoti, la casa sarebbe stata gremita, come accadeva sempre durante le feste. La prospettiva della cena con i parenti era piacevole, ma Jeremy non riusciva a scrollarsi di dosso l'impressione che gli aveva fatto quella coppia nel grande magazzino. Gli erano sembrati così... normali. A parte l'aria esausta. Si domandò se anche lui e Lexie sarebbero finiti in quel modo, o se in qualche modo sarebbero stati risparmiati. Forse Alvin aveva ragione, rifletté. Almeno in parte. Sebbene adorasse Lexie ne era sicuro, altrimenti non le avrebbe chiesto di diventare sua moglie non poteva certo dire di conoscerla. Era successo tutto molto in fretta, e più ci pensava, più si convinceva che sarebbe stato meglio per loro avere il tempo di entrare piano piano in confidenza. Era già stato sposato una volta e aveva capito che non era facile imparare a vivere assieme a qualcuno. Abituarsi alle piccole manie dell'altro, per esempio. Ne avevano tutti, ma finché non ci si conosceva a fondo, restavano nascoste. Si chiese quali manie avesse Lexie.
Magari era una di quelle donne che prima di andare a dormire si spalmano sul viso una maschera antirughe verde. Sarebbe stato felice di trovarsi davanti un marziano tutte le mattine al risveglio? "Che cosa stai pensando?" gli domandò Lexie. "Come?" "Ti ho chiesto a cosa stai pensando. Hai un'espressione strana" "A niente" Lei lo fissò. "É un niente-niente o c'è sotto qualcosa?" Lui si voltò a guardarla, accigliato. "Qual è il tuo secondo nome?" Nei minuti successivi Jeremy la sottopose alla serie di domande che gli aveva fatto Alvin, e venne a conoscenza dei seguenti fatti: il suo secondo nome era Marin; si era laureata in letteratura inglese; la sua migliore amica all'università si chiamava Susan; il suo colore favorito era il viola; preferiva il pane bianco; alla TV le piaceva guardare Trading Spaces, il reality su come cambiare l'aspetto della casa; trovava irresistibile Jane Austen e avrebbe compiuto trentadue anni il 13 settembre. Ecco qua. Alla fine si appoggiò allo schienale, soddisfatto, mentre Lexie riprendeva a sfogliare il libro. Non lo stava propriamente leggendo, ma scorreva qualche brano qua e là, tanto per farsi un'idea del contenuto. Jeremy si chiese se avesse usato quel metodo anche quando studiava all'università. Come aveva sostenuto Alvin, c'erano molte cose che ignorava di lei. Però alcune le conosceva. Figlia unica, Lexie era cresciuta a Boone Creek. I suoi genitori erano morti in un incidente stradale quando era piccola ed era stata allevata dai nonni materni, Doris e... e... Avrebbe dovuto ricordarsi di chiederle anche il nome del nonno. Comunque, aveva studiato alla University of North Carolina di Chapel Hill, si era innamorata
di un tizio che si chiamava Avery ed era vissuta per un anno a New York, dove aveva lavorato nella biblioteca della New York University. Quando aveva scoperto che Avery la tradiva, era tornata a casa ed era diventata la direttrice della biblioteca locale, lo stesso incarico che aveva ricoperto sua madre. Qualche tempo dopo aveva avuto una storia con un tizio che lei chiamava il Ragazzo di Chicago, il quale un giorno era sparito senza neanche prendersi il disturbo di dirle addio. Da allora aveva condotto una vita tranquilla, uscendo qualche volta con il vicesceriffo, fino a che non aveva incontrato lui. Ah, un'altra cosa: sua nonna Doris che era proprietaria di un ristorante a Boone Creek sosteneva di possedere delle doti paranormali, tra cui la capacità di indovinare il sesso dei nascituri. Così, le aveva detto che aspettava una bambina. Certo, di molti di questi fatti era al corrente chiunque abitasse a Boone Creek, ammise. Ma gli altri sapevano forse che Lexie si scostava i capelli dietro l'orecchio quando era nervosa? O che era una fantastica cuoca? Che se aveva bisogno di una pausa, si rifugiava in un cottage vicino al faro di Cape Hatteras, il luogo dove si erano sposati i suoi genitori? E che, oltre a essere bella e intelligente, con gli occhi viola, un viso ovale vagamente esotico e i capelli scuri, non si era fatta abbindolare dai suoi goffi tentativi di sedurla per portarsela a letto? Gli piaceva che lei non gli lasciasse passare niente, dicendo sempre quello che pensava e contraddicendolo quando riteneva che fosse in errore. Stranamente, riusciva a farlo senza perdere nulla del suo fascino femminile, accresciuto dal marcato accento del Sud. Se poi si aggiungeva che era uno schianto con indosso un paio di jeans attillati, era facile capire perché lui si fosse preso una cotta micidiale. Da parte sua le aveva fornito le informazioni fondamentali, ragionò. Lexie sapeva che era cresciuto nel Queens in una famiglia italo-irlandese ed era il più piccolo di sei fratelli. Che voleva fare il professore di matematica, ma poi era diventato giornalista
e aveva una rubrica su Scientific American, in cui spesso analizzava i fenomeni cosiddetti paranormali. Che era stato sposato con Maria, la quale lo aveva lasciato dopo che i medici avevano dichiarato che lui non avrebbe mai potuto avere figli. Che in seguito si era messo a bazzicare bar e a uscire con un sacco di donne, sempre evitando legami duraturi, come se inconsciamente temesse di non poter essere un buon marito. Che, a trentasette anni, era andato a Boone Creek per indagare sull'apparizione regolare di luci spettrali nel cimitero, nella speranza di ottenere un contratto con Good Morning America, ma in realtà aveva scoperto che riusciva a pensare solo a lei. Avevano trascorso insieme quattro giorni da sogno, ricordò. Poi c'era stata una veemente discussione, ma dopo essere tornato a New York, lui si era reso conto che non poteva più vivere senza Lexie, ed era tornato indietro per dimostrarglielo. Allora lei gli aveva fatto posare la mano sull'addome, e infine lui aveva ritrovato la fiducia nei miracoli... almeno per quanto riguardava quello del concepimento e la possibilità di diventare padre, cosa che aveva ritenuto fino ad allora impossibile. Sorrise, pensando che era davvero una bella storia. Forse persino degna di un romanzo. Il fatto era che anche lei, per quanto avesse cercato di resistere al suo fascino, si era innamorata, rifletté ancora. Guardandola, si chiese perché. Era consapevole di non essere brutto, ma qual era la natura della forza che spingeva due persone l'una verso l'altra? In passato, aveva scritto numerosi articoli sull'attrazione fisica, e conosceva benissimo il ruolo che vi giocavano ferormoni, dopamina e istinti biologici. La scienza, però, non spiegava nemmeno lontanamente i suoi sentimenti per Lexie. O quello che lei provava nei suoi confronti. Né lui riusciva a spiegarselo in un altro modo razionale. Sapeva solo che, per qualche oscuro motivo, loro due si completavano a vicenda,
e che aveva l'impressione di aver camminato per gran parte della vita lungo una strada che portava inesorabilmente a Lexie. Era un'idea romantica, persino poetica, eppure lui non era mai stato incline al sentimentalismo. Forse c'era un altro motivo per pensare che lei era la donna giusta. Perché gli aveva aperto il cuore e la mente a nuove emozioni e a nuove idee. Quale che fosse la ragione, comunque, mentre era in taxi con la sua incantevole fidanzata sentiva di poter affrontare con animo sereno quello che il futuro aveva in serbo per loro. Allungò il braccio e le strinse la mano. Che importanza aveva che lui stesse lasciando il suo appartamento di New York e mettendo a repentaglio la sua carriera per trasferirsi in mezzo al nulla? E che fosse in procinto di andare incontro a un anno in cui avrebbe dovuto organizzare un matrimonio, trovare casa e prepararsi all'arrivo di un figlio? Quanto sarebbe stata dura?
Capitolo secondo. Si era dichiarato il giorno di San Valentino in cima all'Empire State Building. Non era stato molto originale, ma dopo tutto la proposta di matrimonio non era già di per sé un atto convenzionale? Avrebbe potuto compierlo stando seduto, in piedi, in ginocchio o sdraiato. A pranzo od a cena, a casa o altrove, con o senza candele, vino, albe, tramonti, o qualunque altro elemento romantico di contorno. Non c'era un modo più giusto per farlo, perciò non aveva senso stare a preoccuparsi troppo di deluderla. Naturalmente, Jeremy sapeva che alcuni uomini se ne inventavano di tutte striscioni trainati in cielo da un aereo, cartelloni pubblicitari affissi sulla via dell'amata, l'anello che saltava
fuori alla fine di un'esaltante caccia al tesoro ma era sicuro che Lexie non fosse tipo da pretendere stravaganze. E poi, il panorama di Manhattan sotto di loro era mozzafiato e bastava ricordarsi bene tutti i passaggi il motivo per cui desiderava trascorrere il resto della vita con lei, la presentazione dell'anello, la proposta e il gioco era fatto. In fondo non era del tutto una sorpresa. Non ne avevano mai parlato prima apertamente, ma il fatto che lui volesse trasferirsi a Boone Creek e alcune frasi in prima persona plurale che aveva udito nelle ultime settimane non lasciavano dubbi in proposito. Della serie: dovremmo comperare una culla di vimini da mettere accanto al nostro letto, oppure: dobbiamo andare a trovare i tuoi genitori. Dato che Jeremy non aveva mai contraddetto tali affermazioni, si poteva sostenere che Lexie avesse già avanzato una specie di proposta da parte sua. Nonostante questo, lei si mostrò entusiasta. Il suo primo impulso, dopo averlo abbracciato e baciato, era stato di telefonare a Doris per comunicarle la notizia, e la conversazione si era protratta per venti minuti. Jeremy avrebbe dovuto immaginarselo, ma non gli dispiacque. A dispetto della sua calma apparente, il fatto che lei avesse accettato davvero di sposarlo lo aveva profondamente emozionato. Era successo qualche giorno prima e ora, mentre erano seduti nel taxi, Jeremy guardò l'anello al dito di Lexie. Era piuttosto contento di aver compiuto il grande passo e di essersi fidanzato, perché quella condizione gli dava su di lei dei diritti esclusivi. Per esempio, poteva baciarla. Sporgersi sul sedile e baciarla proprio in quel preciso istante. Lexie non si sarebbe offesa, anzi, lo avrebbe apprezzato. Prova a farlo con una sconosciuta e vedi cosa ti succede, pensò Jeremy. L'idea lo riempì di soddisfazione. Lexie, da parte sua, fissava fuori dal finestrino con aria preoccupata. "Che cosa c'è?" le chiese.
"E se non piaccio ai tuoi?" "Ti troveranno adorabile, vedrai. É naturale. E poi, sei andata d'accordo con mia madre ieri, quando siete uscite a pranzo insieme, no? Hai detto che eravate in sintonia" "Lo so", rispose lei poco convinta. "Allora, qual è il problema?" "E se pensano che voglia portarti via da loro?" gli chiese. "Forse tua madre, anche se si è comportata in modo gentile, in fondo nutre del risentimento nei miei confronti" "Non è così, te lo assicuro. E ti ripeto che devi stare tranquilla. Tanto per cominciare, non sei tu a portarmi via. Me ne vado da New York perché preferisco stare con te, e loro lo capiscono. Fidati, ne saranno felici. Sono anni che mia madre mi dà il tormento perché non mi sposo" Lei strinse le labbra, assorta. "E va bene", disse. "Ma non voglio che sappiano che sono incinta" "E perché?" "Si faranno un'idea sbagliata" "Prima o poi lo scopriranno comunque" "Lo so, ma non deve essere per forza stasera, giusto? Lascia che prima mi conoscano meglio. Dai loro modo di abituarsi all'idea che intendiamo sposarci. É già uno choc sufficiente per il momento. Al resto penseremo dopo". "D'accordo", rispose lui. "Come vuoi". Si appoggiò al sedile. "Ma tanto perché tu lo sappia, anche se la notizia dovesse trapelare, non ci sarebbero problemi" Lei lo guardò perplessa. "E come potrebbe succedere? Non glielo avrai già detto, vero?" "No, certo che no. Però l'ho accennato ad Alvin". "Alvin?" ripeté Lexie impallidendo. "Scusami, mi è sfuggito. Ma non preoccuparti, non lo racconterà a nessuno" Lei esitò, poi annuì riluttante. "Va bene". "Non accadrà più", le garantì Jeremy, prendendola per mano. "E non c'è motivo di essere nervosi"
Lei si sforzò di sorridere. "É facile dirlo per te". Lexie tornò a voltarsi verso il finestrino. Ci mancava solo quello, pensò. Possibile che fosse tanto difficile mantenere un segreto? Sapeva che lui non aveva agito con cattive intenzioni, e che Alvin sarebbe stato discreto, ma non era questo il punto. Jeremy non riusciva proprio a immaginarsi in che modo la sua famiglia poteva reagire a una notizia simile. Di sicuro erano persone ragionevoli sua madre le aveva fatto un'ottima impressione e probabilmente non l'avrebbero accusata di essere una poco di buono, ma già l'idea di un matrimonio così affrettato avrebbe suscitato qualche perplessità. Ne era convinta. Bastava mettersi nei loro panni. Fino a sei settimane prima lei e Jeremy non si conoscevano nemmeno e adesso dopo un uragano che aveva travolto tutto si erano ufficialmente Fidanzati. Una decisione a dir poco sorprendente. E se avessero scoperto che era incinta? Allora sì che avrebbero capito. Invece di credere che lui l'amasse veramente, sarebbero giunti alla conclusione che la sposava soltanto per quel motivo. E non appena loro due se ne fossero andati, si sarebbero messi a discutere della faccenda. Erano una famiglia molto unita, all'antica, che si riuniva un paio di volte al mese. Non glielo aveva raccontato proprio lui? Lei non era un'ingenua. E di cosa si parlava in famiglia? Ma degli affari di famiglia! Gioie e dolori, successi e delusioni... Se Jeremy si fosse lasciato sfuggire la notizia, più che il fidanzamento si sarebbero messi a commentare la gravidanza, se non altro per chiedersi ad alta voce se lui sapeva quello che stava facendo. O peggio, se lei in quel modo non lo avesse preso in trappola. Naturalmente, poteva sbagliarsi. Magari ne sarebbero stati felicissimi. Magari avrebbero trovato del tutto normale la situazione e creduto che la loro decisione di sposarsi non
dipendesse dal fatto che lei era incinta. Sì, e magari se sbatteva le braccia sarebbe riuscita a volare. Non voleva problemi con i parenti acquisiti, si disse. Certo, in genere non si poteva fare niente per evitarli, però non era certo ansiosa di partire con il piede sbagliato. E poi doveva ammettere che, al posto loro, anche lei avrebbe nutrito qualche dubbio. Il matrimonio era un passo importante per qualsiasi coppia, figurarsi poi per due che si conoscevano appena. Pur senza metterla in imbarazzo, quel giorno a pranzo la mamma di Jeremy l'aveva osservata e valutata, come avrebbe fatto qualsiasi buona madre. Lei aveva cercato di dare il meglio di sé, e alla fine la donna l'aveva salutata affettuosamente. Un buon segno, o almeno un buon inizio, lo ammetteva. Ma ci sarebbe voluto del tempo perché l'accogliessero nel clan. A differenza delle altre nuore, lei non sarebbe stata nei paraggi e per un po sarebbe rimasta in prova, finché non fosse stato dimostrato che Jeremy non aveva commesso un errore. Sarebbe passato un anno, o forse due, e magari avrebbe potuto accelerare il processo scrivendo e telefonando regolarmente... Ricordarsi di comprare la carta da lettere, prese nota mentalmente. Per essere del tutto sincera, tuttavia, anche lei era un po sconvolta dalla rapidità con cui stavano accadendo le cose. Jeremy era davvero innamorato? E lei? Nelle ultime due settimane si era ripetuta quelle domande almeno una decina di volte al giorno, e si era data sempre la medesima risposta. Sì, aspettava un figlio da lui, ma non avrebbe acconsentito a sposarlo se non fosse stata convinta che potevano essere felici insieme. E lo sarebbero stati. Vero? Si chiese se anche Jeremy fosse tormentato dagli stessi dubbi. Probabilmente sì, non poteva essere altrimenti. Ma sembrava molto più rilassato di lei, e questo la stupiva. Forse dipendeva dal fatto che era già stato sposato una volta, oppure che era stato lui il cacciatore durante la settimana passata a Boone
Creek. Ma quale che fosse la ragione, le era sempre sembrato più sicuro circa il loro rapporto, il che era strano, considerando che si definiva uno scettico. Si voltò a guardare la sua chioma scura e la fossetta sul mento, e rimase soddisfatta da ciò che vide. Ricordò di averlo trovato attraente fin dalla prima volta che lo aveva visto. Che cosa aveva detto Doris subito dopo averlo conosciuto? Lui è diverso da come immagini. Bene, pensò, ora avrebbe scoperto com'era veramente. Furono gli ultimi ad arrivare. Lexie era ancora agitata mentre si avvicinavano alla porta, e si fermò sui gradini d'ingresso. "Ti adoreranno", la tranquillizzò lui. "Fidati di me". "Stammi vicino, d'accordo?" "E dove dovrei andare, se no?" Non fu terribile come Lexie aveva temuto, anzi, lei sembrava così a suo agio che nonostante la promessa di starle vicino Jeremy si ritrovò sulla veranda posteriore a battere i piedi per scaldarsi, mentre guardava il padre armeggiare con il barbecue. A quell'uomo piaceva talmente tanto cucinare all'aperto, che non si curava del tempo. Da bambino lo aveva visto spalare via la neve da sopra la griglia e poi scomparire dentro una bufera, per riapparire mezz'ora dopo con un piatto pieno di bistecche cotte a puntino e due ghiaccioli al posto delle sopracciglia. Jeremy avrebbe preferito rimanere dentro, però sua madre gli aveva chiesto di fargli compagnia. Suo padre aveva avuto un infarto un paio di anni prima e bisognava stare attenti che non prendesse troppo freddo. Sarebbe uscita lei stessa, ma con trentacinque persone stipate nella villetta, sembrava di stare in un manicomio. C'erano quattro pentoloni sui fornelli, i posti a sedere in salotto erano tutti occupati dai suoi fratelli, e i nipoti imperversavano nel sottoscala. Sbirciando dalla finestra, Jeremy si accertò che la sua fidanzata fosse tranquilla. Fidanzata. Una parola dal suono decisamente strano, si disse.
Non era tanto l'idea di averne una a fargli effetto, quanto il sentirselo ripetere in continuazione dalle cognate. Appena entrati, prima ancora che Lexie avesse modo di togliersi il cappotto, Anna e Sophia li avevano accolti sulla soglia con frasi che contenevano quell'espressione. "Era ora di farci conoscere la tua fidanzata!" "Non credi che dovresti offrire qualcosa da bere alla tua fidanzata?" I fratelli, dal canto loro, cercavano in tutti i modi di evitarla. "Allora tu e Lexie, eh?" "Si è divertita Lexie qui a New York?" "Raccontami come voi due vi siete incontrati" Doveva essere una cosa da donne, decise Jeremy, dal momento che lui, come i fratelli, non aveva ancora pronunciato quella parola. Si chiese se fosse il caso di scrivere un pezzo sul fenomeno, ma poi concluse che il suo direttore non l'avrebbe pubblicato, sostenendo che non era un argomento abbastanza serio per Scientific American. Il che, per uno che prediligeva gli articoli su UFO e yeti, era tutto dire. Anche se era stato gentile a permettergli di continuare a collaborare con la rivista da Boone Creek, lui non avrebbe sentito la sua mancanza. Si strofinò le braccia, mentre il padre girava una bistecca. Il naso e le orecchie gli erano diventati rossi. "Passami un piatto, per favore. La mamma li ha lasciati sulla balaustra. Gli hot dog sono quasi pronti" Jeremy afferrò il piatto e si avvicinò. "Non senti che freddo fa qua fuori?" "Freddo? Questo non è niente. E poi, la brace mi riscalda". Usava ancora la carbonella, il che lo rendeva uno degli ultimi esemplari di una razza in via di estinzione. Un anno, per Natale, Jeremy gli aveva regalato un grill a gas, che era finito a prendere la polvere in garage finché suo fratello Tom non se l'era portato via. Il padre cominciò a sistemare la carne sul piatto.
"Non ho ancora avuto occasione di parlarle con calma, ma Lexie mi sembra una ragazza a posto" "Lo è, papà" "Bene, te lo meriti. Sai, Maria non mi era mai piaciuta", gli confidò. "Fin dall'inizio, mi dava l'impressione di avere qualcosa che non andava" "Avresti dovuto dirmelo" "Tanto non mi avresti ascoltato. Credevi di sapere sempre tutto, ricordi?" "Che cosa ne pensa la mamma di Lexie? Che impressione ha avuto ieri a pranzo?" "Le è piaciuta. Sostiene che saprà tenerti in riga". "E questo è positivo?" "Detto da lei, è un gran complimento" Jeremy sorrise. "Qualche consiglio da darmi?" Il padre posò il piatto prima di rispondere. "No, non te ne servono. Sei adulto, ormai. E sei in grado di decidere da solo. Inoltre, non saprei cosa suggerirti. Sono sposato da quasi cinquant'anni, eppure in certi casi non capisco ancora per quale ragione sia nervosa tua madre" "É consolante" "Ti ci abituerai" Si schiarì la gola. "Ehi, però forse un consiglio posso dartelo" "E cioè?" "Veramente sono due. Primo, non reagire male se Lexie si arrabbia. Succede a tutti, quindi lascia perdere". "E secondo?" "Telefona a tua madre. Spesso. Ha pianto ogni giorno da quando ha saputo che ti trasferirai. E non prendere l'accento del Sud, mi raccomando. Lei mi ha confidato che a volte fatica a comprendere quello che dice Lexie" Jeremy rise. "D'accordo, lo prometto".
Capitolo terzo. "Non è andata tanto male, vero?" chiese Jeremy qualche ora più tardi, mentre erano diretti al Plaza. Visto lo stato del suo appartamento, aveva deciso di prenotare una camera d'albergo per quella notte. "É stato fantastico. Hai una famiglia speciale. Adesso capisco perché non ti sei mai voluto spostare" "Continuerò a vederli spesso, quando dovrò venire qui nella redazione della rivista" Lei annuì. Mentre si dirigevano verso il centro, osservò i grattacieli e il flusso delle macchine intorno a sé, meravigliandosi di quanto tutto fosse grande ed in movimento. Pur avendo abitato lì in passato, si era dimenticata della folla, dell'altezza degli edifici e del frastuono. Era tutto così diverso da Boone Creek, veramente un altro mondo. L'intera popolazione della sua cittadina avrebbe occupato solo un isolato di New York. "Ti mancherà questa città?" Lui guardò fuori dal finestrino prima di rispondere. "Un po", ammise. "Ma tutto quello che ho sempre desiderato è al Sud" E dopo un'ultima, favolosa notte al Plaza, cominciarono la loro nuova vita. Il mattino seguente, quando i primi raggi di luce cominciarono a filtrare tra le tende, Jeremy si svegliò e osservò Lexie. Dormiva supina, i capelli castani sparsi sul cuscino. In sottofondo si udiva il rumore attutito del traffico: colpi di clacson e motori che acceleravano lungo Fifth Avenue. Con quello che costava, la suite avrebbe dovuto essere insonorizzata, considerò lui. Comunque, non poteva lamentarsi. Lexie l'aveva apprezzata molto. Le erano piaciuti gli alti soffitti e la boiserie, la cortesia e la professionalità del cameriere che aveva portato in camera fragole al cioccolato e succo di mela, la vestaglia imbottita e le comode pantofole, la morbidezza del materasso... Tutto quanto, insomma.
Sfiorandole i capelli, pensò a quanto fosse bella sdraiata lì accanto. Per fortuna non si era spalmata sul viso una maschera antirughe, né si era messa i bigodini o un orrendo pigiama e, soprattutto, prima di coricarsi non era rimasta chiusa in bagno mezz'ora, come tendevano a fare le donne. Si era limitata a sciacquarsi il viso e a spazzolarsi i capelli, poi gli si era rannicchiata vicino nel letto. In fondo la conosceva, a dispetto di quello che affermava Alvin. Certo, non sapeva ancora tutto di lei, però non c'era fretta. Con il tempo sarebbero emersi i vari aspetti della loro personalità, e a poco a poco avrebbero trovato un modo per conciliarli. Oh, prevedeva già delle sorprese lungo il cammino ce n'erano sempre ma facevano parte della vita di coppia. Alla fine, Lexie avrebbe conosciuto il Jeremy autentico, quello libero dal peso di dover fare sempre buona impressione. Sentiva che con lei avrebbe potuto essere se stesso, un uomo a cui a volte piaceva starsene in casa con la tuta a sgranocchiare popcorn davanti alla televisione. Intrecciò le mani dietro la testa, pervaso dalla contentezza. Lei avrebbe amato il suo vero io. Oppure no? Si accigliò, assalito all'improvviso dal dubbio che Lexie non si rendesse perfettamente conto di ciò in cui si stava cacciando. Manifestare il suo vero io forse non era una buona idea, si disse. Non che avesse un'opinione negativa di sé, ma come tutti aveva le sue... manie, e lei avrebbe impiegato un po ad abituarcisi. Avrebbe scoperto, per esempio, che non riabbassava la tavoletta del water. Non lo aveva mai fatto: e se questo le avesse dato molto fastidio? Ricordava che era stato un grosso problema per una delle sue ex. E che cosa avrebbe pensato accorgendosi che, a volte, si mostrava più preoccupato per i risultati della sua squadra di pallacanestro che per qualche catastrofe avvenuta nel mondo? Oppure che, quando gli cadeva del cibo per terra, lo raccoglieva e se lo mangiava? Quello era il vero lui, ma se lei non ne fosse stata troppo entusiasta?
Se avesse considerato tali atteggiamenti come insopportabili difetti? E se... "Che cosa stai pensando?" La voce di Lexie interruppe le sue riflessioni. "Hai l'aria di uno che ha inghiottito un insetto" Si accorse che lo fissava. "Non sono perfetto, sai" "E questo cosa significa?" "Ti sto solo dicendo apertamente che ho dei difetti" Lei sembrava divertita. "Ma davvero? E io che pensavo che tu potessi camminare sulle acque!" "Non sto scherzando. Dovresti sapere a che cosa vai incontro. Prima di sposarci" "Nel caso volessi ripensarci?" "Esatto. Ho delle piccole manie". "Per esempio?" Ci pensò un attimo e decise di partire da quelle meno gravi. "Lascio aperto il rubinetto quando mi lavo i denti. Non capisco perché, ma è così, e non credo di riuscire a cambiare" Cercando di restare seria, lei fece un cenno d'assenso. "Penso di poterlo accettare" "E a volte, ti avverto, apro il frigo e resto lì davanti per un po a cercare di decidere che cosa devo prendere. So che in questo modo esce l'aria fredda, ma non riesco a evitarlo" Lei annuì di nuovo, sempre più divertita. "Capisco. Qualcos'altro?" "Non mangio i biscotti rotti. Quando nella scatola restano solo quelli, li butto via. É uno spreco, però per me hanno un sapore diverso" "Mmm", fece Lexie. "Sarà dura, ma riuscirò a passarci sopra" Lui increspò le labbra, chiedendosi se fosse il caso di parlarle anche della tavoletta del water. Sapendo che per certe donne
quello era un tasto delicato, decise di rimandare. "Non ti disturbano troppo queste cose?" "No" "Davvero?" "Affermativo" "E se ti dicessi che mi taglio le unghie dei piedi a letto?" "Adesso non esagerare" Lui sorrise, stringendola a sé. "Mi ami anche se non sono perfetto?" "Ma certo" Incredibile, pensò. Mentre stavano arrivando a Boone Creek nel cielo cominciarono ad apparire le stelle, e il primo pensiero di Jeremy fu che lì tutto era rimasto identico. Sembrava di essere tornati indietro nel tempo di cento, se non addirittura trecento anni. Da quando avevano lasciato l'aeroporto di Raleigh, il paesaggio ai lati della superstrada ricordava quello del film Ricomincio da capo. Fattorie diroccate, campi abbandonati, magazzini di tabacco cadenti, filari d'alberi... per chilometri e chilometri. Solo di tanto in tanto avevano incontrato qualche insediamento dall'aria anonima. Però, in compagnia di Lexie il viaggio non era stato così noioso. Lei sembrava di ottimo umore ed a mano a mano che si avvicinavano a casa sua o meglio, a casa loro la sua allegria era aumentata. Avevano trascorso le ultime due ore a parlare di quello che era successo a New York, ma lui aveva colto la sua espressione decisamente soddisfatta quando infine avevano oltrepassato il fiume Pamlico. Jeremy ricordava che, la prima volta che era stato lì, aveva faticato parecchio a orientarsi. Il bivio dove bisognava svoltare per dirigersi verso la città era fuori dalla superstrada, e lui aveva superato l'uscita più vicina e si era dovuto fermare a guardare la cartina. Una volta imboccata Main Street, però, era
rimasto subito affascinato. Scrollò il capo, correggendosi mentalmente. Stava pensando a Lexie, non alla città, si disse. Sebbene pittoresca come lo sono le cittadine di provincia, Boone Creek era tutt'altro che affascinante. Almeno a prima vista. Rammentò che quello gli era sembrato un luogo in lento ma inesorabile declino. Il centro era costituito solo da pochi isolati, dove c'erano molti negozi con le assi inchiodate sulle vetrine e vecchi edifici dall'intonaco scrostato. Un tempo prospera e vivace, da quando la miniera di fosforo e la tessitura erano state chiuse Boone Creek lottava per sopravvivere. Non si sapeva ancora se ce l'avrebbe fatta, ma se era lì che Lexie voleva vivere, a lui bastava, concluse. E poi, una volta superata l'impressione di una "città quasi fantasma", il luogo era davvero pittoresco alla maniera del Sud, con le liane attorcigliate attorno ai rami degli alberi. Alla confluenza del torrente Boone con il fiume Pamlico, una passerella di legno permetteva di ammirare le barche a vela che solcavano le acque, mentre, secondo l'azienda turistica locale, le azalee ed i sanguinelli piantati in giro erano "un'esplosione di colori vivaci, di una bellezza paragonabile solo all'oceano di foglie autunnali che si accendono ogni ottobre" Qualunque cosa volesse dire. Nonostante tutto, però, era la gente a rendere il posto speciale, o almeno così sosteneva Lexie. Come molti di coloro che abitavano in piccoli centri, lei tendeva a considerare i concittadini come la sua famiglia. Jeremy non le aveva mai fatto notare che spesso la "famiglia" comprende anche qualche parente un po fuori di testa, e che in quel caso non era dîverso. In città davano un significato molto particolare al termine "originale" Oltrepassò il Lookilu, il ritrovo abituale del dopolavoro, poi la pizzeria e il barbiere; dietro l'angolo si ergeva il massiccio edificio in stile neogotico che ospitava la biblioteca della contea, dove lavorava Lexie. Quando imboccarono la via che conduceva da Herbs, il ristorante di sua nonna, lei si raddrizzò sul sedile. Per ironia del destino, era stata proprio Doris a far venire
Jeremy lì la prima volta. Come sensitiva della città, faceva parte della schiera dei cosiddetti tipi originali. Jeremy vide che da Herbs c'erano le luci accese. L'edificio, un'ex dimora vittoriana, si stagliava in fondo alla via. C'erano molte macchine parcheggiate nelle vicinanze. "Credevo che il ristorante fosse aperto solo al mattino e all'ora di pranzo" "Infatti" Ripensando alla piccola "riunione informale" organizzata dal sindaco in onore della sua precedente visita alla quale aveva partecipato praticamente tutta la città Jeremy s'irrigidì. "Non dirmi che ci stanno aspettando" Lexie rise. "No. Che tu lo creda o meno, il mondo non ruota intorno a noi. É il terzo lunedì del mese". "E che cosa significa?" "C'è il consiglio cittadino. E dopo giocano a bingo". Jeremy sbatté gli occhi. "A bingo?" Lei assentì. "É l'unico modo per convincere la gente a partecipare all'assemblea" "Ah", fece lui pensieroso. Non dare giudizi, si ammonì. Si tratta semplicemente di un altro mondo. Che importa se nessuno di tua conoscenza ha mai fatto niente del genere? Notando la sua espressione, Lexie sorrise. "Non pensare male. Non vedi quante macchine? Prima che iniziassero a giocare a bingo gli abitanti non ci venivano. Ci sono premi in palio, e un rinfresco" "Lasciami indovinare. Un'idea del sindaco Gherkin?" Lei rise. "E chi altri?" Il sindaco Gherkin era seduto sul fondo della sala, dietro un lungo tavolo. Al suo fianco c'erano due membri del consiglio comunale, un avvocato dall'aria emaciata e un corpulento dottore. All'angolo c'era Jed, seduto a braccia conserte con espressione truce. Energumeno di proporzioni ragguardevoli, aveva una folta barba e una chioma di capelli arruffati che ricordavano
la pelliccia di un mammut. Era logico, pensò Jeremy, in quanto Jed non era soltanto il proprietario del Greenleaf Cottages l'unica struttura alberghiera della città ma anche un tassidermista. Così lui aveva dovuto dormire per una settimana in uno dei suoi bungalow, circondato da un piccolo zoo di animali impagliati. La stanza era affollata. La gente gremiva i tavoli sui quali erano state distribuite le cartelle del bingo e segnava freneticamente le caselle mentre Gherkin parlava al microfono. Una nuvola di fumo di sigaretta era sospesa nell'aria, nonostante i ventilatori in funzione sul soffitto. La maggior parte dei presenti indossava tute da lavoro, camicie a quadri e berretti con visiera, e Jeremy aveva l'impressione che si rifornissero tutti dallo stesso emporio. Vestito di nero dalla testa ai piedi come un vero newyorchese lui si sentiva un po fuori luogo. Sopra il frastuono, si udiva la voce del sindaco. "B-11... N-26..." A ogni numero chiamato l'agitazione della folla cresceva. Quelli che non disponevano di un tavolo tenevano le cartelle appoggiate ai davanzali e sul muro; cestini di frittelle venivano passati in giro, come se i presenti avessero bisogno di grassi per calmare i nervi nella loro avida corsa per la vittoria. Lexie e Jeremy si fecero largo tra la ressa e scorsero Doris che riempiva un vassoio. Poco più in là Rachel, la civettuola cameriera del locale, scacciava il fumo con la mano. Diversamente da New York, Boone Creek sembrava non avere niente contro quel vizio, che era popolare quanto il bingo. "Sbaglio, o sento una marcia nuziale?" esclamò il sindaco in quel momento. Di colpo il frastuono dei giocatori si interruppe e si udì solo il ronzio dei ventilatori a pale. Tutti si erano voltati a guardare Lexie e Jeremy. Lui non aveva mai visto in vita sua tante sigarette accese tutte insieme. Ricordando come salutava la gente da quelle parti, fece un cenno del capo e agitò la mano.
I presenti ricambiarono il saluto. "Fate largo... devo passare..." Era la voce di Doris. Ci fu un po di trambusto mentre le persone si scostavano, e infine la donna si fermò davanti a loro. Abbracciò la nipote, e poi continuò a spostare lo sguardo tra lei e Jeremy. Con la coda dell'occhio, lui vide che gli altri la imitavano, come se stessero partecipando a quella riunione di famiglia. Il che, vista la loro vicinanza, era plausibile. "Chessorpresa", esclamò Doris, con il tipico accento strascicato di una autentica donna del Sud. "Non vi aspettavo così presto" Lexie indicò il fidanzato. "Non ha mai staccato il piede dall'acceleratore. Per lui, i limiti di velocità sono un suggerimento più che una regola vera e propria" "Buon per te, Jeremy" Doris gli strizzò l'occhio. "Oh, quante cose abbiamo da dirci! Voglio sapere tutto della vostra settimana a New York. E allora, dov'è l'anello di cui mi hai parlato?" Gli sguardi di tutti si posarono su Lexie. Molti allungarono il collo, mentre lei alzava la mano. Si levò qualche esclamazione di meraviglia e la folla si strinse intorno a loro per vedere meglio. Jeremy sentì qualcuno che gli alitava sul collo. "Questo sì che è un anello come si deve", commentò una voce. "Alza un po di più la mano, Lexie", chiese qualcun altro. "Sembra proprio uno di quei magnifici zirconi che vendono nelle aste televisive", osservò una donna. Per la prima volta Lexie e Doris sembrarono rendersi conto di essere al centro dell'attenzione. "Va bene, va bene... lo spettacolo è finito", disse Doris. "Lasciatemi parlare in privato con mia nipote. Ora allontanatevi, per favore" Con qualche mormorio di protesta, la folla cercò di indietreggiare, ma non c'era posto per farlo. La maggior parte delle
persone si limitò a strusciare i piedi. "Andiamo di là", propose allora Doris. Prese per mano Lexie e si allontanò, con Jeremy che faticava a starle dietro. Si rifugiarono nel suo ufficio dietro la cucina. Una volta dentro, Doris tempestò di domande la nipote. Lexie le raccontò tutto sulla Statua della Libertà, Times Square e naturalmente l'Empire State Building. Più si addentravano nella conversazione, più il loro accento del Sud si faceva marcato e, per quanti sforzi facesse, Jeremy non riusciva a seguire i loro discorsi. Capì che Lexie aveva trovato simpatica la sua famiglia, ma non rimase molto lusingato quando lei disse che la serata le aveva ricordato una scena di La famiglia Bradford, con tutti quegli eccentrici personaggi. "Dev'essere stato un vero spasso", commentò la nonna. "Adesso fammi vedere meglio quell'anello" Lexie alzò di nuovo la mano, gongolante come una scolaretta. Doris intercettò lo sguardo di Jeremy. "Lo hai scelto da solo?" "Con un piccolo aiuto" "É stupendo" In quel momento Rachel infilò la testa nell'ufficio. "Ciao, Lexie; ciao, Jeremy. Mi dispiace interrompervi, ma le frittelle stanno per finire, Doris. Vuoi che ne prepari ancora?" "Magari sì. Ma aspetta... prima di andare, guarda un po questo" Sembrava che a tutte le donne piacesse ammirare l'anello, più ancora di quanto amassero pronunciare la parola "fidanzata" Rachel si avvicinò. Con i capelli rossi e la figura slanciata era bella come sempre, anche se Jeremy notò che aveva l'aria stanca. Lei e Lexie si conoscevano dai tempi della scuola, quando erano amiche del cuore, e sebbene si frequentassero ancora era impossibile non farlo in una cittadina così piccola i loro rapporti si erano un po raffreddati dopo che Lexie era andata
all'università. "É bellissimo", disse Rachel osservando l'anello. "Congratulazioni, Lexie. E anche a te, Jeremy. In città non si è parlato d'altro da quando si è saputa la notizia" "Grazie, Rachel", rispose l'amica. "Come vanno le cose con Rodney?" Rodney era un vicesceriffo con la passione per il sollevamento pesi. Corteggiava Lexie da quando erano ragazzi, e non era rimasto affatto contento che lei infine si fosse messa con un forestiero. Subito dopo lui aveva cominciato a uscire con Rachel, ma Jeremy sapeva che quel tipo non lo vedeva affatto di buon occhio. Rachel distolse lo sguardo. "Vanno". A quel punto Lexie preferì non insistere. Rachel, imbarazzata, si scostò una ciocca di capelli dal viso. "Sentite, mi piacerebbe molto rimanere qui a parlare con voi, ma di là è un inferno. Non so perché permetti al sindaco di usare il ristorante per le sue assemblee, Doris. La gente impazzisce per le frittelle ed il bingo. Allora, ci vediamo dopo, con più calma". Non appena lei se ne fu andata, Lexie si rivolse alla nonna. "C'è qualcosa che non va?" "Oh, c'è stata un po di maretta tra Rachel e Rodney", rispose Doris, liquidando la questione con un gesto della mano. "Spero non per colpa mia" "No, no, certo che no", assicurò la nonna, ma Jeremy non le credette. Sospettava che Rodney fosse ancora innamorato di Lexie. Non era facile farsi passare le cotte nemmeno da adulti e sembrava proprio che quel litigio fosse coinciso con la notizia del loro fidanzamento. "Eccovi qui!" esclamò il sindaco Gherkin, interrompendo le sue riflessioni. Era un uomo obeso e pelato, senza il minimo gusto per gli accostamenti in fatto di vestiti. Quella sera indossava dei pantaloni di poliestere color viola, una camicia gialla
e una cravatta a pois. Politico consumato, parlava a raffica senza mai tirare il fiato... era un vero uragano di parole. E infatti, proseguì: "Vi nascondevate nel retro, eh... Se non vi conoscessi bene, direi che volevate svignarvela in segreto, privando questa città della cerimonia che si merita" Avanzò con tutta la sua mole, afferrò la mano di Jeremy e la agitò su e giù con foga. "É un piacere rivederla, un vero piacere", disse, e poi riprese il discorso. "Pensavo alla piazza centrale tutta illuminata, oppure proprio sulla scalinata della biblioteca. Con un po di fortuna e un pizzico di organizzazione, potremmo riuscire ad avere il governatore. É un mio amico e, se il periodo coincidesse con la sua campagna elettorale, ecco, chissà" Jeremy si schiarì la voce. "Non abbiamo ancora parlato del matrimonio, ma in linea di massima avevamo in mente qualcosa di più intimo" "Intimo? Sciocchezze. Non capita tutti i giorni che uno dei nostri cittadini più eminenti sposi una celebrità come lei, sa" "Sono un giornalista, non una celebrità. Credevo avessimo chiarito questo..." "Non faccia il modesto, Jeremy. Mi sembra già di vederla..." Socchiuse gli occhi, immaginandosi la scena. "Oggi, articoli su Scientific American, domani il suo talk show personale, trasmesso in mondovisione proprio qui da Boone Creek, North Carolina" "Dubito fortemente..." "Deve pensare in grande, ragazzo mio. Non bisogna rinunciare ai propri sogni. In quel modo, Colombo non sarebbe mai salpato per il Nuovo Mondo, né Rembrandt avrebbe preso in mano un pennello" Gli diede una pacca sulla schiena, poi si chinò in avanti e baciò Lexie sulla guancia. "E lei è più graziosa del solito. Il fidanzamento le dona proprio, non c'è dubbio, mia cara" "Grazie, Tom", rispose Lexie. Doris alzò gli occhi al cielo ed era sul punto di spingere fuori il sindaco, quando lui tornò a rivolgersi a Jeremy.
"Le spiace se parliamo un attimo di affari?" Non aspettò nemmeno una risposta. "Bene, come primo cittadino non posso esimermi dal chiederle se ha intenzione di scrivere un pezzo su Boone Creek, adesso che vive qui. Potrebbe essere una buona idea, non crede? Anche per la città. Per esempio, lo sa che tre giganteschi pesci gatto sono stati pescati proprio nel torrente Boone? Si tratta di esemplari assolutamente fuori dal comune. L'acqua deve possedere qualche qualità magica". Jeremy era allibito. Si immaginava la faccia del suo direttore mentre leggeva il titolo: "Pesca mirabolante nelle acque magiche" Era fuori discussione. Stava già correndo dei rischi con la decisione di lasciare New York, e aveva lo strisciante sospetto che se avesse compiuto dei passi falsi non gli avrebbero rinnovato il contratto di collaborazione. Non che gli servisse quell'introito; guadagnava bene con gli articoli che scriveva come freelance per altre testate, e aveva fatto ottimi investimenti nel corso degli anni, ma era la rubrica su Scientific American a dargli prestigio. "Veramente, ho già preparato gli articoli per le prossime sette uscite della rivista. Comunque, terrò presente la storia dei pesci gatto giganti per il futuro" Il sindaco annuì, soddisfatto. "Bene, ragazzo mio. E ora voglio darle ufficialmente il benvenuto in città. Non so dirle quanto sia felice che lei abbia scelto di risiedere nella nostra bella comunità. Adesso, però, devo tornare di là. Ho lasciato Rhett a estrarre i numeri, ma dato che sa leggere a stento, temo che possa commettere qualche errore, e far scoppiare una rivolta. Chissà come reagirebbero le sorelle Garrison se pensassero che c'è stato uno sbaglio" "La gente prende sul serio il bingo", commentò Doris. "Parole sante. Adesso, se volete scusarmi, il dovere mi chiama" Con un rapido dietro front notevole, considerata la stazza dell'uomo il sindaco uscì dalla stanza. Doris sbirciò oltre la
porta per accertarsi che non stesse arrivando nessun altro, poi si rivolse a Lexie e indicò il suo addome. "Come stai?" Mentre le due donne parlavano a bassa voce della gravidanza, Jeremy si ritrovò a riflettere sulle motivazioni che spingevano la gente ad avere dei figli. Sapeva che molti erano consapevoli delle responsabilità che ciò comportava. Osservando i fratelli e le cognate, aveva capito che la vita cambiava moltissimo con l'arrivo di un bambino; non si poteva più dormire fino a tardi nei weekend, o decidere di uscire a cena all'ultimo momento. Ma loro sostenevano che non aveva importanza, perché consideravano il ruolo di genitore come puramente altruistico, una condizione in cui si era disposti a fare sacrifici per il bene della prole. E non erano gli unici a pensarla così. Lui aveva notato che a Manhattan questa concezione spesso veniva portata all'eccesso. Tutti i genitori che conosceva si preoccupavano che i figli frequentassero delle buone scuole, avessero dei bravi insegnanti di pianoforte, partecipassero alle gare sportive, e infine si iscrivessero alle università più esclusive. Ma questo altruismo non era in realtà un atto egoistico? Ecco dove stava l'ambiguità, pensò Jeremy. Dopo tutto, avere un figlio era il passo successivo più logico in una relazione stabile tra due persone, ma anche la risposta ad un desiderio profondamente radicato e segreto di dar vita ad una versione miniaturizzata di sé. Come se il mondo non potesse fare a meno della presenza di un'altra creatura così speciale. E tutto il resto? I sacrifici per mandarlo all'università? Era sicuro che queste cose interessassero soprattutto ai genitori. In altre parole, era giunto alla conclusione che la maggior parte di loro volesse creare un altro sé, ma migliore, perché a nessuno piacerebbe dover dire agli amici: "Oh, il mio Jimmy se la cava alla grande. É fuori in libertà condizionata e ha quasi smesso di drogarsi" No, era preferibile poter rispondere: "Emmett ha appena terminato il master in microbiologia e già guadagna bene,
inoltre il New York Times ha pubblicato un articolo sulle sue ricerche più recenti che potrebbero portare a una cura contro il cancro" Naturalmente, questo non era il caso suo e di Lexie, pensò con un certo orgoglio. Perché quella gravidanza non era stata programmata. Quando era successo, non stavano pensando a "un piccolo te e me", né si era trattato del passo in avanti più logico nel rapporto, visto che tecnicamente non avevano ancora nemmeno stabilito una relazione. No, la loro bambina era stata concepita nella spontaneità e nella tenerezza, senza l'egoismo degli altri genitori. Ciò significava che il loro atteggiamento era sinceramente altruistico, e Jeremy si augurava che alla lunga questo avrebbe dato alla figlia la spinta fondamentale per essere accettata ad Harvard. "Va tutto bene?" chiese Lexie. "Non hai spiccicato parola da quando siamo usciti da Herbs" Alle dieci erano finalmente arrivati a casa di lei, un bungalow martoriato dalle intemperie che confinava sul retro con un boschetto di pini. Jeremy guardava fuori dalla finestra le cime degli alberi oscillare nella brezza; al chiaro di luna gli aghi sembravano d'argento. Lexie era rannicchiata sul divano tra le sue braccia. Sul tavolino, la fiamma tremolante di una candela illuminava un piatto di avanzi che Doris aveva preparato per loro. "Pensavo alla bambina", disse Jeremy. "Davvero?" chiese lei, piegando la testa di lato. "Sì. Perché? Tu non lo fai mai?" "Non volevo dire questo. Però mi è sembrato che ti fossi estraniato quando Doris e io ne parlavamo. Allora, cosa stavi pensando?" Lui la strinse a sé, decidendo che era meglio evitare il termine egoista. "Che nostra figlia sarà molto fortunata ad averti come madre" Lei sorrise, poi si voltò a guardarlo. "Spero che erediti la tua
fossetta" "Ti piace?" "L'adoro. Ma vorrei avesse i miei occhi". "Che cos'hanno di sbagliato i miei?" "Niente" "Sappi che mia mamma li trova bellissimi" "Anch'io. Su di te sono seducenti... però non voglio che la nostra bambina abbia occhi così intriganti" Lui rise. "E che altro?" Lei lo fissò, assorta. "Vorrei avesse anche i miei capelli, il mio naso e il mio mento" Si scostò una ciocca dietro l'orecchio. "E la mia fronte" "La tua fronte?" Lei annuì. "Sì. Tu hai una ruga tra le sopracciglia". Lui se la toccò istintivamente con un dito, come se non l'avesse mai notata prima. "É per il fatto che aggrotto la fronte". Fece una smorfia. "Visto? Mi capita quando mi concentro molto. Tu non vuoi che nostra figlia pensi?" "E tu vuoi che lei abbia le rughe?" "Ecco... no, ma dovrebbe prendere solo la fossetta da me?" "Che ne diresti delle orecchie?" "A quelle non ci fa caso nessuno" "Io le tue le trovo deliziose" "Dici sul serio?" "Sono magnifiche. Ho sentito gente elogiare la perfezione delle tue orecchie" Lui rise. "Allora vada per le mie orecchie. Il resto del viso è tuo. E poi?" "E se ci fermassimo qui? Non oso pensare come reagiresti se ti dicessi che vorrei avesse anche le mie gambe. Mi sembri molto suscettibile in questo momento" "Non sono suscettibile. Ma sai, ritengo di avere dell'altro da offrire, oltre alle orecchie ed alla fossetta. E le mie gambe... per tua informazione, hanno fatto girare più di una testa" Lei ridacchiò. "D'accordo, d'accordo, ti sei spiegato",
rispose. "Invece, che cosa pensi a proposito del matrimonio?" "Stai cambiando argomento?" "Dovremo pur parlarne. Immagino che vorrai avere voce in capitolo" "Credo che lascerò a te quasi tutte le decisioni" "Pensavo di farlo celebrare vicino al faro. Sulla spiaggia davanti al cottage" "Mi ricordo", disse lui, sapendo che si riferiva al faro di Cape Hatteras, il luogo dove si erano sposati i suoi genitori. "É una riserva naturale, perciò dovremo chiedere l'autorizzazione. Potremmo fissare la data entro l'inizio dell'estate. Non mi va di farmi fotografare con il pancione" "Per me va bene. Dopo tutto, non vuoi che qualcuno capisca che sei incinta. Che cosa direbbe la gente?" Lei rise. "Allora non hai opinioni riguardo alle nozze? Niente di speciale che avevi sempre sognato?" "Veramente no. Se invece mi chiedi che cosa vorrei per l'addio al celibato, è un'altra questione..." Lei gli diede un pizzicotto affettuoso. "Stai attento, sai..." Poi tornò ad appoggiarsi a lui e aggiunse: "Sono contenta che tu sia qui" "Anch'io" "Quando hai intenzione di andare a vedere qualche casa?" Quelle improvvise svolte nella conversazione rammentavano a Jeremy che la sua vita aveva subito un drastico e repentino cambiamento. "Come, scusa?" "Vedere qualche casa. Dovremo comprarne un'altra, lo sai". "Credevo che saremmo rimasti qui" "Qui? Ma è troppo piccolo. Dove metterai il tuo studio?" "Nella seconda camera da letto", rispose. "C'è un sacco di spazio" "E la bambina? Dove dormirà?" Ah, già, la bambina. Incredibile che se ne fosse dimenticato per un istante. "Tu hai in mente qualcosa?"
"Mi piacerebbe una casetta vicino all'acqua, se per te va bene" "D'accordo" Con espressione quasi sognante, lei proseguì: "Con una veranda tutt'intorno. Stanze spazîose e grandi fînestre per far entrare il sole. E il tetto di lamiera. Non hai vissuto veramente finché non hai sentito la pioggia battere su un tetto di lamiera. É il rumore più romantico del mondo" "Rumore romantico? Ci sto" Lei lo scrutò, valutando le sue reazioni. "Sei incredibilmente accomodante" "Dimentichi che ho vissuto in un appartamento negli ultimi quindici anni. A noi interessano altre cose, per esempio che l'ascensore funzioni" "A quanto ricordo, a casa tua era rotto" "Esatto. Il che dovrebbe farti capire che non sono pignolo" Lei sorrise. "Bene. Scommetto che in biblioteca ci sarà una montagna di pratiche da sbrigare sulla scrivania, e mi ci vorrà qualche giorno per rimettermi in pari. Però magari possiamo fare un giro nel weekend" "Benissimo" "E tu? Come passerai il tempo mentre sono al lavoro?" "Strapperò i petali delle margherite, chiedendomi se mi ami mentre io mi struggo per te" "Dico sul serio" "Be, cercherò di ambientarmi. Installerò il computer e la stampante, vedrò di trovare un collegamento veloce a Internet. Mi piace essere sempre avanti di quattro o cinque pezzi per la mia rubrica, in modo che, se salta fuori una storia interessante, posso lavorarci tranquillamente. Così anche il mio direttore dorme sonni più tranquilli" Lei rimase in silenzio mentre rifletteva sulle sue parole. "Non credo che riuscirai a ottenere un collegamento veloce al Greenleaf. Non sono nemmeno cablati laggiù"
"E chi ha parlato del Greenleaf? Pensavo di collegarmi da casa" "Allora è meglio che tu venga in biblioteca. Voglio dire, dal momento che alloggerai al Greenleaf" "E perché?" Lei si raddrizzò per guardarlo. "E dove vorresti alloggiare sennò?" "Pensavo di stabilirmi qui" "Con me?" chiese lei. "É naturale", rispose lui, come se fosse ovvio. "Ma non siamo ancora sposati" "E allora?" "So che è antiquato, ma da queste parti non si convive prima del matrimonio. La gente ci guarderebbe male. Penserebbero che andiamo a letto insieme" Lui la guardò senza sforzarsi di nascondere la propria perplessità. "Infatti è così. Sei incinta, ricordi?" Lei sorrise. "Ammetto che non ha molto senso, e se potessi fare a modo mio, ti chiederei volentieri di restare. Alla fine scopriranno che sono incinta, e la gente qui capisce che si possono commettere degli sbagli ed è prontissima a perdonare. Ma questo non toglie che non possiamo abitare nella stessa casa. Tutti parlerebbero alle nostre spalle, farebbero pettegolezzi e impiegherebbero molto tempo a dimenticare che siamo vissuti "nel peccato" E per anni ci porteremmo dietro quest'onta" Gli prese la mano. "So che è chiedere molto, ma faresti questo per me?" Appoggiandosi alla spalliera, Jeremy visualizzò la situazione al Greenleaf: una serie di bungalow decrepiti in mezzo alla palude infestata di serpenti; Jed, il proprietario taciturno e sinistro; gli animali impagliati che arredavano tutte le stanze. La sola idea gli dava i brividi. "Sì, va bene", rispose. "Ma... perché devo andare proprio lì?" "E dove, altrimenti? Cioè, se vuoi, c'è una baracca dietro casa
di Doris, e credo abbia anche il bagno, ma non è confortevole come il Greenleaf" Lui deglutì. "Jed mi fa paura", le confessò. "Lo so", replicò lei. "Me lo ha detto quando ti ho prenotato la camera, e ha promesso di essere più gentile adesso che fai parte della comunità. E poi c'è di buono che, se stai da lui per un po, non ti farà pagare il prezzo pieno. Hai diritto a uno sconto" "Che fortuna", sospirò Jeremy. Lei gli accarezzò il braccio con il dito. "Troverò il modo di ripagarti. Per esempio, se sarai discreto, potrai venire a trovarmi quando lo vorrai. E ti preparerò anche la cena". "Discreto?" Lei annuì. "Sì. Significa che non dovrai lasciare l'auto parcheggiata davanti, oppure che dovrai andartene prima dell'alba, in modo che nessuno ti veda" "All'improvviso mi sembra di essere tornato sedicenne e di dover fare le cose di nascosto dai genitori" "É esattamente così. Con la differenza che questa gente non è comprensiva come i genitori" "Mi spieghi allora perché viviamo qui?" "Perché tu mi ami", rispose lei.
Capitolo quarto. Nel corso del mese successivo Jeremy cominciò ad adattarsi alla sua vita a Boone Creek. I primi segni della primavera a New York comparivano in aprile, mentre lì anticipavano di qualche settimana. Presto sugli alberi spuntarono le gemme, il freddo della mattina gradualmente diminuì e, nei giorni in cui non pioveva, la mite temperatura pomeridiana richiedeva solo una camicia a maniche lunghe. I prati, marroni nel periodo invernale, quando l'erba era in letargo, iniziarono la lenta, quasi
impercettibile virata verso un verde smeraldo per raggiungere il loro massimo splendore proprio nel momento della fioritura dei sanguinelli e delle azalee. L'aria profumava di resina e di sale, e il cielo, solcato da qualche nuvoletta bianca, si apriva azzurro fino all'orizzonte. Per le Idi di marzo anche la città sembrava più animata e colorata: era come se l'aspetto tetro e austero di quel posto durante l'inverno fosse stato solo un brutto sogno. I suoi mobili, che nel frattempo erano arrivati, vennero sistemati nella baracca dietro casa di Doris e certe volte, mentre era nella sua stanza al Greenleaf, Jeremy si domandava seriamente se non sarebbe stato meglio in loro compagnia. Stava imparando a rapportarsi con Jed, il suo unico vicino, che non gli aveva ancora rivolto la parola, però era bravo a prendere nota degli occasionali messaggi che lasciavano per lui al centralino. Era difficile decifrare quei foglietti, macchiati di una sostanza forse un liquido per impagliare che serviva a Jed per incollarli direttamente sulla porta, senza preoccuparsi della macchia che restava sul legno. Jeremy aveva anche trovato un sistema per lavorare. Lexie aveva ragione non c'era un accesso veloce a Internet dal Greenleaf ma era comunque riuscito a stabilire un collegamento che gli permetteva di leggere la posta e fare ricerche al rallentatore, tanto che doveva aspettare anche cinque minuti per aprire una pagina. Il lato positivo della faccenda era che l'esasperante lentezza del collegamento gli forniva la scusa per recarsi in biblioteca quasi tutti i giorni. A volte andava a trovare Lexie nel suo ufficio, altre pranzavano insieme, e dopo un'oretta lei diceva una frase del tipo: "Mi piacerebbe stare ancora qui con te, ma devo occuparmi del mio lavoro" Lui allora tornava a uno dei terminali della biblioteca, dove in pratica aveva messo radici, per continuare le sue ricerche. Nate, il suo agente, lo aveva chiamato ripetutamente, lasciando messaggi e chiedendogli
se avesse qualche idea grandiosa per un'inchiesta "dato che il nostro contratto televisivo non è ancora defunto!" Come tutti gli agenti, Nate era un inguaribile ottimista. Ma Jeremy non aveva niente di nuovo da comunicargli. Da quando si era trasferito al Sud, non aveva preparato un servizio, né scritto un articolo. Con tutto quello che stava capitando, la sua mente era altrove. O almeno così si diceva per giustificarsi. In realtà, gli erano venute un paio di idee, dalle quali però non aveva cavato niente di concreto. Tutte le volte che si metteva a scrivere al computer era come se il cervello gli andasse in pappa e le dita si atrofizzassero. Buttava giù qualche frase, passava quindici, venti minuti a rifletterci su e poi cancellava tutto. Trascorreva giornate intere a scrivere e cancellare, senza produrre nulla. A volte si chiedeva perché la tastiera di colpo sembrasse odiarlo, ma poi scacciava il pensiero, sapendo di avere cose più importanti per la testa. Tipo Lexie. E il matrimonio. E la bambina. E, naturalmente, l'addio al celibato. A questo proposito Alvin continuava a chiamarlo, ma prima di fissare la data delle nozze bisognava ottenere l'autorizzazione del dipartimento parchi. Nonostante le infinite insistenze di Lexie, lui non era ancora riuscito a mettersi in contatto con nessuno che potesse aiutarlo. Alla fine aveva detto al suo amico di organizzare l'addio al celibato per l'ultimo weekend di aprile prima era, meglio era e lui gli aveva assicurato che avrebbe preparato una serata indimenticabile. Del resto, non ci sarebbe voluto molto. Per quanto si stesse... abituando a Boone Creek, Jeremy si rendeva conto di sentire la mancanza della metropoli. Certo, sapeva a cosa andava incontro quando aveva deciso di trasferirsi laggiù, ma continuava a restare sorpreso dalla mancanza di qualsiasi occasione di divertimento. A New York gli bastava uscire di casa, percorrere due isolati in qualunque direzione e trovare tutti i cinema che voleva, da quelli che proiettavano l'ultimo film
d'azione a quelli dedicati alle produzioni francesi più impegnate. Boone Creek, invece, non aveva nemmeno un cinema e quello più vicino a Washington aveva solo tre sale, una delle quali perennemente dedicata ai film della Disney. A New York c'era sempre qualche nuovo ristorante da provare e cibo adatto a ogni stato d'animo dalla cucina vietnamita a quella italiana, dalla greca all'etiope mentre lì le alternative erano pizza surgelata oppure cucina casalinga da Ned, un posto dove servivano solamente fritti e persino l'aria era così intrisa d'olio che dovevi pulirti la fronte con il tovagliolo prima di uscire. Gli era capitato di sentire due avventori che, seduti al banco, si scambiavano consigli su come filtrare il grasso del bacon e su quanto lardo aggiungere al cavolo prima di immergere tutto nel burro. Solo la gente del Sud poteva riuscire a rendere poco sano il consumo di verdura. Forse esagerava, ma senza ristoranti né cinema, che cosa c'era da fare lì? Anche se volevi semplicemente passeggiare per la città, potevi procedere giusto per pochi minuti nell'una o nell'altra direzione prima di dover tornare sui tuoi passi. Lexie, ovviamente, non trovava niente di insolito in questo e sembrava perfettamente soddisfatta di sedersi in veranda dopo il lavoro, a bere tè o limonata e salutare con la mano gli occasionali passanti. Oppure, se la natura collaborava e scoppiava un temporale, un altro passatempo serale da sballo era rimanere sotto il portico a guardare i lampi. Una volta lei gli aveva detto con entusiasmo: "Vedrai che d'estate qui è pieno di lucciole, e sembra di essere a Natale" "Sarà bellissimo", aveva risposto lui con un sospiro. Tra i lati positivi della situazione bisognava annoverare il fatto che era finalmente riuscito a comperarsi la sua prima automobile. Forse era un tipico atteggiamento maschile, ma quando aveva deciso di trasferirsi a Boone Creek, quella era
stata la sua prima idea. Non per niente aveva risparmiato e investito in tutti quegli anni. Era stato abbastanza fortunato da acquistare azioni di Yahoo! e AOL dopo aver scritto un articolo sul futuro della rete e aveva aspettato che le quotazioni salissero prima di incassare una parte del suo portafoglio in vista della partenza. Si era pregustato ogni passo dell'intero processo: dall'acquisto di diverse riviste specializzate, fino al momento in cui sarebbe andato dal concessionario e si sarebbe seduto al volante di una splendida vettura che odorava di nuovo. Molte volte, a New York, gli era capitato di rimpiangere che lì possedere una macchina fosse del tutto superfluo. Adesso non vedeva l'ora di salire su un coupé sportivo, o una convertibile, e di fare un giro per le strade di campagna. Il mattino fatidico in cui Lexie lo aveva accompagnato a scegliere la sua auto da sogno, sorrideva tutto contento. Quello che non aveva preso in considerazione, però, era la reazione di lei quando si era avvicinato a un cabrio a due porte e ne aveva accarezzato il profilo slanciato. "Che ne pensi?" le aveva chiesto. Era convinto che anche Lexie lo trovasse irresistibile. Lei guardò la macchina, perplessa. "E dove metteremo il seggiolino per la bambina?" "Possiamo sistemarlo sulla tua", rispose lui. "Questa è l'auto per noi due. Per fare gite al mare o in montagna, e i weekend nella capitale" "Non credo che la mia macchina reggerà ancora a lungo, perciò non pensi sia meglio comperare qualcosa di più adatto a tutta la famiglia?" "Del tipo?" "Che ne dici di una monovolume?" "Non se ne parla proprio. Non ho aspettato fino a trentasette anni per comperare una monovolume" "Allora una bella berlina?" "Cosa? Mio padre guida una berlina. Io sono troppo
giovane" "Un SUV? Sono sportivi e potenti. E puoi andarci in montagna" Cercò di immaginarsi al volante di un fuoristrada. "Sono auto per le madri dei sobborghi. Ho visto pîù SUV nel parcheggio del supermercato che in montagna. Inoltre, inquinano molto, e a me sta a cuore l'ambiente" Si toccò il petto per dare enfasi alla sua dichiarazione, sforzandosi di sembrare sincero. Lexie rimase un attimo in silenzio, poi chiese: "Allora che cosa ci resta?" "La prima scelta", rispose lui. "Immagina che bellezza: sfrecciare sull'autostrada, il vento tra i capelli..." Lei rise. "Sembra uno spot televisivo. Credimi, anch'io penso che sarebbe fantastico e mi piacerebbe una macchina scattante come questa, ma devi ammettere che non è molto comoda" La guardò, con la bocca che si seccava mentre il suo sogno svaniva irrimediabilmente. Aveva ragione lei, naturalmente. Dondolò da un piede all'altro prima di sospirare rassegnato. "Quale ti piace?" "Credo che quella là andrebbe benissimo per la famiglia", rispose Lexie, indicando una berlina a quattro porte. "É consigliata dalla rivista dei consumatori per quanto riguarda la sicurezza e l'affidabilità, e ha la garanzia fino a 150000 chilometri" Parca. Pratica. Responsabile. Lei aveva tutte quelle doti, doveva riconoscerlo, ma fu preso dallo sconforto alla vista del modello che aveva scelto. A suo parere, avrebbe potuto avere gli inserti di legno sulle fiancate e i pneumatici bianchi per quanto era elegante. Vedendo la sua espressione, Lexie gli andò vicino e gli gettò le braccia al collo. "So che non è l'auto dei tuoi sogni, ma se la ordinassimo rosso fuoco?" Lui ci pensò. "Con delle fiamme dipinte sul cofano?" Lei rise. "Se è quello che vuoi".
"No. Volevo solo vedere fino a che punto potevo spingermi" Lexie lo baciò. "Grazie", gli disse. "E tanto perché tu lo sappia, sarai molto sexy quando la guiderai" "Sembrerò mio padre" "No", replicò lei, "sembrerai il padre di nostra figlia, un fatto di cui essere orgoglioso" Jeremy sorrise, capendo che lei stava cercando di consolarlo. Tuttavia, sentì una fitta di rimpianto quando firmò il contratto d'acquisto un'ora dopo. A parte la lieve delusione che provava tutte le volte che si metteva al volante, non se la passava poi tanto male. Poiché lavorava poco, gli rimaneva più tempo libero di quanto ne avesse mai avuto a disposizione. Per anni era andato in giro per il mondo a indagare su strani fenomeni e misteriosi reperti come l'Uomo delle Nevi in Nepal o la Sacra Sindone a Torino per smascherare frodi, leggende e mistificazioni, continuando nel frattempo a scrivere articoli di denuncia su guaritori, sensitivi e truffatori, e a preparare dodici pezzi di approfondimento all'anno per la sua rubrica su Scientific American. Era sempre sotto pressione ed in uno stato di tensione mentale incessante, a volte quasi insopportabile. Quando era sposato con Maria, i suoi frequenti viaggi erano fonte di disaccordo e lei gli aveva suggerito di rinunciare all'attività di libero professionista e di trovarsi un impiego fisso in una delle principali testate di New York. Lui non l'aveva ascoltata, ma riflettendoci adesso, si chiedeva se, invece, avrebbe dovuto farlo. La continua urgenza di trovare degli argomenti e consegnare gli articoli aveva avuto ripercussioni anche su altri aspetti della sua vita. Ormai era talmente abituato allo stress che sentiva il bisogno di tenersi sempre occupato. Non riusciva a stare tranquillo più di pochi minuti; c'era sempre qualcosa da leggere o da studiare, qualcosa da scrivere. A poco a poco aveva perso la capacità di rilassarsi,
e il risultato era stato un lungo periodo in cui i mesi si succedevano tutti uguali e non c'era niente che distinguesse un anno dall'altro. Quell'ultimo mese a Boone Creek, per quanto un po piatto, era stato invece... corroborante. Non c'era un bel niente da fare e considerando il ritmo frenetico tenuto negli ultimi quindici anni non poteva certo lamentarsi. Gli sembrava di essere in vacanza, si sentiva in forma e riposato come non gli accadeva da molto tempo. Forse per la prima volta in assoluto era lui a stabilire l'andatura della sua vita, piuttosto che il contrario. Sapersi annoiare, decise, era una forma d'arte sottovalutata. In particolare era bello annoiarsi assieme a Lexie. Non tanto fuori sulla veranda, ma quando restavano abbracciati sul divano a guardare una partita di pallacanestro in televisione. Stare con lei lo rigenerava e adorava le loro chiacchiere durante la cena o sentire il calore del suo corpo mentre sedevano vicini in cima a Riker's Hill. Aspettava quei semplici momenti con sorprendente entusiasmo, e soprattutto gli piacevano le mattine in cui potevano dormire fino a tardi e risvegliarsi lentamente insieme. Era un piacere colpevole il giorno prima lei passava a prenderlo al Greenleaf dopo il lavoro, per evitare che i vicini vedessero la sua macchina posteggiata vicino a casa ma l'aria di mistero che avvolgeva l'avvenimento lo rendeva ancora più eccitante. Una volta alzati, si sedevano al tavolo in cucina a fare colazione mentre leggevano il giornale. Spesso lei indossava il pigiama e delle buffe pantofole, aveva i capelli arruffati e gli occhi ancora un po gonfi di sonno. Ma quando i raggi del sole del mattino entravano dalla finestra, illuminandola, gli sembrava la donna più bella mai vista. Spesso lei si accorgeva che la stava guardando, e allora gli prendeva la mano. Jeremy si rimetteva a leggere, e mentre stavano lì seduti tenendosi per mano, ciascuno immerso nel suo mondo, lui sentiva di non essere mai stato così vicino alla
felicità. Erano anche andati in giro a vedere delle case. Dato che Lexie aveva un'idea molto precisa di quello che voleva e a Boone Creek non c'erano molte proprietà in vendita, Jeremy pensava che avrebbero trovato quella giusta per loro in un paio di giorni. Con un po di fortuna, magari in un pomeriggio. Si sbagliava. Trascorsero tre weekend a visitare almeno due volte tutte le case disponibili. Jeremy non si divertì affatto. Provava un certo disagio a entrare nelle abitazioni altrui; gli sembrava di essere lì a giudicare, e il verdetto non era mai troppo lusinghiero. Il che era prevedibile. Quella era una cittadina storica e i vecchi edifici, per quanto affascinanti, erano in pessime condizioni. Quanto agli interni, spesso gli sembrava di aver fatto un salto nel tempo, tornando agli anni Settanta. Era da allora che non si ricordava di aver visto la moquette color tabacco, la carta da parati arancione e gli armadietti della cucina verde pastello. A volte poi sentiva strani odori che gli facevano arricciare il naso di naftalina e lettiera per gatti, oppure pannolini usati e pane ammuffito e spesso l'arredamento lo lasciava sgomento. In tutta la sua vita non aveva mai preso in considerazione l'idea di mettere una sedia a dondolo in salotto e il divano sulla veranda. Ma c'era sempre da imparare. Diversi motivi li portavano a decidere per il no, e anche le poche volte che trovavano qualcosa che colpiva la loro fantasia, si trattava di assurdità. "Guarda!" esclamò Jeremy un giorno. "In questa casa c'è anche una camera oscura!" "Ma tu non sei un fotografo", replicò Lexie. "Sì, però magari un giorno potrei diventarlo" "Mi piacciono questi soffitti alti", diceva un'altra volta lei, estasiata. "Ho sempre sognato di averli in camera mia". "Ma la stanza è minuscola. Ci sta a malapena un letto matrimoniale" "Lo so, però hai visto quant'è alto il soffitto?"
Alla fine trovarono quello che cercavano. O meglio, una casa che piaceva a Lexie, ma in lui suscitava ancora qualche perplessità. Era un edificio di mattoni a due piani che risaliva alla metà del Settecento, con una veranda scoperta che si affacciava sul torrente Boone e una buona disposizione interna delle stanze. Disponibile sul mercato da quasi due anni, era un affare per gli standard newyorchesi, un vero regalo ma richiedeva parecchi interventi. Quando Lexie chiese di visitarla una terza volta, la signora Reynolds, l'agente immobiliare, capì che l'esca era lanciata e un pesce affamato stava per abboccare. Con un'espressione compiaciuta sulla faccia da topo, assicurò a Jeremy che la ristrutturazione non sarebbe costata "più del prezzo d'acquisto" "Non è poco", rispose lui, calcolando mentalmente se poteva arrivarci con le sue disponibilità finanziarie. "Ma ne vale la pena", replicò la Reynolds. "É la casa ideale per una giovane coppia, specialmente se ha intenzione di mettere su famiglia. Non se ne trovano tutti i giorni di occasioni come questa" Forse sì, ma non era un caso se la proprietà era rimasta invenduta per due anni, pensò Jeremy. Stava per ribattere in tal senso, quando notò che Lexie si avviava verso le scale. "Posso dare di nuovo un'occhiata al piano superiore?" chiese. La signora Reynolds le sorrise, pensando alla sua provvigione. "Ma certo, cara. La raggiungo subito. A proposito, se intendete avere dei figli, tenete in considerazione che c'è un'ampia soffitta. Sarebbe perfetta come stanza dei giochi". Intanto che l'agente andava di sopra, Jeremy si chiese se si fosse resa conto che loro due erano già ben oltre la fase dell'intenzione. Ne dubitava. Lexie continuava a volere tenere nascosta a tutti eccetto Doris la gravidanza. Lui non aveva niente da obiettare,
a parte il fatto che ogni tanto si trovava coinvolto in discorsi assurdi, e avrebbe preferito che lei li facesse con le amiche. Mentre era seduta sul divano, per esempio, si voltava di colpo e gli diceva: "Il mio utero resterà gonfio per settimane dopo il parto", oppure: "Ti rendi conto che la cervice mi si dilaterà di dieci centimetri?" Dal momento in cui aveva iniziato a leggere libri sulla gravidanza, la sentiva parlare in continuazione di placenta, cordone ombelicale ed emorroidi, e se gli avesse ricordato ancora una volta che i capezzoli le si sarebbero ulcerati durante l'allattamento ".fino al punto di sanguinare!" sarebbe scappato via dalla stanza. Come la maggior parte degli uomini, aveva soltanto una vaga idea di come il feto si sviluppasse nel corpo materno e scarsa curiosità di saperne di più. In generale, era più interessato all'atto specifico che metteva in moto il processo. Ecco un argomento che gli sarebbe piaciuto approfondire, soprattutto quando mentre cenavano al lume di candela lei lo guardava in modo seducente e gli diceva cose carine con la sua voce sensuale. Quando invece si ostinava a pronunciare quei termini come se stesse leggendo gli ingredienti su una scatola di cereali, anziché esaltarsi al pensiero di ciò che stava accadendo, lui avvertiva un senso di nausea. Nonostante questo, però, era esaltato. C'era qualcosa di eccitante nell'idea che lei portasse in grembo suo figlio. Si sentiva orgoglioso di aver fatto la propria parte per la continuazione della specie, di aver adempiuto al ruolo di creatore di vita... a tal punto che a volte gli spiaceva che Lexie gli avesse chiesto di tenere segreto quel fatto. Era così assorto nelle sue riflessioni, da non accorgersi subito che lei e la Reynolds stavano scendendo le scale. "É questa", dichiarò Lexie radiosa, prendendolo per mano. "Possiamo permettercela?"
Lui si sentì gonfiare il petto, anche se si rendeva conto che per quella casa avrebbe dovuto sacrificare buona parte dei suoi investimenti. "Tutto quello che vuoi", rispose, sperando che lei rilevasse la sua magnanimità. Quella sera firmarono la proposta di acquisto e la loro offerta fu accettata il mattino successivo. Per ironia della sorte, avrebbero concluso l'acquisto proprio il 28 aprile, lo stesso giorno in cui lui sarebbe tornato a New York per il suo addio al celibato. Solo più tardi si rese conto con una certa sorpresa che nell'ultimo mese era diventato una persona del tutto diversa.
Capitolo quinto. "Non hai ancora ricevuto il benestare dal dipartimento parchi?" domandò Lexie. Era l'ultima settimana di marzo e, dopo essere usciti dalla biblioteca, si stavano incamminando verso la macchina. "Ci ho provato", rispose Jeremy. "Ma non puoi immaginare che cosa significhi cercare di ottenere una risposta da quella gente. La metà di loro non vuole parlarmi se prima non riempio un sacco dî moduli, e l'altra metà sembra perennemente in ferie. Non ho ancora nemmeno capito bene che cosa bisogna fare" "Arriverà giugno prima che tu riesca ad ottenere l'autorizzazione", commentò lei. "Mi inventerò qualcosa", le promise lui. "So che stai facendo del tuo meglio. Ma vorrei tanto evitare che si scoprisse, ed è quasi aprile. Non credo di riuscire a tenerlo nascosto fino a luglio. I calzoni cominciano a stringermi in vita e temo che anche il sedere mi si stia ingrossando" Jeremy esitò, sapendo che quello era un campo minato, dove non ambiva avventurarsi. Se avesse detto la verità Ma per
forza che ti si ingrossa il sedere... sei incinta! si sarebbe ritrovato a dormire da solo al Greenleaf per una settimana intera. "A me sembri quella di sempre", buttò lì. Lexie annuì, assorta. "Perché non senti cosa ne dice Gherkin?" Lui la guardò con aria seria. "Il sindaco pensa che ti si sia ingrossato il sedere?" "No! Mi riferivo alla questione del faro. Sono sicura che potrà aiutarti" "D'accordo", rispose Jeremy, trattenendo una risata. Fecero qualche passo in silenzio, poi lei gli diede una spallata amichevole. "E il mio sedere non si è ingrossato". "Certo che no" Come sempre, nel tardo pomeriggio andarono a vedere a che punto erano i lavori di ristrutturazione. Anche se sarebbero entrati in possesso della casa solo alla fine di aprile, il proprietario che l'aveva ricevuta in eredità, ma viveva in un altro stato aveva dato loro il permesso di iniziarli prima, e Lexie si era messa all'opera con zelo. Poiché conosceva praticamente tutti in città compresi falegnami, idraulici, muratori, imbianchini ed elettricisti e aveva un'idea chiara del risultato finale, assunse il controllo della situazione. Il ruolo di Jeremy si limitava allo staccare assegni, il che, considerato che non aveva nessuna voglia di occuparsi del progetto, era un equo scambio. Anche se non sapeva bene che cosa aspettarsi, fu sorpreso dall'andamento dei lavori. Nell'ultima settimana erano state lì intere squadre di operai, e il primo giorno era rimasto impressionato dai risultati. La cucina era stata svuotata, le assicelle del rivestimento esterno divelte ed ammucchiate sul prato, moquette e numerosi infissi tolti. Da quel momento mucchi di macerie erano comparsi dentro la casa, però lui aveva l'impressione che quegli uomini trascorressero il tempo a spostarli da un punto
all'altro. Se gli capitava di passare di lì nel corso della giornata, li trovava immancabilmente seduti in cerchio a bere caffè, oppure a fumare sulla veranda posteriore, ma lavorare? Erano sempre in attesa di una consegna o del ritorno del capocantiere, oppure si stavano prendendo una "piccola pausa" Guarda caso, la maggior parte degli operai veniva pagata a ora, e ogni volta Jeremy provava un brivido di panico finanziario mentre tornava al Greenleaf. Lexie, dal canto suo, sembrava soddisfatta e rilevava progressi che lui non aveva notato. "Ti sei accorto che hanno iniziato a sistemare l'impianto elettrico al piano di sopra?" oppure: "Ho visto che hanno spostato le tubature, così potremo mettere il lavandino sotto la finestra" In genere Jeremy si limitava ad assentire. "Sì, è vero". A parte gli assegni che compilava per il capocantiere, continuava a non scrivere niente, ma se non altro credeva di averne capito il motivo. Più che di un calo, si trattava di un sovraccarico mentale. Stavano cambiando molte cose, e non solo le principali, ma anche quelle piccole. L'abbigliamento, per esempio. Per molto tempo era stato convînto di avere uno stile personale, seppure d'ispirazione newyorchese, e le sue numerose ragazze lo avevano sempre ammirato. Era un fedele abbonato di GQ, aveva un debole per le calzature di Bruno Magli e per le camicie degli stilisti italiani. Ma a quanto pareva, Lexie voleva cambiarlo completamente. Due sere prima lei gli aveva fatto un regalo e lui ne era rimasto commosso... almeno finché non aveva aperto la scatola. Conteneva una camicia a quadri. Come quelle dei boscaioli. E un paio di jeans Levis. "Grazie", si era sforzato di dire lui. Lei lo aveva guardato. "Non ti piacciono". "No... no... al contrario", mentì Jeremy, per non ferire i suoi sentimenti. "Sono carini". "Non mi sembri convinto" "Invece sì"
"Ho pensato che ti avrebbe fatto comodo avere un paio di capi per mescolarti con i ragazzi" "Quali ragazzi?" "Qui in città. I tuoi amici. Nel caso tu... non so, voglia andare a giocare a poker, oppure a pesca, a caccia o che so io" "Non mi piace il poker. Non vado a pesca né a caccia". E non ho nemmeno degli amici, si era reso conto di colpo. Incredibile che fino a quel momento non ci avesse fatto caso. "Lo so", rispose lei. "Ma è quello che fanno gli uomini da queste parti. Potresti provarci. Per esempio, so che Rodney gioca a poker una volta alla settimana e Jed è forse il più bravo cacciatore della contea" "Rodney e JedP" chiese lui, cercando di immaginarsi senza riuscirci mentre trascorreva qualche ora in compagnia di uno dei due. "Che cos'hanno loro che non va?" "A Jed sono antipatico. E credo sia lo stesso per Rodney". "É ridicolo. Come fanno a trovarti antipatico? Sai che ti dico? Perché non ne parli con Doris? Magari lei ha qualche idea migliore" "Un poker con Rodney? Una battuta di caccia con Jed? Oh, darei qualsiasi cosa per vederti!" ululò Alvin nella cornetta. Come cameraman, era andato a Boone Creek per riprendere le misteriose luci nel cimitero, perciò sapeva bene di chi stava parlando Jeremy. In quella occasione Rodney lo aveva rinchiuso in cella con false accuse, dopo che lui aveva flirtato con Rachel al Lookila, e il suo primo incontro con Jed era stato terrorizzante. "Già ti immagino... avanzare furtivamente nel bosco con le scarpe di Gucci e la camicia da taglialegna..." "Bruno Magli", lo corresse Jeremy. Confinato al Greenleaf per quella sera, aveva chiamato il suo amico e gli aveva raccontato la conversazione avuta con Lexie. "Fa lo stesso" Alvin rise di nuovo. "Oh, è semplicemente grandioso. Il topo di città va in campagna solo perché glielo
suggerisce la sua amata topolina. Fammi sapere quando succederà. Verrò laggiù apposta con la telecamera ad immortalare la scena per i posteri" "Ho capito", rispose Jeremy. "Ci rinuncio". "Però effettivamente ha ragione lei, sai. Devi pure farti qualche nuova amicizia. A proposito, che fine ha fatto la ragazza che ho conosciuto lì?" "Chi, Rachel?" "Sì, proprio lei. La vedi mai?" "Ogni tanto. Sarà la testimone di nozze di Lexie, così la rivedrai anche tu" "Come sta?" "Che tu ci creda o no, si è messa con Rodney" "Lo sceriffo tutto muscoli? Potrebbe aspirare a qualcosa di meglio. Ma senti, ho un'idea. Magari tu e Lexie potreste organizzare un'uscita a quattro. Pranzo da Herbs e poi due chiacchiere seduti tutti insieme in veranda..." Jeremy rise. "Tu ti troveresti benissimo da queste parti. Hai già capito quali sono i divertimenti locali" "Esatto, io sono un tipo molto adattabile. Be, se incontri Rachel, salutala da parte mia" "Lo farò" "Come va il lavoro? Scommetto che sei a caccia di un'altra storia, eh?" Jeremy si agitò sulla sedia. "Vorrei tanto". "Non stai scrivendo?" "Nemmeno una parola da quando sono arrivato", ammise. "Tra il matrimonio, la casa e Lexie, non ho un momento libero" Ci fu una pausa. "Fammi capire bene. Non stai scrivendo per niente? Nemmeno per la tua rubrica?" "No" "Ma a te piace scrivere" "Lo so. E ricomincerò, non appena le cose si saranno
sistemate" Dal silenzio che seguì Jeremy capì che il suo amico non ne era troppo convinto. "Bene", disse infine Alvin. "E quanto all'addio al celibato... sarà grandioso. Verranno tutti e, come ti ho promesso, ti aspetta una serata indimenticabile" "Ricorda soltanto... niente ballerine e nemmeno ragazze in reggiseno che saltano fuori dalle torte o cose del genere" "Ma dai, è una tradizione!" "Dico sul serio, Alvin. Sono innamorato, ricordi?" "Lexie è in ansia", disse Doris. "Si preoccupa per te". Il giorno seguente Jeremy era seduto con lei a un tavolo da Herbs. Gran parte degli avventori aveva già finito di pranzare e il locale si stava svuotando. Ogni volta che andava a trovarla, Doris insisteva per offrirgli qualcosa da mangiare, sostenendo che era "tutto pelle ed ossa" Ora lui stava assaggiando una specialità della casa: panino al pollo con pesto e pane integrale. "Non c'è niente di cui preoccuparsi", protestò. "É solo che stanno succedendo tante cose" "É vero, ma lei vorrebbe che tu ti sentissi a tuo agio qui. Che fossi felice" "Lo sono" "Perché sei innamorato. Però devi capire che inconsciamente Lexie desidera che tu ti affezioni a Boone Creek. Non vuole che tu resti in questo posto solo per lei, e spera che piano piano ti trovi degli amici. Sa che è stato un sacrificio per te spostarti da New York e teme che ti annoi" "Non è così, credimi. Altrimenti glielo direi. Ma... andiamo... Rodney e Jed?" "Che tu ci creda o no, sono due bravi ragazzi. Jed sa persino essere divertente quando racconta le barzellette. Ma capisco che tu hai gusti diversi dai loro, e forse non sono i tipi giusti per te" Si portò un dito alle labbra, assorta. "Che cosa facevi con gli amici a New York?" Frequentavo i bar con Alvin, rimorchiavo le donne, pensò
Jeremy. "Be, le tipiche cose da uomini", si limitò a dire. "Andavamo alle partite, e ogni tanto giocavamo a biliardo. Soprattutto, ci divertivamo insieme. Sono sicuro che mi farò degli amici anche qui, ma al momento sono molto impegnato" Doris soppesò la sua risposta. "Lexie dice che non stai scrivendo" "É vero" "É colpa del fatto..." "No, no", negò lui. "Questo non c'entra niente con Boone Creek. Scrivere è un'attività molto particolare. Non si tratta solo di sedersi alla scrivania e mettersi al lavoro. Ci vogliono idee, immaginazione, e a volte... ecco, non sempre ti senti creativo. In questo caso la buona volontà non serve a nulla. Ma se c'è una cosa che ho imparato negli ultimi quindici anni è che l'ispirazione prima o poi viene" "Non riesci a trovare uno spunto?" "Per ora non ho scovato niente di originale. Ho stampato un sacco di pagine in biblioteca, ma ogni volta che individuo un possibile argomento poi mi rendo conto di averlo già trattato" Doris ci pensò su. "Che ne diresti del mio taccuino? So che sei scettico in proposito, però magari potresti... non so, fare qualche verifica e scrivere in un articolo le tue conclusioni" Si riferiva al quadernetto che dimostrava la sua capacità di indovinare il sesso dei nascituri. Nel corso degli anni lei vi aveva registrato centinaia di date e di nomi, e c'era anche la previsione sulla nascita di Lexie. In realtà, Jeremy ci aveva pensato, dato che Doris gliel'aveva già proposto. Ma se dapprima aveva scartato l'idea perché non credeva alle sue facoltà di chiaroveggente, ora non voleva rischiare di ferire i suoi sentimenti, visto che stavano per diventare parenti. "Non so..." "Senti, puoi decidere in un secondo tempo, dopo che l'avrai esaminato. E stai tranquillo, anche se dovessi diventare celebre
per via del tuo articolo, non mi monterò la testa" Rise. "Aspetta qui. Vado a prenderlo in ufficio". Prima che lui potesse obiettare, si era alzata dal tavolo e si era incamminata verso la cucina. In quel momento si aprì la porta del locale ed entrò il sindaco Gherkin. "Jeremy, ragazzo mio!" esclamò l'uomo andandogli incontro e dandogli una pacca sulla spalla. "Non mi aspettavo di trovarla qui. Pensavo stesse raccogliendo campioni di acqua, per studiare il nostro ultimo mistero" I pesci gatto giganti. "Mi spiace deluderla, signor sindaco. Come sta?" "Bene, bene. Ma sono molto indaffarato, le questioni amministrative non mi danno pace. Devo sempre occuparmi di un sacco di cose. In questi giorni non ho chiuso quasi occhio, però ho smesso di preoccuparmi troppo della salute. Da quella volta in cui ho rischiato di essere fulminato dal deumidificatore, una decina di anni fa, non dormo mai più di qualche ora per notte. Acqua ed elettricità non vanno d'accordo, sa". "Non dev'essere stata una bella esperienza", commentò Jeremy. "Senta, a proposito... sono contento di averla incontrata. Lexie mi ha detto di rivolgermi a lei per il matrimonio" Gherkin lo fissò. "Sta riconsiderando la mia proposta di farne un evento cittadino, magari in presenza del governatore?" "Veramente no. Lexie vorrebbe che fosse celebrato a Buxton, vicino al faro di Cape Hatteras, e io non sono ancora riuscito ad avere il permesso dal dipartimento parchi naturali. Lei crede di poterci aiutare?" Gherkin rimase pensieroso qualche istante, poi emise un fischio. "Bel problema", dichiarò. "Avere a che fare con lo stato non è mai semplice. É come avanzare su un campo minato. Devi conoscere qualcuno per seguire la rotta giusta" "É per questo che ci serve il suo aiuto" "Ve lo darei volentieri, ma purtroppo in questo momento ho già i miei problemi con il Festival dell'airone che si tiene in agosto. É l'avvenimento principale qui, persino più importante
del Giro delle dimore storiche. Ci sono il luna park, il mercatino in Main Street, cortei e gare di ogni genere. Comunque, il gran cerimoniere della parata doveva essere Myrna Jackson, di Savannah, e invece lei mi ha appena telefonato per comunicarmi che non potrà partecipare per via del marito. Sa chi è Myrna Jackson?" Jeremy si frugò nella memoria. "Non ricordo". "La fotografa!" "Mi spiace, ma..." "É famosa", proseguì il sindaco. "Forse la più grande fotografa di tutto il Sud. Da ragazza trascorse un'estate a Boone Creek, ed è per questo che aveva accettato di venire. Ma il destino ha voluto che suo marito si ammalasse di cancro. Una cosa terribile, davvero, e preghiamo tutti per lui... però adesso siamo nei guai. Non sarà facile trovare un sostituto. Dovrò passare ore al telefono per cercare qualcuno disponibile. É un peccato che io non abbia agganci nel mondo delle celebrità. A parte lei, naturalmente" Jeremy lo guardò. "Mi sta chiedendo di fare il gran cerimoniere?" "No, no, certo che no. Lei ha già ricevuto le chiavi della città. Ho bisogno di qualcun altro... un personaggio noto. Nonostante l'eccezionale bellezza della nostra cittadina e l'affabilità degli abitanti, non è facile "vendere" Boone Creek a chi non la conosce. Francamente, è una prospettiva che non mi alletta, come se non fossi abbastanza impegnato a organizzare il festival. E se poi devo anche trattare con gli impiegati statali..." Lasciò la frase a metà, per sottolineare che la sua richiesta era onerosa. Jeremy aveva già capito dove voleva arrivare il sindaco. Quell'uomo aveva la capacità di indurre gli altri a fare quello che voleva, per di più convincendoli che era stata una loro idea. Era ovvio che in cambio del favore gli stava proponendo di occuparsi della faccenda del gran cerimoniere. Da parte sua,
non aveva voglia di stare al gioco, ma non c'erano alternative. Sospirò. "Forse potrei darle qualche suggerimento. Ha un campo di preferenza?" Gherkin si portò una mano al mento, con l'aria di chi deve risolvere un dilemma di portata universale. "Andrebbe bene chiunque, in realtà. Basta che sia un nome famoso al punto da impressionare gli abitanti e attirare le folle a Boone Creek" "Che ne direbbe se le trovassi io qualcuno? Così lei avrebbe il tempo di occuparsi dell'autorizzazione per il matrimonio" "Sarebbe un'idea. Mi chiedo come ho fatto a non pensarci. Lasci che ci rifletta un attimo" Gherkin si batté il dito sul mento. "Sì, credo che possa funzionare. Sempre ammesso che lei riesca a procurarmi la persona giusta. Chi potrebbe essere?" "Be, nel corso della mia carriera ho intervistato molte persone famose. Scienziati, professori, premi Nobel..." Il sindaco scrollava il capo mentre Jeremy proseguiva nell'elenco: "Fisici, chimici, matematici, esploratori, astronauti..." Gherkin alzò la testa. "Astronauti, ha detto?" Jeremy annuì. "Quelli dello shuttle. Un paio di anni fa ho svolto una lunga ricerca sulla NASA e ne ho conosciuti diversi. Potrei telefonare a loro e..." "Affare fatto" Gherkin schioccò le dita. "Vedo già i cartelloni: FESTIVAL DELL'AIRONE. UN'AVVENTURA COSMICA A CASA VOSTRA. Potremo ispirarci al tema dello spazio per tutta la manifestazione. Invece di una gara di torte, una gara di torte spaziali, e poi palloncini a forma di razzi e satelliti..." "Stai di nuovo importunando Jeremy con quella stupida storia dei pesci gatto, Tom?" domandò Doris mentre si avvicinava con in mano il suo prezioso taccuino. "Nossignora", rispose Gherkin. "Lui è stato così gentile da offrirsi di trovare un gran cerimoniere per la parata di quest'anno, e ci ha promesso un autentico astronauta. Che ne dici dello spazio come tema generale?"
"Fantastico", rispose Doris. "Un colpo di genio". Il sindaco gonfiò impercettibilmente il petto. "Hai proprio ragione. Mi piace il tuo modo di pensare. Bene, Jeremy, adesso mi dica che data aveva in mente per il matrimonio. L'estate potrebbe essere poco indicata, per via del flusso turistico" "Maggio?" "inizio o fine?" "Non importa. Va bene il primo giorno disponibile". "Avete fretta eh? Lo consideri già fatto. Non vedo l'ora di sapere tutto sull'astronauta, non appena l'avrà sentito" Girando rapidamente sui tacchi, Gherkin se ne andò. Doris tornò a sedersi con un sorrisetto furbo sulle labbra. "Ti ha infinocchiato di nuovo, eh?" "No, stavolta ho capito le sue intenzioni, ma Lexie cominciava ad essere in ansia per l'autorizzazione statale" "Per il resto, nessun problema con i preparativi?" "Credo di sì. Abbiamo qualche divergenza: lei vuole una cerimonia intima, e io le ho fatto notare che, anche se mi limitassi ai parenti stretti, non ci sarebbero abbastanza alberghi nei dintorni per ospitarli. E poi vorrei fosse presente Nate, il mio agente, e lei ha obiettato che, se invitiamo un amico, dobbiamo farli venire tutti. Cose del genere. Alla fine troveremo un accordo. La mia famiglia non se la prenderà, e ho già spiegato la situazione ai miei fratelli. Non ne sono entusiasti, ma capiscono" A quel punto Rachel entrò di corsa, con gli occhi rossi e gonfi. Tirò su con il naso e rimase immobile un istante a guardarli, poi si diresse verso la cucina. "Credo che abbia bisogno di parlare con qualcuno", osservò Jeremy. "Non ti dispiace se vado da lei?" chiese Doris. "No, parleremo dei preparativi un'altra volta" "Va bene" Doris gli porse il suo taccuino. "Prendilo. É una storia interessante, te lo garantisco. E non ci troverai trucchi, perché non ce ne sono"
Jeremy lo accettò con un cenno d'assenso, ancora indeciso se utilizzarlo o meno. Dieci minuti più tardi stava rientrando al Greenleaf, godendosi il sole del pomeriggio, quando il suo sguardo si posò sul bungalow della reception. Dopo un attimo di esitazione si avvicinò e aprì la porta. Dentro non c'era traccia di Jed, segno che probabilmente si trovava nella baracca ai margini della proprietà dove svolgeva la sua attività di imbalsamatore. Jeremy si soffermò un istante a pensare. Perché no? si disse infine. Tanto valeva cercare di rompere il ghiaccio, e poi Lexie gli aveva assicurato che quell'uomo ogni tanto parlava. Imboccò il sentiero acciottolato che portava alla baracca. Un odore di morte e decomposizione lo assalì ancor prima che aprisse l'uscio. Al centro della stanza c'era un lungo banco da lavoro coperto di macchie scure, su cui erano sparsi utensili di vario genere: cacciaviti, punteruoli, pinze e coltelli di fogge spaventose. Appesi alle pareti, sui ripiani e stipati negli angoli Jeremy vide innumerevoli esemplari impagliati, che andavano dai pesci agli opossum ai cervi, tutti immortalati in posizione di attacco. Sulla sinistra scorse quello che sembrava un tavolo operatorio, anch'esso macchiato di sangue, e cominciò a provare un vago senso di nausea. L'uomo, che era intento a sezionare un cinghiale, indossava un grembiule da macellaio. Alzò gli occhi su di lui e si bloccò. "Ciao, Jed, come va?" Nessuna risposta. "Ho fatto un salto a trovarti. Sai, non credo di avertelo mai detto, ma penso che il tuo lavoro sia incredibile" Jed lo fissava come se fosse un insetto spiaccicato sul parabrezza della macchina. Jeremy ritentò, cercando di ignorare il fatto che quel tizio era enorme e peloso, brandiva un coltello e non pareva affatto di buon umore. "Sai, sembra che i tuoi esemplari siano pronti
ad aggredire, con gli artigli di fuori e i denti scoperti", proseguì. "Non avevo mai visto niente del genere. Al Museo di storia naturale su a New York la maggior parte degli animali impagliati ha un'aria pacifica. I tuoi, invece, è come se fossero idrofobi" Jed si accigliò. Jeremy ebbe la sensazione che il suo monologo non fosse molto gradito. "Lexie mi ha detto che sei anche un ottimo cacciatore", provò ad aggiungere, chiedendosi come mai di colpo lì dentro facesse tanto caldo. "Io non sono mai andato a caccia. Gli unici animali che uccidevamo nel Queens erano i ratti" Rise, ma Jed rimase serio e, nel silenzio che seguì, lui sentì crescere il suo nervosismo. "Certo, da noi non c'erano cervi, né altri animali selvatici. In ogni caso, probabilmente io non avrei sparato. Dopo aver visto Bambi da piccolo, sono rimasto traumatizzato, capisci?" Fissando il coltello che Jed teneva in mano, Jeremy si accorse che stava parlando a vanvera, ma non riusciva ad evitarlo. "Sono fatto così. Non credo che ci sia niente di sbagliato nella caccia, è ovvio... Voglio dire, è una grande tradizione americana, giusto? Mira al cervo che hai davanti, e bum. L'animale stramazza a terra" Jed si passò il coltello da una mano all'altra e Jeremy deglutì, preso all'improvviso dal desiderio di andarsene da lì prima possibile. "Bene, ero passato solo per farti un saluto. Buon lavoro con... ecco, qualunque cosa tu stia combinando. Non vedo l'ora di ammirare il risultato. Qualche messaggio?" si dondolò da un piede all'altro. "No? Allora ciao, è stato bello fare due chiacchiere con te" Jeremy si mise seduto alla scrivania nella sua stanza e rimase a fissare lo schermo del computer, cercando di dimenticare quello che era appena successo con Jed. Avrebbe voluto disperatamente trovare qualcosa da scrivere, ma piano piano
giunse alla conclusione che la sua vena creativa si era esaurita. Prima o poi capitava a tutti, si disse, e non esisteva un rimedio universale perché ogni autore seguiva un suo personale metodo di lavoro. C'era chi scriveva solo al mattino, chi di pomeriggio, chi di notte. Alcuni tenevano la radio accesa, altri invece avevano bisogno di silenzio assoluto. Sapeva di uno scrittore che si chiudeva a chiave nella sua stanza completamente nudo, e che dava istruzioni al suo assistente di non ridargli i vestiti finché non gli avesse passato cinque pagine dattiloscritte sotto la porta. C'erano altri che, mentre lavoravano, guardavano continuamente lo stesso film, e altri ancora che non erano in grado di concentrarsi se non bevevano o fumavano troppo. Lui non era così eccentrico; era sempre stato capace di scrivere dove e quando ce n'era bisogno, perciò non gli sarebbe servito fare qualche semplice cambiamento nelle abitudini per ritrovare l'ispirazione. Sebbene non fosse ancora in preda al panico, cominciava a preoccuparsi. Erano passati più di due mesi da quando aveva scritto l'ultimo articolo, ma considerati i tempi di pubblicazione della rivista che veniva chiusa con sei settimane di anticipo aveva materiale sufficiente per tirare fino a luglio. Il che significava che gli mancava ancora parecchio prima di trovarsi con l'acqua alla gola per quanto riguardava Scientific American. Dato che era l'attività di freelance ad assicurargli i maggiori introiti, però, e che aveva utilizzato i suoi risparmi per l'acquisto della macchina, pagarsi vitto e alloggio, comprare la casa e coprire i costi dei lavori di ristrutturazione, in perenne aumento, non era sicuro di avere tutto quel tempo. Sembrava che i suoi conti in banca venissero prosciugati da un'idrovora. Cominciava a pensare seriamente di avere un blocco di qualche tipo. A distrarlo non erano solo gli impegni legati alla nuova vita, come lui sosteneva. Dopo tutto aveva continuato a scrivere
dopo il divorzio da Maria. Anzi, gli era servito proprio per superare quel momento. Scrivere allora era stata una fuga, ma adesso? E se non fosse più riuscito a uscire dalla crisi? Avrebbe perso il lavoro, le sue entrate, e come avrebbe fatto a mantenere la famiglia? Sarebbe stato costretto a occuparsi della casa mentre Lexie andava in ufficio per guadagnare uno stipendio? Era una prospettiva sconcertante. Con la coda dell'occhio scorse il taccuino di Doris. Tanto valeva accettare la sua offerta, pensò. Forse era proprio quello che gli serviva per rimettere in moto le energie... elementi esoterici, interessanti, originali. Sempre ammesso che fosse così. Era proprio vero che lei era capace di predire il sesso dei nascituri? No, si ripeté per l'ennesima volta. E questo era tutto. Poteva anche trattarsi di una serie incredibile di coincidenze, ma era semplicemente impossibile stabilire il sesso del feto posando una mano sull'addome di una donna incinta. E allora perché lui era così pronto a credere che Lexie aspettasse una femmina? Perché si era convinto così facilmente? Quando si immaginava con in braccio il neonato, lo vedeva sempre avvolto in una copertina rosa. Si appoggiò alla spalliera della sedia, assorto, e infine decise che in effetti non ne era sicuro al cento per cento. Era Lexie a nutrire tale convinzione, e lui non faceva altro che rifletterla. Il fatto poi che lei continuasse a parlare della bambina aveva rafforzato l'idea. Invece di pensarci ancora su o di provare a scrivere decise di dare un'occhiata in Internet ai suoi siti preferiti, sperando di trovare qualcosa. Non avendo un collegamento veloce, il procedimento fu lento al punto da fargli venire sonno, ma proseguì caparbio. Visitò quattro siti che riguardavano gli UFO, uno con le ultime novità in fatto di case infestate da spiriti e infine il sito di James Randi che, come lui, era impegnato a denunciare truffe ed inganni. Per anni Randi aveva offerto un
premio di un milione di dollari a chi gli avesse dimostrato, sotto rigoroso controllo scientifico, di avere poteri paranormali. Finora nessuno compresi i sensitivi più famosi, che apparivano regolarmente in televisione e pubblicavano libri aveva accettato la sfida. Una volta, in uno dei suoi articoli, Jeremy aveva fatto la medesima offerta (su scala molto inferiore, s'intende) ottenendo lo stesso identico risultato. I cosiddetti sensitivi erano più bravi a farsi pubblicità che a compiere miracoli, si disse. Ripensò a come aveva smascherato Timothy Clausen, un uomo che affermava di essere in grado di comunicare con gli spiriti nell'oltretomba. Era l'ultima inchiesta che aveva svolto prima di recarsi a Boone Creek in cerca di fantasmi, e di trovare Lexie al posto loro. Il sito di Randi offriva la solita collezione di eventi misteriosi commentati con scetticismo, e dopo un paio d'ore Jeremy chiuse il collegamento, rendendosi conto di non aver fatto alcun progresso quanto a idee. Guardò l'orologio: erano quasi le cinque. Si chiese se fosse il caso di fare un salto a vedere a che punto erano i lavori di ristrutturazione. Magari avevano spostato un altro mucchio di mattoni, o comunque si erano inventati qualcosa per dare l'impressione che il progetto potesse essere portato a termine entro l'anno. Nonostante le fatture che lui pagava puntualmente, cominciava a dubitare che sarebbero riusciti a traslocare nella nuova casa. Quello che un tempo gli era sembrato fattibile adesso appariva scoraggiante, perciò decise di rimandare la visita ad un altro momento. Non c'era bisogno di peggiorare una giornata già nata male. Sarebbe andato a trovare Lexie in ufficio. Si infilò una camicia pulita, si pettinò, si mise qualche goccia di acqua di colonia e pochi minuti dopo passava davanti a Herbs diretto verso la biblioteca. I sanguinelli e le azalee cominciavano ad avere un'aria stanca e sbiadita, ma davanti alle case e sotto gli alberi stavano spuntando tulipani e giunchiglie dai colori vivaci.
La calda brezza meridîonale rendeva l'atmosfera quasi estiva, anche se era solo l'inizio di marzo. In una giornata come quella, pensò, a New York tutti si sarebbero riversati in Central Park. Gli venne in mente di fermarsi a comperare dei fiori per Lexie. In città c'era un solo fioraio, che vendeva anche esche vive ed attrezzatura da pesca; nonostante la scarsa scelta, Jeremy uscì dal negozio con un mazzolino primaverile che era sicuro le sarebbe piaciuto. Giunto in biblioteca, rimase sorpreso di non vedere la macchina di Lexie nel parcheggio. Alzò gli occhi verso la finestra dell'ufficio e notò che la luce era spenta. Pensando che lei fosse da Herbs, tornò indietro, ma l'auto non era nemmeno lì. Allora si avviò verso casa sua, concludendo che forse era uscita presto dall'ufficio per qualche commissione. Rifece il tragitto lentamente, guardandosi intorno. Quando scorse la sua macchina parcheggiata vicino al chiosco della pizza, frenò di colpo. Lexie doveva aver deciso di passeggiare lungo il molo. Afferrò i fiori e si diresse da quella parte, con l'idea di coglierla di sorpresa, ma girato l'angolo si immobilizzò. Lei era proprio lì dove aveva immaginato. Stava seduta su una panchina davanti al fiume, però non era sola. Al suo fianco c'era Rodney. Gli sembrava quasi rannicchiata contro di lui, anche se da lontano non riusciva a vedere bene. Jeremy si disse che loro due erano solo amici. Che si conoscevano fin da ragazzi, e per un attimo questo lo tranquillizzò. Ma poi, quando si spostarono sulla panchina, si rese conto che si tenevano per mano.
Capitolo sesto. In fondo al cuore Jeremy sapeva che Lexie non nutriva alcun interesse per Rodney, ma la settimana successiva, con l'arrivo di aprile, si sorprese a rimuginare ancora sulla scena a cui aveva assistito. Quando le aveva chiesto come era andata quel giorno lei aveva risposto che era rimasta tutto il pomeriggio in biblioteca. Così, invece di incalzarla per farle ammettere la verità, aveva preferito lasciar perdere. Lexie era rimasta contentissima dei fiori, e lo aveva baciato per ringraziarlo. Lui allora aveva cercato qualcosa di diverso nel suo bacio un'esitazione, o una forzatura per cancellare un senso di colpa ma non aveva sentito niente. Né c'era stato nulla di insolito nella loro conversazione a cena, o nella serata trascorsa in veranda. Nonostante tutto, però, non riusciva a togliersi dalla mente l'immagine di Lexie che teneva per mano Rodney. Più ci pensava, più si convinceva che sembravano proprio una coppia, ma poi si diceva che era impossibile che si incontrassero in segreto. Lui passava quasi tutti i giorni in biblioteca a fare ricerche, e tutte le sere con Lexie. Non poteva credere che lei nutrisse rimpianti di alcun genere, nemmeno per un istante. Gli aveva raccontato che Rodney aveva una cotta per lei fin dai tempi di scuola e che di tanto in tanto avevano partecipato insieme a qualche evento cittadino, ma erano cose che appartenevano al passato. Lexie non aveva mai accettato il suo corteggiamento e Jeremy non riusciva a immaginare che avesse cambiato idea proprio adesso. É vero, lo aveva tenuto per mano, ma ciò non significava che i suoi sentimenti fossero mutati. Santo cielo, in certi momenti lui aveva fatto lo stesso persino con sua madre! Poteva essere una manifestazione d'affetto, di sostegno, oppure semplicemente un modo per fargli capire
che lo ascoltava mentre si sfogava con lei. In un rapporto di amicizia come il loro poteva anche trattarsi di un gesto di conforto, visto che si conoscevano da molti anni. Non poteva aspettarsi che Lexie cominciasse a ignorare la gente che conosceva da una vita, giusto? O che smettesse di voler bene alle altre persone. Non era stato proprio il suo carattere espansivo e generoso a farlo innamorare di lei? Certo. Lexie aveva la capacità di far sentire i suoi interlocutori al centro del mondo, e se questo includeva anche Rodney, non significava che lei lo amasse. E quindi lui non aveva niente di cui preoccuparsi. Ma allora perché mai continuava a pensarci? E perché, quando li aveva visti, aveva provato una fitta di gelosia? Il fatto era che lei gli aveva mentito, considerò. Forse la sua era stata una semplice omissione, ma pur sempre una bugia. Alla fine, incapace di stare fermo un momento di più, si alzò dalla scrivania, afferrò le chiavi della macchina e raggiunse la biblioteca. Rallentando mentre si avvicinava, vide che l'auto di Lexie era nel parcheggio e le luci nel suo ufficio accese. Rimase lì un momento, prima di fare dietro front quando scorse la sua figura dietro i vetri. Si sentiva molto stupido per quella nuova ossessione, tuttavia non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo. Si ripeté ancora una volta che non c'era niente di cui preoccuparsi, che era ridicolo da parte sua aver preso in considerazione la possibilità che lei fosse altrove, e tale stato d'animo lo accompagnò fino al suo ritorno al Greenleaf. Sì, pensò mentre si sedeva di nuovo davanti al computer, lui e Lexie se la stavano cavando alla grande, e si rimproverò per i propri sospetti, ripromettendosi di trovare il modo di farsi perdonare. Poteva e doveva farlo, si disse, anche se non ne avrebbe mai ammesso il motivo. Magari potevano andare a cena fuori città, quella sera. Un piccolo cambiamento nella loro routine avrebbe fatto bene
a entrambi, decise. Ma soprattutto, lei sarebbe rimasta colpita dalla sua sollecitudine. Se aveva imparato una cosa dai suoi appuntamenti galanti era che le donne amano le sorprese, e se poi questo serviva ad alleviargli il senso di colpa che provava per averla spiata, tanto meglio. Annuì. Una serata speciale era proprio quello che ci voleva. Le avrebbe comprato persino un altro mazzo di fiori. Passò la mezz'ora successiva a cercare in Internet un buon ristorante e, quando l'ebbe trovato, telefonò a Doris per chiederle se lo conosceva. Dopo aver sentito il suo giudizio molto favorevole, chiamò per prenotare. Si fece una doccia e poi, avendo ancora due ore a disposizione prima che Lexie finisse di lavorare, si sedette alla scrivania, con le mani posate sulla tastiera del computer. Ma anche alla fine di una giornata trascorsa quasi sempre a tavolino non era più vicino a scrivere di quanto lo fosse stato quella mattina al risveglio. "Ti ho visto oggi pomeriggio", disse Lexie, guardandolo da sopra il menu. "Ah, sì?" Lei annuì. "Sei passato in macchina davanti alla biblioteca. Dov'eri diretto?" "Oh", fece lui, sollevato di non essere stato colto in flagrante mentre guardava verso la sua finestra. "Stavo facendo un giro per schiarirmi un po le idee prima di rimettermi al computer" Sorpresa dal mazzo di giunchiglie e dall'invito a cena, lei aveva reagito con entusiasmo, proprio come Jeremy si aspettava. Ma naturalmente aveva voluto tornare a casa a cambiarsi, e questo aveva ritardato la partenza di quasi tre quarti d'ora. Quando infine erano giunti al Carriage House di Greenville, il loro tavolo era stato ceduto e avevano dovuto aspettare al bar per altri venti minuti. Ora Lexie sembrava riluttante a porre l'ovvia domanda successiva, ed era comprensibile. Tutti i giorni gli chiedeva
com'era andato il lavoro e ogni volta Jeremy le rispondeva che non c'erano novità. Probabilmente anche lei cominciava a nutrire qualche preoccupazione. "Hai trovato qualche nuova idea?" buttò lì. "Qualcosa sì", mentì Jeremy. Tecnicamente non era una bugia gli era venuta quella strana idea su lei e Rodney ma sapeva che non era ciò che intendeva Lexie. "Davvero?" "Ci sto ancora ragionando su. Vedremo se mi porterà da qualche parte" "É fantastico, tesoro", esclamò lei, e il suo umore si rallegrò ulteriormente. "Allora dobbiamo festeggiare". Si guardò intorno nella sala dall'illuminazione discreta, con i camerieri in divisa, le candele accese sui tavoli e un'atmosfera elegante. "Mi dici come hai fatto a scovare questo posto? Non c'ero mai stata prima, ma è un incanto" "Qualche ricerca", rispose lui, "e poi una telefonata a Doris" "Lei li conosce tutti", affermò Lexie. "Se potesse fare a modo suo, credo che gestirebbe un ristorante come questo, invece di Herbs" "Ma bisogna far quadrare i conti, giusto?" "Esatto. Che cosa vuoi ordinare?" "Mi ispira la costata di manzo", disse Jeremy. "É da quando sono andato via da New York che non mangio una bella bistecca. Con le patate al gratin". "Ma la costata non è quella con l'osso?" "Proprio così. É questo che la rende così buona", confermò lui, richiudendo il menu con l'acquolina in bocca. Alzò lo sguardo su di lei e vide che stava arricciando il naso. "Che cosa c'è?" "Quante calorie credi che avrà una costata?" "Non ne ho idea. E non mi interessa nemmeno". Lei si sforzò di sorridere, tornando a esaminare il menu. "Hai ragione", concesse. "Non ci capita tutte le sere di cenare in un
posto simile, quindi che problema c'è? Che cosa sarà mai mezzo chilo di carne al sangue?" "Non ho detto che intendo finirla tutta" "Non ha importanza. Non sta a me giudicare. Fa pure come vuoi" "Infatti", ribatté Jeremy in tono di sfida. Nel silenzio che seguì guardò di nuovo il menu, riflettendo sulla costata. In effetti era una montagna di carne rossa, piena di grassi e di colesterolo. Gli esperti non sostenevano forse che non bisognava mangiare più di ottanta grammi di carne alla volta? E quella bistecca, invece... quanto sarebbe pesata? Quattro etti? Sette? Ci si poteva sfamare un'intera famiglia. Ma chi se ne importava! Lui era giovane, e l'indomani avrebbe fatto un po di corsa e qualche flessione per smaltire il pranzo. "Tu che cosa pensavi di prendere?" "Non saprei", rispose lei. "Sono indecisa tra il tonno ai ferri e il petto di pollo ripieno. E di contorno, le verdure al vapore" La cosa non mi sorprende, pensò Jeremy. Era sicuro che avrebbe scelto un piatto leggero. Riusciva a restare in linea pur essendo incinta, mentre lui aveva intenzione di ingozzarsi come un'oca all'ingrasso. Riprese in mano il menu, notando che lei fingeva di non guardarlo. Scorse la lista fino ad arrivare ai secondi a base di pesce e di pollo. Sembrava tutto squisito, ma non tanto quanto la costata. Richiuse il menu, stabilendo che non era il caso di sentirsi in colpa. E da quando il cibo era diventato un riflesso del carattere? Se lui ordinava qualcosa di sano era bravo, altrimenti era cattivo? Non era mica sovrappeso, giusto? Avrebbe ordinato la costata, decise, e ne avrebbe mangiato solo la metà, o anche meno. Comunque, non sarebbe andata sprecata. Si sarebbe portato a casa gli avanzi per il giorno dopo. Annuì tra sé, soddisfatto della propria scelta.
Quando arrivò il cameriere, Lexie ordinò succo di mirtillo e petto di pollo ripieno. Jeremy dichiarò che avrebbe preso del succo di mirtillo anche lui. "E come pietanza?" Sentì lo sguardo di Lexie su di sé. "Il tonno", rispose. "Cottura media" Dopo che il cameriere se ne fu andato, lei sorrise. "Il tonno?" "Sì. Mi hai fatto venire voglia tu". Lexie assunse un'aria indecifrabile. "E adesso che cosa c'è?" "É solo che questo posto è famoso per le bistecche. Pensavo di assaggiare un pezzetto della tua" Jeremy curvò le spalle. "Sarà per la prossima volta", rispose. Jeremy pensava che, nonostante i suoi sforzi, non sarebbe mai riuscito a capire le donne. Certe volte in passato gli era sembrato di esserci vicino, di essere in grado di prevedere le loro reazioni e i loro vezzi per utilizzarli a proprio vantaggio. Ma come la cena con Lexie aveva dimostrato, doveva fare ancora molta strada. Il problema di fondo era che la maggior parte degli uomini ambivano disperatamente all'ammirazione femminile, e di conseguenza erano pronti quasi a tutto per ottenerla. Secondo lui, le donne non avevano mai afferrato bene questa semplice verità. Per esempio, in genere credevano che quelli che passavano molto tempo in ufficio lo facessero perché il lavoro era la cosa più importante nella loro vita. Niente di più sbagliato. A motivarli non era tanto la volontà di successo in sé sì, d'accordo, per alcuni era così, ma si trattava di una minoranza quanto il fatto che le femmine erano attratte dal potere, allo stesso modo in cui i maschi lo erano dalla bellezza. Era una questione di tratti legati alla conservazione della specie, trasmessi da una generazione all'altra fin dall'età della pietra, e nessuno dei due sessi riusciva a controllarli. Anni prima aveva
scritto un articolo sulle basi evoluzionistiche del comportamento umano, spiegando, tra le altre cose, come gli uomini erano attirati da donne giovani, formose e sexy perché quelle caratteristiche indicavano che erano fertili e in buona salute in altre parole, genitrici ideali e che d'altro canto alle donne piacevano istintivamente gli uomini che consideravano abbastanza potenti da essere in grado di difenderle e provvedere alla loro prole. Ricordava di aver ricevuto in seguito molte lettere dai suoi lettori, e di essere rimasto stupito dalle loro reazioni in proposito. Mentre gli uomini tendevano a concordare con la sua interpretazione del fenomeno, le donne manifestavano contrarietà, a volte anche con veemenza. Qualche mese dopo aveva scritto un altro articolo su quelle sorprendenti conferenze, prendendo spunto dalle lettere. E sebbene lui potesse riconoscere obiettivamente che aveva ordinato il tonno invece della costata per suscitare l'ammirazione di Lexie e sentirsi di conseguenza potente non riusciva ancora a comprendere come funzionasse la mente di lei. Da questo punto di vista la gravidanza rendeva la faccenda ancora più complicata. Jeremy ammetteva di non essere molto informato sull'argomento, ma non ignorava certo che le donne incinte a volte venivano assalite da strane voglie. I suoi fratelli lo avevano avvertito; pareva che le loro mogli in quel periodo si alzassero nel cuore della notte in preda al desiderio di mangiare un'insalata di spinaci, o pastrami con le olive, o ancora zuppa di pomodoro e formaggio. Così, quando era stanco di stare davanti al computer a cercare di scrivere, lui saliva in macchina e andava al supermercato per fare provviste, in modo da essere pronto a soddisfare qualsiasi voglia di Lexie. Quello che non aveva messo in conto, tuttavia, erano gli sbalzi d'umore irrazionali. Una notte, circa una settimana dopo la cena al Carriage House, era stato svegliato dai singhiozzi di Lexie. Giratosi dalla sua parte, l'aveva trovata seduta nel letto con la schiena appoggiata alla testata. Nell'oscurità distingueva
a malapena i suoi lineamenti, ma notò un mucchio di fazzoletti di carta usati accanto a lei. "Lexie? Ti senti bene? Che cosa c'è?" "Scusami", disse lei con il naso chiuso, "non volevo svegliarti" "Non importa... davvero. Che cosa c'è?" "Niente" In realtà aveva detto "diedte" Lui la guardò, perplesso. Il fatto che la stesse osservando non la fece smettere di piangere. "É solo che sono triste", spiegò tirando su con il naso. "Posso portarti qualcosa? Pastrami? Zuppa di pomodoro?" Lei lo guardò stupita, tra le lacrime. "Ma come ti è venuto in mente il pastrami?" "Non saprei", rispose lui. Scivolò verso di lei e la cinse con un braccio. "Non hai fame allora? Nessuna strana voglia?" "No. Mi sento triste e basta". "E non sai perché?" Di colpo lei riprese a singhiozzare disperatamente. Jeremy provò una stretta al cuore. Non c'era niente di più triste del vedere una donna che piangeva così. "Su, su", mormorò per consolarla. "Andrà tutto bene, vedrai". "No, invece", balbettò lei. "Ti sbagli. Non potrà mai tornare come prima" "Che cosa è successo?" Le ci volle un po per riacquistare una parvenza di autocontrollo. Alla fine si girò verso di lui con occhi gonfi e rossi. "Ho ucciso il mio gatto", annunciò. Jeremy pensava che si sentisse sopraffatta dai cambiamenti nella sua vita. Oppure che, nella tempesta ormonale della gravidanza, avvertisse la mancanza dei genitori. Era sicuro che la crisi emotiva dipendesse dal suo stato, ma non si aspettava una risposta del genere. Rimase a guardarla in silenzio. "Il tuo gatto?" domandò alla fine. Lei annuì e prese un altro fazzoletto, parlando tra i singhiozzi. "Sì... l'ho... ucciso..."
"Hmm", fece Jeremy. Era rimasto senza parole. Non aveva mai visto nessun gatto in giro per casa, né lei gli aveva mai parlato di gatti. Non sapeva neppure che le piacessero. Nel frattempo, il linguaggio del corpo gli fece capire che era rimasta offesa dalla sua mancanza di tatto. "Sai... dire... solo... questo?" replicò Lexie con voce roca. Lui era spiazzato. Doveva prenderla sul serio? Sono sconvolto, non avresti dovuto farlo. Immedesimarsi? Non preoccuparti. Quel gatto se lo meritava. Consolarla? Penso lo stesso che tu sia una brava persona. Si sforzò di ricordare se ci fosse mai stato un gatto, e che nome aveva. Come aveva fatto a non accorgersi della sua presenza in tutto quel tempo? In un lampo di ispirazione, gli balenò nella mente la risposta giusta. "Perché non mi racconti com'è successo?" chiese in tono partecipe. Doveva essere proprio quello che lei voleva sentirsi dire, grazie al cielo, perché i suoi singhiozzi cominciarono a scemare. Si soffiò il naso. "Stavo facendo il bucato e avevo svuotato l'asciugatrice per infilarci un altro carico", spiegò. "Sapevo che a lui piaceva stare al caldo, ma non mi preoccupai di controllare prima di chiudere lo sportello. E così uccisi Boots". Boots, ripeté lui mentalmente. Ci siamo. Il gatto si chiamava Boots. Ma il resto della storia continuava ad essere un mistero. "Quando è accaduto?" provò a domandarle. "In estate" Lei sospirò. "Mentre preparavo i bagagli per Chapel Hill" "Ah, stiamo parlando di quando sei andata all'università", esclamò lui, in tono trionfale. Lei lo guardò, chiaramente confusa e irritata. "Naturale. Non l'avevi capito?" "Scusa se ti ho interrotto. Prosegui", disse Jeremy, facendo del suo meglio per mostrarsi interessato.
"Boots era il mio piccolino", affermò lei in tono tenero. "Lo trovai che era ancora un micino. Lo avevano abbandonato. Ha dormito nel mio letto per tutte le superiori. Era così buffo, rosso con le zampine bianche... io sapevo che Dio me l'aveva dato perché lo proteggessi. E lo feci... finché non lo chiusi nell'asciugatrice" Prese un altro fazzoletto. "Ero distratta, e penso che fosse entrato nel cestello mentre non guardavo. Lo aveva fatto altre volte, perciò controllavo sempre, ma per qualche motivo quel giorno me ne dimenticai. Caricai il bucato bagnato prendendolo dalla lavatrice, chiusi lo sportello e schiacciai il tasto di avvio" Le lacrime ricominciarono, mentre Lexie proseguiva con voce rotta. "Ero di sotto... mezz'ora dopo... quando udii... quei... tonfi... andai a controllare e... lo trovai..." Venne assalita da una nuova crisi di pianto e si rifugiò tra le braccia di Jeremy. Istintivamente, lui la strinse a sé, mormorandole parole di conforto. "Non hai ucciso il tuo gatto", le disse. "É stato un incidente" Lei singhiozzò ancora più forte. "Ma... non... capisci?" "Che cosa?" "Che... sarò... una pessima... madre. Ho... ho... chiuso il... mio gatto... nell'asciugatrice..." "Ho continuato a tenerla stretta tra le braccia mentre piangeva", raccontò Jeremy il giorno dopo a pranzo. "Per quanto le ripetessi che sarà una madre stupenda, non mi ha creduto. É andata avanti a piangere per ore. Non sono riuscito a consolarla, e alla fine si è addormentata. Stamattina mi sembrava più tranquilla" "É colpa della gravidanza", osservò Doris. "Amplifica tutto... il tuo corpo, l'addome, le braccia. E anche le emozioni e i ricordi. Così ogni tanto impazzisci, e allora ti comporti in modo strano. Fai cose che in altre circostanze non ti salterebbero nemmeno in mente" Le sue parole rievocarono in Jeremy l'immagine di Lexie e
Rodney che si tenevano per mano, e per un attimo lui si chiese se fosse il caso di parlarne. Ma decise di no. Doris aveva notato la sua espressione. "Jeremy? Ti senti bene?" "Sì", rispose. "É solo che ho tanti pensieri per la testa in questo periodo" "Per via della bambina?" "Per via di tutto. La casa, il matrimonio. Alla fine del mese firmeremo il contratto di acquisto, e Gherkin mi ha detto che ha ottenuto il permesso di celebrare le nozze il primo sabato di maggio. Sono giorni di grande stress". Guardò Doris, seduta di fronte a lui. "A proposito, grazie dell'aiuto che stai dando a Lexie per i preparativi" "Figùrati, è il minimo da parte mia. E poi, penserò alla torta e a qualche stuzzichino per il rinfresco all'aperto, ma non resta molto altro da fare, una volta ottenuta l'autorizzazione. Apparecchierò i tavoli da picnic quel giorno stesso, il fioraio penserà all'addobbo e il fotografo è già prenotato" "Lexie mi ha detto che finalmente ha comprato un vestito" "Infatti. E anche per Rachel, dato che sarà la sua testimone" "Le nasconde la pancia?" Doris scoppiò a ridere. "Era l'unica cosa che le interessava. Ma stai tranquillo, sarà bellissima. Non si vedrà che aspetta un bambino... anche se la gente comincia ad avere qualche sospetto" Indicò Rachel che stava sparecchiando i tavoli. "Credo che lei lo sappia" "E come ha fatto? Glielo hai detto tu?" "No, ma tra donne si capisce quando una è incinta. E ho sentito dei clienti del ristorante che ne parlavano a bassa voce. E poi il fatto che Lexie sia andata a dare un'occhiata all'abbigliamento per neonati nell'emporio di Gherkin non è passato inosservato"
"Lei non ne sarà contenta" "A questo punto non ci farà troppo caso. Non pensava nemmeno di riuscire a mantenere il segreto così a lungo" "Significa che adesso posso comunicare la notizia alla mia famiglia?" "Credo che faresti meglio a chiederlo a Lexie", rispose Doris lentamente. "Si preoccupa ancora che non la accettino, soprattutto visto che la cerimonia di nozze sarà così intima. Le spiace molto non poter invitare tutto il clan" Sorrise. "Guarda che è stata lei a chiamarli così, non io" "Ha ragione", disse Jeremy. "Sono davvero un clan. Ma al matrimonio si comporteranno in modo impeccabile" Doris si allungò a prendere il bicchiere, e Rachel si avvicinò con una brocca di tè freddo. "Ne volete ancora?" "No, grazie", rispose Jeremy. Lei gli sorrise. "Allora, sei agitato per il matrimonio?" "Abbastanza. Com'è andato lo shopping con Lexie?" "Ci siamo divertite", disse lei. "É stato bello uscire dalla città per qualche ora. Scommetto che tu mi puoi capire". Eccome, pensò Jeremy. "A proposito, qualche giorno fa ho parlato con Alvin, che ti saluta" "Davvero?" "Ha detto che è ansioso di rivederti" "Be, ricambia il saluto da parte mia" Giocherellò con il grembiule. "Volete un po di torta di noci? Credo ne sia rimasta qualche fetta" "No, grazie, sono a posto così", rispose Jeremy. "Anch'io", disse Doris. Mentre la cameriera si allontanava verso la cucina, posò il tovagliolo sul tavolo e tornò a rivolgere l'attenzione a Jeremy. "Ieri sono andata a vedere la vostra casa. Mi pare che stia venendo bene" "Davvero? Non me n'ero accorto" "Abbi fiducia", lo rassicurò lei. "Forse qui gli operai se la prendono un po comoda, ma le cose le fanno lo stesso"
"Spero solo che sia finita prima che mia figlia vada all'università. Abbiamo appena scoperto che ci sono dei danni causati dalle termiti" "Ne sei stupito? É un edificio molto vecchio" "É come nel film Casa dolce casa. Salta sempre fuori qualche imprevisto e qualche spesa extra" "Perché credi che sia rimasta invenduta tanto a lungo? Ma devi ammettere che, qualunque cifra ti venga a costare, sarà sempre più conveniente di qualsiasi abitazione a Manhattan, giusto?" "Di sicuro è più frustrante" Doris lo guardò. "Deduco che non hai ancora ricominciato a scrivere" "Come, scusa?" "Mi hai sentito", replicò lei con voce affettuosa. "Non stai scrivendo. É quello in cui ti identifichi, che ti definisce. E se non riesci a farlo... ecco, è come per la gravidanza di Lexie, tutto si amplifica" Doris aveva ragione, si disse Jeremy. Non era il costo della nuova casa, o l'organizzazione del matrimonio, o la prospettiva di diventare padre, oppure la necessità di rinunciare a molte delle sue abitudini di scapolo. Lo stress gli derivava in larga misura dal fatto che non riusciva a scrivere. Il giorno prima aveva spedito un altro articolo per la sua rubrica; ora gliene restavano solo quattro di quelli che aveva già preparato e il direttore di Scientific American aveva cominciato a lasciargli messaggi sul cellulare, chiedendogli come mai non si facesse vivo con la redazione. Persino il suo agente iniziava a preoccuparsi: mentre prima voleva sapere se aveva trovato storie che potessero interessare i produttori televisivi, ora si domandava che cosa Jeremy stesse combinando. All'inizio era stato facile trovare delle giustificazioni. Sia il direttore della rivista sia Nate capivano che la sua vita aveva subito un repentino cambiamento. Ma ormai persino lui si rendeva conto che quelle erano solo scuse. Eppure, non riusciva
a spiegarselo. Perché la sua mente si annebbiava tutte le volte che accendeva il computer? Perché le sue dita diventavano di gelatina? E perché succedeva soltanto quando si trattava di scrivere per lavoro? Ecco il punto. Tutte le volte che Alvin o qualcuno della sua famiglia gli mandava un'e-mail, era in grado di rispondere immediatamente in modo articolato. Lo stesso succedeva se doveva scrivere una lettera, o prendere appunti su un testo che aveva trovato in rete. Era capace anche di mettere insieme articoli sulle trasmissioni televisive, l'economia o la politica; lo sapeva perché ci aveva provato. Insomma, gli risultava facile scrivere di tutto... a patto che non si trattasse di argomenti di sua competenza. In quel campo, la sua mente si bloccava. E aveva l'impressione che non sarebbe mai riuscito a superare l'ostacolo. Sospettava che alla radice del problema ci fosse una mancanza di autostima. Era una sensazione insolita, che non aveva mai provato prima di trasferirsi a Boone Creek. Si chiese se dipendesse da quello. Dal trasferimento in sé. Il problema si era manifestato allora; non era legato né alla casa né ai preparativi per il matrimonio od altro. Il blocco era cominciato quando era tornato a Boone Creek, come se la decisione di andare a vivere in una cittadina di provincia avesse richiesto il suo prezzo. Ciò implicava che sarebbe riuscito a scrivere se fosse stato a New York, ma... era davvero così? Ci pensò su, poi scrollò il capo. Non aveva alcuna importanza, no? Lui ormai era lì. In meno di tre settimane, il 28 aprile, avrebbe concluso l'acquisto di una casa, poi avrebbe raggiunto i suoi amici per l'addio al celibato e il 6 maggio si sarebbe sposato. Nel bene o nel male, i giochi erano fatti. Guardò il taccuino di Doris. Come avrebbe commentato il suo contenuto? Non che avesse intenzione di occuparsene
seriamente, ma tanto per fare un esperimento... Aprì un documento sul computer e provò a concentrarsi, le mani posate sulla tastiera. Nei cinque minuti seguenti, però, le sue dita rimasero immobili. Niente, assolutamente niente. Non gli veniva in mente nemmeno un incipit. Si passò la mano tra i capelli, frustrato, con la voglia di prendersi un'altra pausa. Non aveva intenzione di andare a vedere la casa, perché il suo umore sarebbe solo peggiorato. Decise allora di ammazzare il tempo navigando in Internet. Sentì il fruscio del modem che si collegava, vide apparire la schermata e controllò la pagina iniziale. Notando che c'erano molti nuovi messaggi, decise di dare un'occhiata alla posta elettronica. Erano quasi tutti pubblicità e li cancellò senza nemmeno aprirli. C'era anche un'e-mail di Nate che gli segnalava degli articoli su una fitta pioggia di meteoriti caduta in Australia. Jeremy gli rispose che aveva già scritto molte volte su quell'argomento in passato, ma che comunque lo ringraziava per il suggerimento. Stava per cancellare anche l'ultimo messaggio, che non aveva oggetto, ma ci ripensò e, dopo averlo aperto, si trovò a fissare le parole comparse sullo schermo, trattenendo il respiro, come se il cursore lo avesse ipnotizzato. Il messaggio era composto da una frase soltanto: COME FAI A SAPERE CHE IL FIGLIO É TUO?
Capitolo settimo. COME FAI A SAPERE CHE IL FIGLIO É TUO? Jeremy si alzò di colpo dalla scrivania rovesciando a terra la sedia. Ma certo che è mio! avrebbe voluto gridare. Perché lo so e basta! Sì, insinuava il messaggio, ho capito. Ma come fai a esserne sicuro? Jeremy cercò freneticamente una risposta. Perché lui e Lexie avevano passato un'indimenticabile notte insieme, pensò. In seguito lei gli aveva detto che il figlio era suo, e non aveva ragione di mentirgli. E poi stavano per sposarsi. No, non poteva essere di nessun altro. Era la sua bambina... Oppure no? Se lui avesse avuto una storia personale diversa, se avesse conosciuto Lexie da anni, non ci sarebbero state incertezze di sorta, ma... Era questo il fatto. C'era sempre un ma. Scacciò il pensiero, mentre cercava di riprendere il controllo delle emozioni. Non doveva farsi influenzare da quel messaggio che non solo era offensivo, ma addirittura... malvagio. Proprio così, si disse. Malvagio. Che razza di individuo poteva scrivere una frase del genere? E per quale motivo? Per divertirsi alle sue spalle? Perché voleva che lui e Lexie litigassero? Oppure... Si bloccò un istante, con la mente in subbuglio, riluttante ad ammettere quella possibilità. Perché, disse infine la vocina nella sua testa, chiunque lo abbia mandato sapeva che in fondo c'è stato un istante in cui anche tu hai dubitato? No, pensò, non era vero. Era sempre stato certo che il figlio fosse suo. Ma c'è il piccolo particolare che tu non sei in grado di fecondare una donna, gli rammentò la vocina.
In un flash riaffiorò tutto nella sua mente: il matrimonio con Maria, il fatto che non riuscisse a rimanere incinta, le visite alla clinica per la fertilità, le analisi a cui lui si era sottoposto, e infine le parole del medico: "É altamente improbabile che lei possa avere figli" Era stato un modo gentile per informarlo. Nel corso di quella visita, infatti, Jeremy aveva saputo di essere sterile, una realtà che poco dopo aveva indotto Maria a chiedere il divorzio. Quel giorno il medico gli aveva spiegato che il numero degli spermatozoi era molto basso quasi trascurabile e che quelli che produceva avevano scarsa mobilità. Jeremy era rimasto seduto nello studio in preda allo choc, aggrappandosi a ogni minima speranza. "E se portassi i boxer? Ho sentito dire che in questo senso aiuta. E non ci sono delle cure?" L'uomo aveva risposto che in realtà non esistevano terapie veramente efficaci per i casi come il suo. La notizia era stata devastante. Fino ad allora aveva dato per scontato che prima o poi sarebbe diventato padre e, dopo il divorzio, aveva reagito alla sofferenza diventando una persona del tutto diversa. Aveva avuto un numero esorbitante di relazioni fugaci e si era convinto che avrebbe fatto per sempre la vita da scapolo. Finché non aveva incontrato Lexie. E il miracolo della sua gravidanza, di una creatura che era frutto della passione e dell'amore, gli aveva fatto capire quanto fossero stati privi di senso quegli anni. A meno che... No, non pensarci nemmeno, si ammonì Jeremy. Non esistevano a meno che. Era evidente che il figlio era suo. Tutto i tempi, ogni sfumatura del comportamento di Lexie, il modo in cui lo trattava Doris confermava che lui era il padre. Continuò a ripeterselo come se stesse recitando un mantra, per scacciare l'eco delle parole dette da quel medico tanto tempo prima. Tuttavia, il messaggio ricevuto continuava a tormentarlo. Chi
l'aveva inviato? E, tornò a chiedersi, perché? Nella sua professione di giornalista investigativo aveva imparato parecchie cose su Internet e, sebbene avessero usato un indirizzo che lui non riconosceva, sapeva che era possibile rintracciare la fonte delle e-mail. Con un po di perseveranza e qualche telefonata alle persone giuste, sarebbe potuto risalire al server, e da lì al computer da cui era partita. Notò che il messaggio era arrivato una ventina di minuti prima, mentre lui stava tornando al Greenleaf. Ma la domanda chiave era: perché? A che scopo glielo avevano mandato? Jeremy non aveva mai confidato a nessuno né agli amici né ai parenti il suo problema di sterilità e sebbene ci fosse stato effettivamente un istante in cui si era domandato come avesse potuto concepire quel figlio, aveva subito accantonato l'idea. Solo Lexie e Maria ne erano al corrente, e non potevano essere state loro a inviare l'e-mail. E allora? Si trattava di uno scherzo? Doris gli aveva detto che la gente cominciava a sospettare della gravidanza di Lexie. Rachel, per esempio. Ma per quale ragione lei avrebbe dovuto fare uno scherzo così crudele alla sua amica d'infanzia? Un'altra spiegazione possibile era che qualcuno volesse indurlo a litigare con Lexie. Chi poteva essere? Il vero padre? sussurrò la vocina dentro di lui, e subito gli tornò alla mente l'immagine di Lexie e Rodney che si tenevano per mano. C'era del tenero tra loro due? No, ci aveva riflettuto migliaia di volte ed aveva concluso che non era possibile. Era ridicolo anche solo pensarlo. Però in questo modo si spiegherebbe l'e-mail, proseguì la voce. No, si disse di nuovo Jeremy con più convinzione. Lexie non
era una donna capace di fare una cosa del genere. Non era andata a letto con qualcun altro in quella settimana, non era nemmeno uscita con nessuno, a parte lui. E Rodney non era tipo da scrivere un'e-mail; avrebbe preferito scontrarsi con il rivale di persona. Schiacciò il pulsante per eliminare il messaggio, ma quando sullo schermo comparve la richiesta di conferma, il suo dito parve paralizzarsi. Voleva davvero cancellarlo prima di scoprire chi glielo avesse mandato? No, decise. Ci sarebbe voluto un po di tempo, ma alla fine lo avrebbe smascherato e sarebbe andato a parlargli per fargli capire quanto era stato stupido e di cattivo gusto il suo gesto. E se si trattava di Rodney... be, lui lo avrebbe affrontato, ma di certo anche Lexie gliene avrebbe dette quattro, rincarando la dose. Annuì. Avrebbe scovato il mittente, eccome. Salvò il messaggio con l'intenzione di iniziare subito le ricerche. Non appena avesse scoperto qualcosa, si disse, Lexie sarebbe stata la prima a saperlo. Quella sera a cena Lexie si mostrò allegra e tranquilla come al solito, il che lenì i dubbi di Jeremy circa la sua paternità. Nei giorni successivi lei si comportò addirittura come se non avesse nessuna preoccupazione al mondo, cosa che lo stupì, dato che mancavano poco più di due settimane al matrimonio, la firma del rogito per la casa ancora tutt'altro che abitabile era imminente e lui aveva cominciato a chiedersi ad alta voce se avrebbe mai trovato un lavoro a Boone Creek, poiché ormai era chiaro che aveva disimparato a scrivere. Aveva spedito un altro degli articoli che aveva già pronti, e così gliene restavano soltanto tre. Ancora non era riuscito a risalire al mittente dell'e-mail: chiunque fosse, aveva coperto bene le proprie tracce. Non solo l'indirizzo era anonimo, ma il messaggio era transitato attraverso vari server, di cui uno oltre
oceano e un altro che non forniva informazioni senza un ordine del tribunale. Per fortuna Jeremy aveva un contatto a New York che poteva tornargli utile, ma non bisognava avere fretta. Il tizio lavorava come libero professionista per l'FBI ed era sempre molto impegnato. Nel complesso, a parte un altro episodio di pianti notturni, Lexie sembrava molto meno stressata di lui. Anche se era completamente assorbita dalla gravidanza. Certo, era lei a portare in grembo la bambina, a soffrire di sbalzi d'umore ed a essersi letta tutti i libri sull'argomento, ma Jeremy si sentiva un po escluso, ed era ansioso di partecipare in qualche modo ai preparativi per la nascita. Il sabato mattina successivo, in una splendida giornata d'aprile, Lexie fece tintinnare le chiavi della berlina mentre si apprestavano a uscire per fare acquisti, come per offrirgli l'ultima possibilità di sottrarsi ai suoi doveri di genitore. "Sei sicuro di voler venire con me?" gli chiese. "Affermativo" "Non c'era una partita di pallacanestro che volevi vedere in TV? Te la perderai" Lui sorrise. "Non preoccuparti, ce ne sarà un'altra domani". "Sai che impiegheremo un po di tempo, vero?" "E allora?" "É solo che non vorrei che ti annoiassi" "Nessun problema. Mi piace andare in giro a fare compere", le garantì Jeremy. "E da quando? E poi si tratta solo di roba per neonati" "Adoro quei vestitini minuscoli" "Come preferisci" Un'ora più tardi, mentre varcava la soglia di un grande magazzino di Greenville, Jeremy pensò che forse aveva ragione Lexie. Non aveva mai visto niente del genere a New York. Non solo era enorme, con vasti corridoi e soffitti altissimi, ma la scelta di articoli per l'infanzia era infinita. Se comprare
cose dimostrava l'amore di un genitore per i figli, quello era il posto giusto. Passò i primi minuti a guardarsi intorno incredulo, chiedendosi da dove fosse saltata fuori tutta quella roba. Per esempio, chi lo sapeva che esistevano migliaia di modelli diversi di giostrine da appendere alla culla? C'erano quelle con gli animali, quelle colorate e quelle con sagome geometriche bianche e nere; alcune avevano la musica, altre giravano lentamente in cerchio. Manco a dirlo, ognuno di questi oggetti era stato scientificamente progettato per stimolare lo sviluppo mentale del neonato. Lui e Lexie rimasero almeno venti minuti a esaminare le varie possibilità e in quell'intervallo di tempo Jeremy scoprì che la sua opinione in genere non era di nessun aiuto. "Ho letto che i neonati reagiscono soprattutto al bianco e nero", disse Lexie. "Allora prendiamo questo", rispose Jeremy, indicando il modello con le sagome bicolori. "Pensavo a un motivo decorativo di animali per la camera, e temo che le due cose non vadano d'accordo" "É soltanto un giocattolo, non se ne accorgerà nessuno" "Io sì" "Allora questa. Ippopotami e giraffe". "Ma non è bianca e nera" "Credi che abbia davvero importanza? Pensi che se nostra figlia non avrà una giostrina bianca e nera nella culla verrà espulsa dall'asilo?" "No, certo che no", rispose Lexie. Tuttavia rimase immobile in mezzo al corridoio, le braccia conserte, ancora profondamente indecisa. "Che ne dici di quest'altra?" propose Jeremy. "Ha dei pannelli asportabili, così puoi scegliere tra gli animali e le figure in bianco e nero, e per di più gira e suona"
Lei lo fissò con aria seria. "Non pensi che riceverà un'iperstimolazione da un aggeggio del genere?" Alla fine riuscirono a trovare quella giusta (animali bianchi e neri che giravano, ma senza musica) e per qualche motivo lui si illuse che da quel punto in poi avrebbero proceduto più spediti. Nelle ore successive alcune scelte furono facili copertine, ciucci e, sorprendentemente, persino la culla ma quando arrivarono al reparto seggiolini per auto, si ritrovarono in un altro pantano. Jeremy pensava ingenuamente che fosse possibile cavarsela con un solo seggiolino, invece c'era quello "fino a 6 mesi rivolto all'indietro", quello "facile da sganciare e leggero", quello "fissabile al passeggino", quello "6-18 mesi rivolto in avanti" e quello "robusto in caso di incidente" Considerando che a ciò si aggiungevano le varie fantasie e colori del rivestimento, i diversi sistemi di fissaggio al sedile e i meccanismi di chiusura, alla fine si ritenne fortunato di doverne comprare soltanto due, entrambi consigliati dalla rivista dei consumatori per quanto riguardava la sicurezza. Quel marchio di qualità era una magra consolazione, visto il prezzo esorbitante ed il fatto che i seggiolini sarebbero finiti in soffitta dopo pochi mesi di utilizzo. Ma la sicurezza aveva la precedenza su tutto. Come gli ricordò Lexie: "Non vuoi che nostra figlia corra dei rischi, giusto?" E come avrebbe potuto obiettare? "Hai ragione", rispose lui, appoggiando gli scatoloni sopra gli altri articoli scelti. Avevano già riempiti due carrelli e poi ne avevano preso un terzo. "A proposito, che ore sono?" "Le tre e dieci. L'ultima volta che me lo hai chiesto erano le tre" "Sul serio? Mi sembrava fosse passato di più" "É quello che hai detto dieci minuti fa" "Scusa" "Ho cercato di avvertirti che ti saresti annoiato"
"Non mi sto annoiando", mentì lui. "A differenza di altri padri, mi interesso di mia figlia, io" Lei parve divertita. "Bene. Comunque, abbiamo quasi finito" "Davvero?" "Sì, volevo solo dare un'occhiata veloce al reparto abbigliamento" "Magnifico", si sforzò di dire Jeremy, sapendo che era praticamente impossibile che la cosa non andasse per le lunghe. "Ci metterò un minuto" "Fai pure con calma", replicò lui, come per mettere alla prova la propria galanteria. Lei lo prese in parola. Dopo un tempo che gli parve una vita con le gambe doloranti e la sensazione di essere un animale da soma Jeremy si sedette su una panca mentre Lexie era ancora intenta ad esaminare tutti gli articoli di vestiario in esposizione. Ne sceglieva uno alla volta e rimaneva a guardarlo con espressione accigliata, oppure beata, mentre se lo immaginava indosso alla bambina. Il che, ovviamente, non aveva senso per lui, dal momento che non potevano assolutamente sapere che aspetto avrebbe avuto la neonata. "Che te ne pare di Savannah?" chiese a un certo punto Lexie, studiando l'ennesimo pagliaccetto. Quello era rosa con dei coniglietti rossi. "Non saprei, ci sono stato una volta soltanto", rispose lui. Lexie si girò nella sua direzione. "Parlavo del nome della bambina, non della città. Allora, che ne dici?" Jeremy ci pensò su. "No", decretò, "troppo del Sud". "E che cosa c'è di male in questo? Lei è del Sud" "Ma suo padre è uno yankee, non lo dimenticare" "D'accordo. A te che nome piacerebbe?" "Come ti suona Anna?" "Non si chiamano così metà delle donne della tua famiglia?"
Era vero, dovette ammettere Jeremy. "Sì, ma pensa quanto ne sarebbero lusingate tutte quante" Lexie scosse il capo. "Anna non va bene. Voglio che abbia un nome tutto suo" "Olivia?" Lei scosse di nuovo la testa. "No, non possiamo farle questo" "Che cosa c'è che non va in Olivia?" "Una mia compagna di classe si chiamava così. Poverina, soffriva di acne" "E allora?" "Quel nome mi fa tornare in mente brutti ricordi" Jeremy annuì, trovando la spiegazione del tutto sensata. Lui, per esempio, non avrebbe mai chiamato la figlia Maria. "Qualche altro suggerimento?" "Pensavo a Bonnie, magari. Che ne dici?" "No, sono uscito con una Bonnie, Aveva l'alito cattivo" "Sharon?" "Idem come sopra, solo che era cleptomane" "Linda?" "Scusa, sai, ma quella mi tirò una scarpa" Lexie lo fissò. "Con quante donne sei uscito negli ultimi dieci anni?" "Non ne ho idea, perché?" "Ho la sensazione che tu ti sia passato in rassegna tutti i nomi femminili" "Non è vero" "Allora fammi un esempio" Jeremy ci rifletté qualche istante. "Gertrude. Posso affermare onestamente di non essere mai uscito con nessuna Gertrude" Dopo aver alzato gli occhi al cielo, Lexie scelse un altro completino e lo prese in esame. Mancano solo dieci milioni di pagliaccetti, pensò lui. Di quel passo, sarebbero usciti dal magazzino più o meno all'epoca del parto.
Lexie passò alla tutina successiva, prima di guardare verso di lui. "Hmm..." "Che cosa?" "Gertrude, hai detto? Avevo una zia che si chiamava così, ed era una donna dolcissima" Sorrise al ricordo. "Adesso che ci penso, non sarebbe poi tanto male" "Non stai parlando sul serio, vero?" "Per renderlo più carino potremmo abbreviarlo in Gertie. Oppure Trudy" Jeremy si alzò. "Niente da fare. Posso accettare tutto, ma non di chiamare nostra figlia Gertrude. Su questo non transigo. Essendo il padre, credo di avere voce in capitolo" "D'accordo, d'accordo", rispose lei posando la tutina. "Stavo solo scherzando. Quel nome non piace nemmeno a me". Lo raggiunse e gli gettò le braccia al collo. "Senti, come posso farmi perdonare per averti trascinato qui oggi pomeriggio? Magari con una cenetta romantica a casa mia? Lume di candela e un buon bicchiere di vino... almeno per te. E dopo, ci inventeremo qualcosa" Soltanto Lexie poteva illuminare una giornata come quella, pensò Jeremy. "Credo di avere già un'idea". "Sono ansiosa di sentirla" "Forse potrei darti una dimostrazione pratica" "Non vedo l'ora di riceverla", rispose lei alzandosi sulla punta dei piedi per baciarlo, ma in quel momento il suo cellulare cominciò a squillare perentorio. Rotto l'incanto, Lexie si mise a rovistare nella borsa per cercarlo. "Pronto?" disse, e dalla sua espressione Jeremy capì subito che era successo qualcosa. Un'ora più tardi erano seduti a un tavolo da Herbs. Doris stava raccontando loro l'accaduto, ma parlava così in fretta che Jeremy faceva fatica a seguirla. "Ricominciamo daccapo", le disse infine. La donna fece un profondo respiro. "Non riesco proprio a spiegarmelo. So che Rachel non è molto affidabile, ma non aveva
mai fatto una cosa del genere. Oggi doveva venire al lavoro, e non abbiamo idea di dove sia finita" "Rodney che ne pensa?" chiese Jeremy. "É sconvolto quanto me. É tutto il giorno che la cerca. Non è da lei sparire così senza avvertire nessuno. E se le fosse successo qualcosa?" Doris sembrava sull'orlo del pianto. Rachel lavorava nel ristorante da una decina d'anni e ormai lei la considerava una di famiglia. "Stai tranquilla. Forse aveva solo bisogno di prendersi qualche giorno di vacanza, e se n'è andata fuori città" "Senza preoccuparsi di telefonare per avvisarmi che oggi non sarebbe venuta? Senza parlarne con Rodney?" "Che cosa ti ha detto lui esattamente? Sai se per caso loro due avevano litigato?" Doris scosse il capo. "Non mi ha detto niente. Si è presentato al ristorante stamattina e, visto che Rachel non era ancora arrivata, si è seduto ad aspettarla. Dopo un po ha deciso di fare un salto a casa sua, e poi è tornato qui perché non l'ha trovata" "Era arrabbiato?" chiese Lexie intervenendo per la prima volta nella conversazione. "No", rispose Doris afferrando un tovagliolo. "Era turbato, ma non mi sembrava in collera" Lexie annuì senza fare commenti. Nel silenzio che seguì, Jeremy si agitò sulla sedia. "E non è andato a vedere se per caso lei era dai suoi genitori?" Doris tormentava il tovagliolo, strizzandolo come uno straccio. "Non lo so, ma conoscendolo sono sicura che l'abbia cercata ovunque" "E non c'era nemmeno la sua macchina?" domandò Jeremy. Doris assentì. "Ecco perché sono tanto preoccupata. Se le fosse capitato qualcosa? Se qualcuno l'avesse presa?" "Intendi dire rapita?" "Esatto, che altro? E poi, dove potrebbe essere andata?
Tutti i suoi parenti e i suoi amici vivono qui. Non l'ho mai sentita parlare di qualcuno che abiti nelle vicinanze, per esempio a Raleigh o Norfolk. E non è tipo da mettersi in macchina e partire senza una meta" Jeremy notò che Lexie ascoltava con lo sguardo assente, come se fosse immersa nelle sue riflessioni. "Come vanno le cose tra lei e Rodney?" domandò poi. "L'altro giorno mi hai detto che avevano avuto qualche screzio" "E questo che cosa c'entra?" ribatté Doris. "Mi chiedo quale sia stata la ragione della sua partenza" La donna lo guardò con aria decisa. "Ho capito che cosa stai pensando, Jeremy. É facile dare la colpa a Rodney, ma ti sbagli. Lui non c'entra niente. La faccenda riguarda soltanto Rachelà o forse anche qualcun altro... però non certo Rodney. Quindi le è successo qualcosa, oppure lei ha deciso di partire. Tutto qui" Il suo tono non ammetteva obiezioni. "Stavo solo cercando di capire che cosa poteva essere accaduto", si giustificò lui. A queste parole, la voce di Doris si ammorbidì. "Hai ragione, e probabilmente non c'è motivo di preoccuparsi, però... è molto strano. Per quel che ne so, non è da Rachel comportarsi così" "Rodney ha inoltrato una denuncia per la scomparsa?" chiese Jeremy. "Per il momento, no. Andrà ancora in giro a cercarla", rispose Doris. "Ha promesso di tenermi informata, ma io ho una specie di presentimento. É come se stesse avvenendo una cosa terribile... se non è già successa". Fece una pausa. "E credo che in qualche modo coinvolga voi due" Jeremy intuì che lei stava seguendo il suo istinto. Sebbene affermasse di essere una rabdomante e di poter predire il sesso dei nascituri, era riluttante ad ammettere di possedere doti di chiaroveggenza in altri campi. Tuttavia, era certa di non sbagliarsi: la scomparsa di Rachel in un modo o nell'altro avrebbe
influito su tutti loro. "Non capisco a che cosa vuoi alludere", obiettò. Doris si alzò con un sospiro, gettando il tovagliolo stropicciato sul tavolo. "Non lo so nemmeno io", mormorò voltandosi verso le finestre. "Non riesco a capacitarmene. Rachel è partita, e forse non è il caso di preoccuparsi, ma c'è qualcos'altro... che non riesco a definire. Ho l'impressione che non avrebbe dovuto farlo e che..." "Stia per accadere qualcosa di brutto", terminò Lexie. Anche lei ne sembrava convinta; anzi, era come se comprendesse esattamente il pensiero che l'altra aveva difficoltà a formulare. Per risponderle, Doris non ebbe bisogno di parlare, e Jeremy si sentì escluso da quel tacito dialogo. Quali che fossero, la lunghezza d'onda su cui loro due comunicavano e le informazioni che si passavano a lui rimanevano inaccessibili. D'un tratto, ebbe la sensazione che entrambe avrebbero potuto essere più esplicite, se solo lo avessero voluto, ma che per qualche ragione avessero deciso di tenerlo all'oscuro. Proprio come aveva fatto Lexie a proposito del suo incontro pomeridiano con Rodney. Come se agisse a comando, a un certo punto lei posò la mano sulla sua. "Forse farei meglio a restare un po qui con Doris" Lui sottrasse la mano. Doris rimase in silenzio. Con un cenno del capo Jeremy si alzò, sentendosi più che mai estraneo alla situazione. Cercò di convincersi che Lexie desiderava solo dare conforto alla nonna e si sforzò di sorridere. "Sì, penso che sia una buona idea", disse. "Sono sicuro che Rachel stia bene", tuonò la voce di Alvin al telefono. "É una ragazza in gamba, e sa quello che fa". Dopo aver lasciato Herbs, Jeremy era andato a casa di Lexie a scaricare dalla macchina i sacchetti degli acquisti. Poi, invece di rimanere lì ad aspettarla, aveva deciso di tornare al Greenleaf e aveva chiamato il suo amico per sfogarsi con lui.
Cominciava a dubitare di conoscere veramente Lexie. Poco prima gli era sembrato che lei fosse più in ansia per Rodney che per Rachel. "Sì, ma è strano, non trovi? A te sembra il tipo che prende e se ne va senza avvisare nessuno?" "Chi può dirlo", replicò Alvin. "Probabilmente c'è di mezzo Rodney" "In che senso?" "Stanno insieme, giusto? Non so, magari hanno litigato. Forse è convinta che lui sia ancora invaghito di Lexie, o roba del genere ed ha sentito il bisogno di andarsene per qualche giorno per chiarirsi le idee. Come ha fatto la tua fidanzata quella volta che si è rifugiata nella casa vicino a Cape Hatteras" Jeremy si chiese se fosse un comportamento tipico delle donne del Sud. "Può essere", rispose infine. "Però pare che Rodney non abbia parlato di un litigio" "Così ti ha detto Doris. Tu però non lo sai per certo. Forse è proprio di questo che lei e Lexie volevano discutere da sole. E penso sia Doris quella che si preoccupa di più della faccenda" Jeremy non replicò. Sentendo che l'altro rimaneva in silenzio, Alvin aggiunse: "Ma sono convinto che non è successo niente di grave. Vedrai che tutto si risolverà". "Sì, è probabile che tu abbia ragione" Alvin sospirò. "Perché non mi racconti che cosa c'è che non va?" chiese poi. "A che ti riferisci?" "A te. Ogni volta che ci sentiamo mi sembri più depresso". "Sono solo molto impegnato", disse Jeremy nascondendosi dietro la sua risposta standard. "Sì, lo so. I costi dei lavori di ristrutturazione continuano a crescere, stai per sposarti, presto diventerai padre. Ma sei già stato sotto pressione in passato, e devi ammettere che la
tua vita era anche più stressante quando tu e Maria stavate per divorziare. Però allora avevi conservato il senso dell'umorismo" "Ce l'ho ancora. Se non fossi capace di ridere dei miei problemi, me ne starei tutto il giorno a lamentarmi rannicchiato sul divano" "Hai ricominciato a scrivere?" "No" "Qualche idea?" "Nessuna" "Forse dovresti lavorare nudo e consegnare i vestiti a Jed perché te li tenga finché non hai prodotto un articolo" Per la prima volta Jeremy rise. "Ottimo suggerimento. Sono convinto che lui ne sarebbe felicissimo" "E poi, puoi star sicuro che non lo racconterebbe a nessuno. Dal momento che non conosce l'uso della parola" "Invece Jed parla" "Davvero?" "Stando a Lexie, sì. Solo che non lo fa né con me né con te". Alvin fece una risata. "Ti sei abituato a tutti quegli animali impagliati che hai in camera?" Jeremy si rese conto che ormai non ci faceva più caso. "Che tu ci creda o no, è così" "Non so se questa sia una cosa positiva" "Per essere sincero, nemmeno io" "Senti, adesso devo lasciarti perché ho degli ospiti e non mi sto comportando da bravo padrone di casa. Chiamami questo fine settimana. Altrimenti, mi faccio vivo io". "D'accordo" Jeremy riagganciò e fissò il computer. Magari domani, si disse. Proprio mentre stava per alzarsi dalla scrivania, il telefono squillò. Pensando che fosse di nuovo il suo amico, alzò la cornetta ed esclamò: "Che c'è ancora?" "Ciao, Jeremy", disse Lexie. "Che buffo modo di rispondere al telefono"
"Scusa, ho appena finito di parlare con Alvin e credevo fosse lui. Che succede?" "Mi rincresce davvero tanto, ma temo che dovremo rimandare la cena di stasera. Facciamo domani, d'accordo?" "Perché?" "Oh, per via di Doris. Sta per tornare a casa sua. Però è ancora sconvolta e mi sa che dovrò andare con lei per farle un po di compagnia" "Vuoi che vi raggiunga lì? Potrei portarvi qualcosa da mangiare" "No, grazie. Doris ha la dispensa piena e, sinceramente, non credo abbia appetito. Comunque, viste le condizioni del suo cuore, mi sembra giusto assicurarmi che stia bene" "D'accordo", disse Jeremy. "Capisco". "Ne sei sicuro? Mi sento molto in colpa" "Nessun problema, davvero" "Ti prometto che mi farò perdonare. Domani magari potrei indossare qualcosa di sexy mentre ti preparo la cena" Nonostante la delusione, Jeremy tenne la voce ferma. "Ci conto" "Ti chiamo più tardi, va bene?" "Certo" "Ti amo. Questo lo sai, vero?" "Sì" Lexie rimase in silenzio e fu solo dopo aver riagganciato che Jeremy si rese conto di non aver ricambiato le sue parole. La fiducia va guadagnata? Oppure è solo una questione di fede? Jeremy non sapeva rispondere. Pur avendoci riflettuto a lungo, non aveva ancora deciso che cosa fare. Doveva rimanere al Greenleaf? Andare a casa di Lexie ad aspettarla? Oppure controllare se era veramente dalla nonna? Quello era il punto, si disse. Poteva trovare una scusa plausibile per chiamare Doris e verificarlo, ma così facendo non avrebbe forse dimostrato di non fidarsi di lei? E in tal caso, per
quale ragione sposarsi? Perché tu la ami, disse una vocina dentro di lui. Era così, doveva riconoscerlo, ma mentre era da solo nel silenzio della stanza non poteva fare a meno di chiedersi se il suo non fosse un amore cieco. Nel corso degli anni trascorsi con Maria, non aveva mai nutrito questo genere di sospetti, non una volta, neppure verso la fine del loro matrimonio. Non telefonava ai suoceri per controllare se fosse davvero lì, la chiamava di rado al lavoro e solo ogni tanto compariva davanti a lei di sorpresa. Maria non gli aveva mai dato motivo di dubitare e, per quanto si sforzasse, non ricordava di averci mai neppure pensato. Ma come stavano le cose quando si trattava di Lexie? Gli pareva di avere un atteggiamento ambivalente nei suoi confronti: quando erano insieme, si rimproverava della sua paranoia; quando erano lontani, lasciava correre la fantasia. Ma le sue non erano fantasticherie del tutto campate in aria, giusto? L'aveva vista tenere Rodney per mano. E quando le aveva chiesto che cosa avesse fatto quel giorno, lei aveva sorvolato sul loro incontro. Lui aveva ricevuto una strana e-mail da qualcuno che si era dato molto da fare per nascondere la propria identità. E mentre Doris parlava della scomparsa di Rachel, l'unica domanda di Lexie era stata se Rodney fosse in collera oppure no. D'altra parte, se lei pensava ad un altro, perché aveva accettato di sposarlo? Di acquistare una casa e passare quasi ogni sera con lui? A causa della bambina? Lexie era un po all'antica, Jeremy lo sapeva, ma non aveva una mentalità da anni Cinquanta. Aveva convissuto con un ragazzo a New York, aveva avuto una relazione appassionata con un altro... non era tipo da rinunciare a una vita con l'uomo che amava ammesso che fosse Rodney a causa di un figlio. Il che significava che amava lui, proprio come gli aveva detto quella sera al telefono. Proprio come gli ripeteva ogni volta che stavano insieme.
Come gli sussurrava nel buio quando i loro corpi erano allacciati. Non c'era ragione di non crederle, concluse. Assolutamente nessuna. Era la sua fidanzata e se gli aveva detto che avrebbe passato la serata con Doris, allora era così. Fine della storia, a parte un piccolo dettaglio: per qualche oscuro motivo, lui dubitava che fosse lì. Fuori era scesa la notte e dalla finestra vedeva i rami degli alberi agitarsi nella brezza. Le tenere foglioline primaverili rilucevano argentee al chiaro di luna. La cosa migliore era rimanere ad aspettare che lei gli telefonasse, pensò. Stavano per sposarsi e lui si fidava di Lexie. Da quando aveva assistito a quella scena sulla panchina, quante volte gli era capitato di andare a controllare dov'era, solo per sentirsi ridicolo nel vedere la sua auto parcheggiata davanti alla biblioteca? Cinque o sei? Dieci? E perché quella sera avrebbe dovuto essere diverso? Non lo sarebbe stato, si disse mentre prendeva le chiavi della macchina. Come se fosse attirato da una gigantesca calamita, non poteva fare altrimenti e continuò a rimproverarsi mentre usciva e si metteva al volante. La notte era buia e tranquîlla; il centro della città appariva deserto e nell'oscurità l'edificio che ospitava Herbs aveva un'aria stranamente sinistra. Ci passò davanti senza rallentare e si diresse da Doris. Nello scorgere la sua auto parcheggiata nel vialetto, fece un sospiro di sollievo pentendosi dei propri sospetti. Fino a quel momento si era dimenticato che Lexie quel giorno aveva lasciato a casa la macchina, e gli venne da ridere. Bene, la cosa era sistemata, pensò mentre accelerava di nuovo con l'idea di andare ad aspettarla lì. Quando fosse arrivata si sarebbe mostrato tranquillo e disponibile, avrebbe ascoltato le sue preoccupazioni e le avrebbe preparato una tazza di cioccolata calda. Aveva ingigantito inutilmente una sciocchezza. Eppure, poco dopo essere entrato nella via, pigiò d'istinto il
pedale del freno. Rallentando e sporgendosi verso il parabrezza, si accertò di non sbagliarsi, poi strinse spasmodicamente il volante. La macchina di Lexie non c'era, e tutte le luci erano spente. Inchiodò, fece un'inversione di marcia e ripartì a tutta velocità, senza badare allo stridore delle gomme sull'asfalto. Svoltò l'angolo imballando il motore ed attraversò come un razzo la città, sapendo esattamente dove dirigersi. Se Lexie non era né in biblioteca né al Greenleaf, e nemmeno da Doris o da Herbs, c'era solo un altro posto dove poteva trovarsi. Ed era proprio così, perché quando imboccò la strada dove abitava Rodney Harper vide l'auto di lei parcheggiata davanti alla casa.
Capitolo ottavo. Jeremy aspettava sulla veranda a casa di Lexie. Aveva le chiavi e sarebbe potuto entrare, ma non voleva. Preferiva restare seduto sui gradini d'ingresso. A fumare di rabbia. Una cosa era andare a parlare con Rodney, tutt'altra mentire in proposito. E lei lo aveva fatto. Aveva annullato l'invito a cena; gli aveva telefonato e gli aveva raccontato una bugia. Gli aveva mentito spudoratamente. Guardò verso la via deserta stringendo i denti. Non gli interessava quale scusa avrebbe avanzato. Non c'erano giustificazioni plausibili per un simile comportamento. Sarebbe bastato che gli dicesse che voleva incontrare Rodney, perché era preoccupata per quello che stava succedendo, e lui avrebbe capito. Certo, non ne sarebbe stato entusiasta, ma si sarebbe mostrato comprensivo. E allora perché tutta quella segretezza? Non era affatto giusto. Non era il modo di trattare una persona
a cui si voleva bene. E se quel comportamento fosse continuato anche dopo sposati? Aveva davvero intenzione di passare i suoi giorni a chiedersi se lei si trovava proprio dove aveva detto? No, assolutamente. Era escluso. Non erano quelli i presupposti per un felice matrimonio, e lui non si era trasferito laggiù, non aveva rinunciato a tutto per essere ingannato. O lei lo amava, oppure no. Semplice. E il fatto che avesse mandato all'aria la cena per passare il tempo con Rodney sembrava indicare abbastanza chiaramente quali fossero i suoi veri sentimenti. Non glî importava che loro due fossero amici, sinceramente non gli interessava nemmeno se lei avesse agito così per solidarietà. Le sarebbe bastato dire la verità. Era quello il punto. Al di là della rabbia, doveva ammettere di essere anche profondamente addolorato. Era venuto lì per lei. Non lo aveva fatto né per la figlia, né perché ambiva ad una tranquilla vita di provincia, o per una qualche attrazione per il romantico Sud. Aveva scelto di abitare in quel posto perché voleva che Lexie diventasse sua moglie. E ora lei gli aveva mentito. Non una, bensì due volte. Provò un crampo allo stomaco e non sapeva se aveva più voglia di tirare un pugno contro il muro o dî mettersi a piangere. Era sempre seduto sui gradini d'ingresso quando Lexie arrivò, all'incirca un'ora dopo. Mentre scendeva dalla macchina parve sorpresa di vederlo, ma poi gli andò incontro come se niente fosse. "Ciao", disse, gettandosi la borsa a tracolla. "Che cosa ci fai qui?" Jeremy si alzò. "Ti aspettavo", rispose. Guardò l'orologio: mancava qualche minuto alle nove. Era tardi, ma nemmeno tanto... Rimase immobile e lei si protese in avanti per baciarlo, senza dar segno di aver notato la sua freddezza. "Mi fa piacere vederti", dichiarò. La guardò. Nonostante la rabbia (o la paura, se doveva
essere sincero) era bellissima. L'idea che un altro potesse tenerla tra le braccia era devastante. Intuendo la sua inquietudine, Lexie gli tirò una manica. "Va tutto bene?" chiese. "Sì, sì" "Mi sembri turbato" Era l'occasione perfetta per dirle ciò che pensava, ma tergiversò. "Solo un po di stanchezza", rispose. "Come sta Doris?" Lexie si scostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "É preoccupata. Rachel non è ancora ricomparsa". "E lei continua ad essere convinta che possa esserle accaduto qualcosa?" "Sai com'è fatta. Una volta che si mette in testa una cosa, non la smuovi dalla sua idea, e non c'è mai una spiegazione logica. Credo che pensi che Rachel sia... ecco, che la ragione per cui è andata via..." Scosse la testa e ricominciò daccapo. "Veramente non capisco che cosa pensi Doris. Ha semplicemente la sensazione che lei non sarebbe dovuta partire, ed è molto agitata" Jeremy annuì, anche se non gli era chiaro il discorso. "Se a Rachel non è successo niente di grave, si sistemerà tutto, giusto?" "Be, ho smesso di cercare di capire come funziona la testa di Doris. So soltanto che in genere ci azzecca. Ne ho avuto la riprova diverse volte" Lui la studiò, e decise che era stata davvero a casa della nonna. Ma poi? Raddrizzò la schiena. "Immagino che tu abbia trascorso tutta la serata da Doris..." "In pratica, sì" "In pratica?" Intuì che stava cercando di capire cosa sapesse lui. "Sì", disse lei alla fine. "Che cosa significa?" Lexie non rispose.
"Sono passato da Doris stasera", la mise alla prova Jeremy, "ma tu non c'eri" "Sei stato lì?" "E anche qui", aggiunse. Lei fece un passettino indietro e incrociò le braccia. "Mi stavi controllando?" "Chiamalo pure come vuoi", replicò Jeremy, cercando di restare calmo. "In ogni caso, non mi hai detto la verità". "Di che cosa parli?" "Dove sei stata stasera, dopo aver lasciato Doris?" "Sono tornata a casa" "E prima?" chiese Jeremy, sperando che lei gli rispondesse sinceramente mentre lo stomaco gli si annodava. "Mi stai spiando, ammettilo" Il suo tono arrogante lo fece esplodere. "Non stiamo parlando di me, adesso!" sbottò. "Rispondimi e basta!" "Perché alzi la voce?" esclamò lei. "Te l'ho già detto dove sono stata" "Non è vero", ribatté Jeremy. "Sei andata da un'altra parte dopo aver lasciato Doris, o no?" "Per quale motivo ti arrabbi con me?" domandò Lexie, alzando a sua volta la voce. "Che ti è preso?" "Sei stata da Rodney!" gridò Jeremy. "Che cosa?" "Mi hai sentito! Sei stata da lui. Ho visto che eri là!" Lexie fece un altro passo indietro. "Mi hai seguito?" "No", replicò Jeremy. "Dopo essere passato da Doris e da qui, sono andato in giro a cercarti. E indovina che cosa ho scoperto?" Lei non rispose subito, come se stesse valutando la situazione. "Non è come pensi", protestò infine, la voce più morbida di quanto lui si aspettasse. "E che cosa potrei pensare?" ribatté Jeremy. "Che la mia Fidanzata non dovrebbe andare a casa di un uomo? Che almeno avrebbe dovuto comunicarmi le sue intenzioni? Che se si fosse
fidata di me, mi avrebbe detto la verità? E che se mi avesse voluto bene, non avrebbe mandato a monte la nostra cena per stare insieme a un altro?" "Tu non c'entri!" obiettò lei. "E poi, non ho mandato a monte nessuna cena. Ti ho chiesto se potevamo rimandare a domani, e hai risposto di sì!" Jeremy le si avvicinò. "Il problema non è questo, Lexie, ma il fatto che tu sia stata a casa di Rodney stasera, hai capito?" Lei non si lasciò intimidire. "E allora? Credi che sia andata a letto con lui? Che ci siamo divertiti a rotolarci sul divano? Abbiamo parlato, Jeremy. Tutto qui. Doris era molto stanca e, prima di rientrare, io ho deciso di fare un salto da Rodney per cercare di capire che cosa stava succedendo. Ci siamo limitati a discutere di Rachel" "Avresti dovuto dirmelo" "E l'avrei fatto, se solo me ne avessi lasciato il tempo! Non ho segreti per te" Lui era scettico. "Ah, no? E quel giorno sul molo?" "Quale giorno?" "Il mese scorso, quando tenevi Rodney per mano sulla panchina" Lei lo guardò allibita. "Da quanto tempo mi spii?" "Non ti ho spiato! Ma ti ho visto mano nella mano con lui" Lexie continuò a fissarlo. "Chi sei?" gli chiese infine. "Il tuo fidanzato", rispose Jeremy con voce sempre più alta. "E penso di meritare una spiegazione. Prima scopro che vi tenete per mano, poi che rimandi i nostri appuntamenti per passare il tempo con lui..." "Smettila!" gridò lei. "Stai zitto e ascolta". "Ti sto ascoltando!" gridò lui. "Ma non mi stai dicendo la verità! Mi hai mentito!" "Non è vero!" "No? Allora perché non mi hai mai parlato della piccola avventura mano nella mano?"
"Senti, hai ingigantito una cosa che non ha..." "Davvero?" latrò lui interrompendola. "E tu che cosa penseresti se mi sorprendessi in quell'atteggiamento con una mia ex, e poi saltasse fuori che io mi incontro di nascosto con lei?" "Io non l'ho fatto di nascosto!" obiettò Lexie alzando in aria le braccia. "Te l'ho detto... sono rimasta da Doris quasi tutta la sera, ma non capivo bene che cosa fosse accaduto. Ero in ansia per Rachel, così sono passata da Rodney per chiederglielo" "Dopo averlo tenuto per mano, naturalmente" Gli occhi di Lexie lampeggiarono, ma la sua voce cominciò a incrinarsi. "No", rispose, "non è vero. Ci siamo solo seduti sulla veranda a parlare. Quante volte devo ripetertelo?" "Magari finché non ammetterai di avermi mentito" "Non avevo nessuna intenzione di mentirti!" Lui la fissò. "Hai mentito, lo sai", ribadì con voce tagliente. Le puntò contro un dito accusatore. "Il che è già grave. Ma quello che mi fa più male, che mi ferisce di più, è che ti ostini a negarlo" Detto questo, scese dalla veranda e si avviò a grandi passi verso la macchina senza voltarsi indietro. Jeremy sfrecciava nella notte a tutta velocità, incerto sul da farsi. Non voleva tornare al Greenleaf, né poteva immaginare di entrare al Lookila, l'unico locale aperto a quell'ora. Pur essendoci già stato un paio di volte, non desiderava passare il resto della serata seduto al bar perché sapeva che la sua presenza avrebbe destato scalpore. Se aveva imparato qualcosa della provincia era che le notizie viaggiavano in fretta, soprattutto quelle brutte, e non gli andava che qualcuno cominciasse a speculare su di lui e Lexie. Continuò ad aggirarsi per le strade senza una direzione precisa. Boone Creek non era New York, e non c'era nessun posto dove confondersi tra la folla. Non c'era nemmeno la folla. Certe volte odiava quella città.
Lexie poteva dire ciò che voleva sul magnifico paesaggio e sui suoi concittadini che erano come una famiglia. Ma era figlia unica, e orfana per di più, e non aveva mai fatto parte di una grande famiglia come lui, quindi non sapeva di che cosa stava parlando. Certo, la maggior parte delle persone che aveva conosciuto era gentile ed amichevole, ammise Jeremy, ma cominciava a chiedersi se il loro non fosse soltanto un atteggiamento esteriore, tanto per salvare le apparenze. Dietro la facciata pulita c'erano intrighi e segreti, come dappertutto, solo che lì la gente cercava di tenerli nascosti. Per esempio, Doris. Mentre lui le domandava di Rachel, lei e Lexie si scambiavano segnali, con l'intenzione di tenerlo all'oscuro. Oppure il sindaco Gherkin. Invece di limitarsi ad aiutarlo a ottenere l'autorizzazione per il matrimonio, aveva pensato al proprio tornaconto. Una qualità andava riconosciuta ai newyorchesi: se erano arrabbiati, te lo facevano sapere, e non cercavano di addolcirti la pillola, specie se si trattava di questioni di famiglia. Tutti ti dicevano la verità chiara e tonda. Avrebbe preferito che anche Lexie fosse un po più esplicita, concluse. A quel punto Jeremy non riusciva a decidere se la sua rabbia stesse crescendo o sbollendo; non sapeva se tornare da lei per cercare di appianare le cose, oppure se rimanere da solo per chiarîrsi le idee. Era sicuro che gli nascondesse qualcosa, ma cosa diavolo poteva essere? Nonostante la sua ira e le prove, non poteva credere che Lexie avesse una relazione segreta con Rodney. A meno che lui non fosse stato del tutto cieco, e sinceramente ne dubitava. Però, lei manifestava una strana reticenza quando si affrontava quell'argomento. E poi, c'era l'e-mail che... Dopo aver fatto il giro della città per la terza volta, si diresse verso la campagna. Proseguì in quella direzione per qualche minuto, poi svoltò e si fermò davanti al cimitero di Cedar Creek, il luogo dove comparivano le luci misteriose che lo avevano
condotto a Boone Creek. Era lì che aveva incontrato Lexie per la prima volta. Subito dopo essere giunto in città si era recato al cimitero per scattare qualche foto prima di iniziare le ricerche per l'articolo che intendeva scrivere, e ricordava ancora la sua apparizione, che lo aveva colto di sorpresa. All'improvviso gli era venuta incontro con quella sua tipica andatura e i capelli scompigliati dal vento. Era sempre lì che lei in seguito gli aveva raccontato degli incubi che la tormentavano da bambina. Sceso dall'auto, Jeremy rimase colpito da quanto apparisse diverso quel posto senza la nebbia. La notte in cui aveva potuto osservare le luci misteriose il cimitero era avvolto dalla bruma e aveva un aspetto incorporeo, come se fosse sospeso nel tempo. Quella sera, invece, sotto il limpido cielo di aprile e con la luna piena, lui riusciva a scorgere le singole lapidi e anche i punti dove aveva piazzato le telecamere per riprendere il fenomeno. Varcò il cancello di ferro battuto e udì lo scricchiolio della ghiaia sotto i piedi. Non era più stato al cimitero dal suo trasferimento a Boone Creek e, mentre si inoltrava nel vialetto, i suoi pensieri tornarono a Lexie. Gli aveva detto la verità? si chiese. In parte. Gli avrebbe raccontato spontaneamente dov'era andata? Forse. E lui aveva il diritto di essere in collera? Sì, si disse, ne aveva tutto il diritto. Non gli piaceva litigare con lei, pensò. Né il modo in cui lo aveva guardato quando aveva capito che l'aveva seguita. Non gradiva mostrare quel lato della propria personalità. A essere sincero, avrebbe preferito non vedere mai Lexie e Rodney insieme. Era servito soltanto ad accendere i suoi sospetti, e si ripeté ancora una volta che non aveva motivo di dubitare. Era vero, lei era stata a casa di Rodney, però Rachel era scomparsa e lui era senza dubbio la persona più indicata con cui parlarne. Ma l'e-mail...
Non voleva pensare nemmeno a quella. All'improvviso gli sembrò che il cimitero si illuminasse. Non era possibile le luci spettrali apparivano soltanto nelle notti di nebbia ma guardando meglio, Jeremy si rese conto che non si sbagliava. La luce stava effettivamente aumentando. Poi udì l'inconfondibile rombo di un motore. Si girò e scorse i fari che spuntavano da dietro la curva. Si chiese chi andasse in giro a quell'ora di notte e rimase ancor più sorpreso quando notò che l'auto si fermava proprio dietro la sua. Nonostante l'oscurità, un attimo dopo riconobbe la sagoma corpulenta di Gherkin che scendeva. "Jeremy Marsh?" chiamò il sindaco. "É lì dentro?" Jeremy fu tentato di non rispondere, ma la macchina nel parcheggio tradiva la sua presenza. "Sì, sono qui". "Dove? Non riesco a vederla" "Da questa parte, vicino al grande albero", gridò Jeremy. Il sindaco si incamminò e si sentirono i suoi passi sulla ghiaia. "Che cosa sta combinando, Jeremy? L'ho cercata dappertutto. Tuttavia, non mi sorprende troppo trovarla in questo posto. In ogni caso, potrei indicargliene di migliori, se vuole stare da solo a riflettere. Ma in certi casi un uomo sente il bisogno di tornare sul luogo del delitto, vero?" Mentre lui si avvicinava, al chiaro di luna Jeremy poté osservare il suo abbigliamento: pantaloni sintetici rossi, maglietta viola con la zip e giacca sportiva gialla. Somigliava ad un uovo di Pasqua. "Che cosa ci fa qui, sindaco?" "Be, sono venuto a parlare con lei, è logico" "Riguardo all'astronauta? Le ho lasciato un messaggio sulla segreteria dell'ufficio..." "No, no, non si tratta di questo. Ho ricevuto il messaggio, grazie. Non avevo dubbi che sarebbe riuscito nell'impresa, dato che è una celebrità. In realtà è successo che, mentre stavo facendo i conti nel mio emporio, l'ho vista passare dalla vetrina sulla sua auto. L'ho salutata con la mano, ma evidentemente
lei non se n'è accorto. E così mi sono detto: chissà perché Jeremy Marsh ha tanta fretta" Lui alzò le mani per interromperlo. "Signor sindaco, veramente non sono dell'umore giusto..." Il sindaco proseguì imperterrito. "Quando è passato una seconda e poi una terza volta, ho cominciato a domandarmi se magari non avesse bisogno di parlare con qualcuno. Allora mi sono chiesto: dove potrebbe andare Jeremy Marsh? E..." Gherkin fece una pausa ad effetto, poi si diede una pacca sulla gamba per enfatizzare le sue parole. "Pensa che ti ripensa, alla fine ho avuto un'illuminazione. Ma certo, al cimitero!" Jeremy lo guardava perplesso. "Come le è venuto in mente che potessi venire proprio qui?" Il sindaco sorrise compiaciuto e indicò la gigantesca magnolia che cresceva proprio in mezzo al cimitero. "Vede quello?" Jeremy seguì il suo sguardo. Con le radici contorte ed i lunghi rami, l'albero doveva avere come minimo un centinaio di anni. "Le ho mai raccontato la sua storia?" "No, ma..." "Lo piantò Coleman Tolles, uno dei nostri più illustri concittadini, prima della Guerra di Aggressione nordista. Lui era il proprietario dello spaccio alimentare ed aveva per moglie la donna più carina della zona. Si chiamava Patricia, e per molto tempo c'è stato un suo ritratto in biblioteca, che poi è andato distrutto nell'incendio dell'edificio. Mio padre diceva che a volte andava lì solo per guardarlo" Jeremy scosse il capo, impaziente. "Signor sindaco..." "Mi lasci finire, per favore. Credo che questo possa gettare un po di luce sul suo piccolo problema" "Quale problema?" "Ma quello che ha con la signorina Lexie. Se fossi in lei, non credo che sarei troppo entusiasta di scoprire che ha passato del tempo con un altro uomo"
Jeremy lo guardò, allibito. "Come le dicevo, Patricia era una donna molto bella e, prima di riuscire a sposarla, Coleman le aveva fatto la corte per anni. Praticamente tutti gli scapoli della contea la corteggiavano e lei non disdegnava di essere al centro di tante attenzioni ma alla fine fu il buon Coleman a conquistare il suo cuore. Il loro fu il matrimonio più sfarzoso che si fosse mai visto da queste parti. Avrebbero potuto vivere felici e contenti, suppongo, ma non era destino. Il fatto è che Coleman era un tipo molto geloso, e sua moglie non se la sentiva di essere scortese con i giovanotti che erano stati così gentili con lei" Gherkin fece una pausa prima di continuare. "Discutevano sempre per questa ragione e Patricia ne soffriva molto. Finì per ammalarsi e rimase a letto due settimane prima che il buon Dio la chiamasse a sé. Coleman era un uomo distrutto e, dopo il funerale, piantò una magnolia in sua memoria. Ed eccola ancora qui, rigogliosa, la nostra versione verde del Taj Mahal!" Jeremy lo fissò. "É una storia vera?" domandò alla fine. Il sindaco alzò la mano destra come per fare un giuramento. "Che io sia fulminato se non lo è" Lui non riusciva a capire come avesse fatto quell'uomo a essere al corrente dei suoi guai. Gherkin si infilò le mani nelle tasche. "Ed è anche molto appropriata alla sua situazione. Come la fiamma attira la falena, lei è stato attratto qui da quest'albero" "Signor sindaco..." "So cosa sta pensando, Jeremy. Vuole sapere come mai non glielo abbia raccontato prima, quando aveva intenzione di scrivere del cimitero" "Non esattamente" "Forse si domanda come mai ci siano tante storie affascinanti che riguardano questa bella cittadina. La nostra comunità ha un glorioso passato, sa. Potrei raccontarle aneddoti molto interessanti sulle vecchie dimore che ci sono qui"
"Non è nemmeno questo", replicò Jeremy. "Allora suppongo si starà chiedendo come faccio a sapere della signorina Lexie e di Rodney" Jeremy lo guardò con aria interrogativa. Il sindaco si limitò a scrollare le spalle. "Nelle piccole città, le voci corrono". "Vuol dire che ne sono a conoscenza tutti?" "No, certo che no. Solo alcuni, penso, e sono certo che preferiranno essere dîscreti. Il fatto è che anch'io sono preoccupato per la misteriosa scomparsa di Rachel. Prima che lei parlasse con Doris oggi pomeriggio, sono stato da Herbs, e la mia vecchia amica era in ansia. É molto affezionata a quella ragazza, sa. Insomma, ero lì quando Rodney è arrivato e ci sono passato di nuovo dopo che lei era tornato al Greenleaf" "Va bene, ma il resto?" "Oh, è stata una semplice deduzione", rispose Gherkin. "Rodney e Rachel escono insieme, però hanno qualche incomprensione, il nostro vicesceriffo e Lexie sono amici, e poi io la vedo girare in macchina per la città guidando come un pazzo. Non ci è voluto molto per capire che Lexie era andata da Rodney per parlargli e lei ne era rimasto sconvolto, dato lo stress a cui è sottoposto in questo periodo" "Stress?" "Ma sicuro. Il matrimonio, la casa, la gravidanza di Lexie". "Sa anche questo?" "Jeremy, ragazzo mio, deve capire che la gente da queste parti è molto perspicace. Non c'è molto altro da fare qui, se non immaginare che cosa succede nella vita altrui. Ma non si preoccupi, la mia bocca rimarrà sigillata fino all'annuncio ufficiale. Come primo cittadino, devo tenermi al disopra dei pettegolezzi che circolano tra la popolazione" Jeremy si ripromise di passare più tempo possibile al sicuro nella sua stanza al Greenleaf. "Ma la ragione principale per cui sono venuto qui è che volevo raccontarle una storia sulle donne"
"Un'altra?" Gherkin alzò le mani. "Veramente è più una lezione di vita che una storia. Riguarda mia moglie Gladys. Non mi fraintenda, è una donna eccezionale, ma in certi momenti del nostro matrimonio non è stata del tutto sincera con me. Io ci ho sofferto per parecchio tempo, e a volte abbiamo anche litigato per questo, ma alla fine ho capito che se una donna ti ama davvero, non puoi sempre aspettarti che ti dica la verîtà. Vede, loro sono più sensibili alle emozioni rispetto agli uomini e se non sono sincere, nove volte su dieci è perché ritengono che la verità potrebbe ferire i nostri sentimenti. Ma ciò non significa che non ci amino" "Sta forse sostenendo che fanno bene a mentire?" "No, ma che, se mentono, spesso lo fanno perché ci vogliono bene" "E se io preferissi sentirmi dire la verità?" "Ebbene, ragazzo mio, allora dovrà prepararsi ad accettarla nello spirito con cui le viene offerta" Jeremy ci pensò su. Nel silenzio, Gherkin rabbrividì. "Si sta facendo un po freschino qua fuori, vero? Ma prima di andare volevo aggiungere una cosa. In cuor suo, lei sa che Lexie la ama. Lo sa Doris, lo so io, lo sa tutta la città. Quando vi si vede insieme, ci si aspetterebbe quasi di sentire cantare gli angeli, perciò non ha motivo di preoccuparsi se la sua fidanzata è stata da Rodney per confortarlo in un momento di bisogno" Jeremy distolse lo sguardo. Sebbene l'uomo fosse ancora in piedi accanto a lui, di colpo si sentì molto solo. Tornato al Greenleaf, Jeremy si chiese se fosse il caso di ritelefonare ad Alvin. Ma non aveva voglia di raccontargli di nuovo quello che era successo, né era pronto ad accettare il consiglio di Gherkin. Qualche bugia poteva forse funzionare nel menage coniugale del sindaco, però non era quello che lui desiderava. Era stanco dei malintesi con la fidanzata, dei preparativi del
matrimonio e dei lavori di ristrutturazione, stanco di non essere più capace di scrivere. Da quando si era trasferito laggiù la sua vita era diventata una serie di fallimenti, e per che cosa, poi? Perché amava Lexie? E allora come mai era lui ad accollarsi tutto lo stress, mentre lei sembrava stare benissimo? Perché mai doveva fare il mulo da soma? No, ammise, non era del tutto vero. Anche Lexie era stressata. E per di più era incinta. Era lei a svegliarsi di notte piangendo a dirotto, era lei che doveva stare attenta a tutto ciò che mangiava e beveva. Solo che riusciva ad affrontare le difficoltà meglio di lui. Non sapendo che cosa fare, si avvicinò al computer. Se non riusciva a scrivere, almeno poteva dare un'occhiata alla posta. Quando arrivò al primo messaggio, tuttavia, rimase a fissarlo ammutolito. LEI TI HA DETTO LA VERITÀ? LEGGI IL TACCUINO DI DORIS E TROVERAI LA RISPOSTA.
Capitolo nono. "Non so che dirti", dichiarò Alvin in tono perplesso. "Secondo te, che cosa significa?" Dopo aver riletto il messaggio una decina di volte, Jeremy si era deciso a chiamarlo. "Non lo so neanch'io" "Hai guardato nel taccuino di Doris?" "No", rispose Jeremy, "ho appena ricevuto l'e-mail. E sto ancora tentando di capire che senso abbia" "Forse dovresti fare come dice il messaggio", gli suggerì Alvin. "E a che scopo?" chiese Jeremy. "Non so nemmeno cosa dovrei cercare. Inoltre, ti posso garantire che il taccuino non
c'entra niente con quello che sta accadendo qui" "A che ti riferisci?" Jeremy si appoggiò alla spalliera della sedia, poi si alzò per camminare, quindi tornò a sedersi e raccontò all'amico gli avvenimenti delle ultime ore. Quando ebbe concluso, Alvin rimase in silenzio. "Scusa se te lo chiedo, ma voglio essere sicuro di aver sentito bene", commentò alla fine. "Lexie è stata a casa di Rodney?" "Esatto", confermò Jeremy. "E non ti ha detto niente?" Lui si sporse in avanti, cercando la risposta migliore. "No, però mi ha assicurato che intendeva farlo" "E tu le credi?" Era proprio quello il punto cruciale dell'intera faccenda, giusto? Lei glielo avrebbe riferito spontaneamente? "Non so", confessò Jeremy. Dopo una breve pausa Alvin affermò: "Te lo ripeto, non so che dirti" "Secondo te, perché qualcuno dovrebbe mandarmi messaggi del genere?" "Forse è a conoscenza di qualche fatto di cui tu sei all'oscuro", osservò l'amico. "Oppure vuole soltanto farci separare", obiettò Jeremy. "Tu l'ami?" chiese Alvin. Lui si passò una mano tra i capelli. "Più della mia vita". Per consolarlo, l'amico esclamò in tono allegro: "Se non altro, entrerai nella nuova fase della tua vita con una festa da urlo sabato prossimo. Mancano solo sei giorni". Jeremy sorrise. "Ci sarà da divertirsi". "Puoi ben dirlo. Non capita spesso che il mio migliore amico si sposi. Sono ansioso di rivederti. E poi, un viaggetto in città ti farà bene. Sono venuto laggiù, ricordi? E so per esperienza che non c'è niente da fare se non guardarsi crescere le
unghie" E ficcare il naso negli affari altrui, pensò Jeremy. Ma non lo disse. "Ascoltami, telefonami se per caso trovi qualcosa nel taccuino di Doris. Comincio a essere incuriosito dalle tue avventure" "Io non considererei queste e-mail come un'avventura" "Chiamale come ti pare. Ma devi ammettere che ti fanno riflettere, no?" "Questo è sicuro", riconobbe Jeremy. "Mi danno da pensare, eccome" "In fondo, se vuoi sposarla, devi poterti fidare di lei, no?" "Lo so", ribatté Jeremy. "Credimi, lo so bene". Per la seconda volta nel corso della serata Jeremy si ritrovò a chiedersi che cosa significasse fidarsi di qualcuno. Tutto si riduceva a quello. In genere era semplice, ma ultimamente non lo era stato affatto. Poi c'erano le e-mail. Non una, ma due. E la seconda... E se, leggendo il taccuino di Doris, avesse davvero scoperto qualcosa su Lexie che preferiva ignorare? Ciò avrebbe influenzato i sentimenti che provava per lei? Lo avrebbe indotto a gettare la spugna e a scappare via senza nemmeno voltarsi indietro? Cercò di rimettere insieme i pezzi di quel rompicapo. Chi aveva mandato i messaggi non solo sapeva che Lexie era incinta, ma si era addirittura spinto a insinuare che, nel taccuino, lui avrebbe trovato qualche segreto che lei gli aveva tenuto nascosto. Ancora una volta l'implicazione era che qualcuno voleva che loro due rompessero. Ma chi poteva essere? Certo, tutti in città potevano sapere della gravidanza di Lexie; pochi, tuttavia, erano al corrente che lui era in possesso del taccuino e c'era solo un'altra persona a parte lei che ne conosceva il contenuto. Doris. Ma non aveva senso. Era stata proprio lei a favorire il loro
incontro e, se c'erano state delle difficoltà, li aveva sempre aiutati ad appianarle... Era ancora immerso nelle sue riflessioni quando si accorse che stavano bussando alla porta. Attraversò la camera e andò ad aprire. Sulla soglia, Lexie si sforzava di sorridere. Nonostante l'aria spavalda, aveva gli occhi rossi e gonfi e lui capì che aveva pianto. All'inizio nessuno dei due parlò, poi lei gli fece un timido saluto. "Ciao, Lexie", rispose Jeremy rimanendo immobile. Lei allora abbassò lo sguardo. "Ti starai chiedendo che cosa ci faccio qui, vero? Speravo che saresti tornato da me, ma non l'hai fatto" Vedendo che lui restava in silenzio, si scostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "Sono venuta a chiederti scusa. Avevi ragione tu. Avrei dovuto dirtelo, e ho sbagliato a comportarmi in quel modo" Jeremy la guardò per un istante prima di fare un passo indietro. A quel tacito invito, lei entrò nella camera e si mise a sedere sul letto. Lui si accomodò sulla sedia. "Perché non me lo hai detto?" le chiese. "Non lo sapevo ancora", rispose lei. "Puoi anche non crederci, ma quando sono uscita da casa di Doris avevo intenzione di tornare a casa e poi... mi è venuto in mente che forse avrei dovuto parlare con Rodney. Pensavo che lui avesse qualche idea di dove era andata Rachel" "E la volta prima?" domandò Jeremy. "Sulla passerella. Perché non mi hai parlato nemmeno di quello?" "Rodney è un mio amico, e sta passando un brutto momento. Capisco che quel giorno devi avere avuto una brutta impressione, ma lui e io ci conosciamo da molto tempo e volevo solo offrirgli un po di conforto" Jeremy notò che lei era stata molto attenta a non rispondergli direttamente. Si chinò in avanti sulla sedia. "Basta giochetti, Lexie, d'accordo?" disse con voce seria e ferma. "Non sono
dell'umore giusto. Voglio sapere soltanto perché non me ne hai parlato" Lexie si voltò verso la finestra, ma lui vedeva la luce della lampada riflessa nei suoi occhi. "Era... difficile. Si trattava di una situazione complicata anche per me. E non volevo coinvolgerti" Rise nervosa. "Ma invece è successo proprio questo, eh?" Fece un lungo respiro prima di continuare. "Il fatto è che Rodney e Rachel hanno litigato spesso ultimamente per colpa mia" La sua voce si addolcì. "Rachel è un po gelosa di me. Sa quello che Rodney un tempo provava nei miei confronti, ed è convinta che non l'abbia ancora del tutto superato. E poi pare che ogni tanto lui tiri fuori il mio nome nei momenti meno opportuni. Ma stando a Rodney, lei esagera. Stavamo parlando di questo sul lungofiume" Jeremy unì le mani. "Lui prova qualcosa per te?" "Non lo so", rispose Lexie. Di fronte all'espressione perplessa di Jeremy, si affrettò ad aggiungere: "Potrà sembrarti strano, ma è così. Vuoi che ti dica se Rodney mi vuole ancora bene? Sì, credo di sì, dato che ci conosciamo da quando eravamo piccoli. Si sarebbe messo con Rachel se noi due non ci fossimo fidanzati? Penso di sì. Ti ho già spiegato che quei due mi sembrano fatti l'uno per l'altra. Però..." Si interruppe, accigliata. "Non lo sai con certezza", concluse Jeremy. Nei suoi panni, probabilmente nemmeno lui avrebbe potuto dare una risposta più precisa, si disse. "Infatti", confermò lei. "Ma lui ha accettato il fatto che sono fidanzata con un altro. Si è rassegnato di fronte all'evidenza, e penso anche che Rachel gli piaccia. Lei però è molto suscettibile e credo che Rodney inconsapevolmente peggiori le cose. Mi ha detto che un giorno si è infuriata con lui perché, mentre passavano in macchina davanti alla biblioteca, ha alzato lo sguardo verso la finestra del mio ufficio. Sono andati avanti
per ore a litigare. Rodney le ripeteva che il suo era stato un gesto automatico, che non significava niente, e Rachel insisteva che lui non mi avrebbe mai dimenticato, e che le sue erano solo scuse. Il giorno dopo, dato che era ancora sconvolto dall'accaduto, è passato da me per chiedermi consiglio, e così siamo andati a parlare sulla passerella" Si raddrizzò con un sospiro. "E stasera, come ti ho detto, ho deciso all'ultimo momento. Io sono affezionata ad entrambi, e voglio che tra di loro funzioni, così mi sento in obbligo di provare ad aiutarli. O almeno di ascoltare, se uno dei due vuole sfogarsi con me. É come se mi avessero invischiato in questa storia, e non so come uscirne, né come comportarmi" "Forse hai fatto bene a non dirmi niente. Questi melodrammi del Sud non sono il mio genere" A quel punto lei sembrava un po più rilassata. "Nemmeno il mio, credimi. A volte vorrei essere di nuovo a New York, dove tutti sono estranei. Per me è stato molto difficile, e la cosa peggiore è che ti ho fatto arrabbiare. Ti ho insospettito e poi ho aggravato la situazione cercando di mascherare l'accaduto. Non hai idea di quanto mi dispiaccia. Non succederà più" Ora la sua voce si stava incrinando; quando la vide passarsi le dita sugli occhi, Jeremy si alzò dalla sedia e andò a sedersi sul letto accanto a lei. Le prese la mano mentre le sue spalle cominciavano a tremare ed il respiro le diventava affannoso. "Ehi", mormorò Jeremy, "tesoro, non piangere" Quelle parole liberarono le sue emozioni, e Lexie si nascose il viso tra le mani. I suoi singhiozzi erano profondi e strazianti, come se li avesse trattenuti per ore, e quando lui la cinse per le spalle il suo pianto si fece più disperato. "É tutto a posto", la rassicurò Jeremy. "Non... è... vero", singhiozzò lei, il viso sempre nascosto tra le mani.
"Dico sul serio, ti ho perdonato" "Non... è... vero. Ho visto... come... mi guardavi... quando sono... arrivata". "Perché ero ancora arrabbiato. Adesso non lo sono più". Lei fu scossa da un fremito. "Sì, invece", disse, senza sollevare il viso. "Tu... mi... odi. Stiamo per avere... un figlio e non... facciamo altro che... litigare..." La situazione era grave. Disorientato, Jeremy si ricordò che lei era in preda ad una tempesta ormonale. Come la maggior parte degli uomini, tendeva ad imputare ogni sfogo emotivo agli ormoni, ma in questo caso la sua sembrava un'ipotesi corretta. "Non ti odio. Ero arrabbiato con te, ma adesso è tutto passato" "Io... non amo... Rodney... amo te". "Lo so" "Non parlerò mai più con Rodney..." "Puoi parlargli. Ma non a casa sua, d'accordo? E non tenergli la mano, va bene?" La sua affermazione, se possibile, la fece singhiozzare persino più forte. "Lo sapevo... che eri ancora... arrabbiato... con me..." Lexie impiegò una mezz'ora a smettere di piangere; verso la fine Jeremy aveva deciso che era meglio non dire niente, se non che non era più arrabbiato. Qualsiasi altra dichiarazione sembrava peggiorare le cose. Come un bambîno piccolo dopo una crisi di pianto, ogni trenta secondi circa lei faceva un paio di respiri spezzati, e il viso le si contraeva mentre era sul punto di ricominciare. Non volendo provocare un altro attacco, lui rimase seduto in silenzio aspettando che si riprendesse. "Uau", disse lei dopo un po con voce roca. "Già", concordò Jeremy. "Uau". "Mi spiace" Era turbata almeno quanto lui. "Non so che cosa mi sia successo" "Hai pianto"
Lexie gli scoccò un'occhiataccia che tuttavia, con gli occhi gonfi e rossi, non ebbe il solito effetto. "Hai scoperto qualcosa su Rachel?" domandò Jeremy. "Non molto. Rodney ritiene che non sia partita oggi, ma ieri dopo il lavoro. Avevano litigato la sera prima, e Rachel gli ha detto che era finita e che non voleva vederlo mai più. Più tardi, quando è passato davanti a casa sua, la macchina non c'era" "La spiava?" chiese Jeremy, lieto di scoprire di non essere l'unico. "No, voleva riconciliarsi. Ma in ogni caso, se Rachel è partita venerdì sera... non so, forse ha intenzione di stare via per tutto il weekend. Questo comunque non spiega come mai non abbia avvisato che non si sarebbe presentata al lavoro stamattina, né ci dice dove si sia cacciata" Jeremy ci pensò su, ricordando che Doris aveva accennato al fatto che lei non aveva amici fuori città. "Non potrebbe essere andata al mare, o qualcosa del genere? Forse voleva restare da sola. O almeno lontana da Rodney per un po". "Chi lo sa... Ma anche prima di questa fuga..." Fece una pausa per cercare le parole giuste. "Si comportava stranamente negli ultimi tempi. Per esempio, con me. Come se stesse attraversando una crisi di mezza età" "É troppo giovane", le fece notare Jeremy. "Come hai detto tu, la fuga ha piuttosto a che fare con la sua storia con Rodney" "Lo so... però ci dev'essere altro. Sembrava quasi reticente. Lei è un tipo che parla sempre, ma quando siamo andate a comperare il suo vestito da testimone, non ha quasi aperto bocca. Come se mi volesse tenere nascosto qualcosa" "Forse aveva progettato questo weekend da parecchio" "Può darsi", rispose Lexie. "Non saprei proprio". Rimasero entrambi a lungo in silenzio. Lexie tentò di nascondere uno sbadiglio, poi guardò Jeremy con aria afflitta. "Scusami. Sono un po stanca".
"Piangere per un'ora è impegnativo" "E anche la gravidanza", aggiunse lei. "Ultimamente mi sento spesso sfinita. Al lavoro chiudo persino la porta dell'ufficio per poter appoggiare la testa sulla scrivania" "Prenditela comoda. Hai in grembo un figlio mio, non dimenticarlo. Faresti meglio a tornare a casa per dormire un po". Lei lo guardò. "Vuoi venire da me?" Lui ci pensò. "Meglio di no", rispose. "Sai come va a finire, sennò" "Vuoi dire che non mi lasci dormire?" "Esatto, non posso farne a meno" Lei annuì, improvvisamente seria. "Sei sicuro di non volere restare qui a causa di..." "No", la interruppe lui con un sorriso. "Non sono più arrabbiato con te. Adesso che ho capito, mi sento meglio". Lexie lo baciò, quindi si alzò dal letto. "Bene", disse stiracchiandosi. Lui si accorse che il suo addome non era più piatto come un tempo e il suo sguardo indugiò un momento di troppo. "Non fissare la mia ciccia", lo rimproverò lei, irritata. "Non è ciccia", ribatté lui automaticamente, compiaciuto. "Aspetti un bambino e sei splendida" Lei lo aveva guardato mentre rispondeva, come se si fosse chiesta qual era il vero motivo per cui aveva declinato il suo invito, ma poi avesse deciso che era meglio non sollevare di nuovo la questione. Jeremy si alzò e l'accompagnò alla porta. Dopo averla salutata con un bacio, la osservò raggiungere l'auto mentre ripercorreva mentalmente la serata. "Ehi, Lexie?" Lei si voltò. "Sì?" "Volevo chiederti una cosa. Doris ha un computer?" "Doris? No" "Nemmeno al ristorante?" "No", rispose Lexie. "Forse non esiste nessuno più all'antica di lei. Dubito persino che saprebbe accenderlo. Perché me
lo domandi?" "Niente di particolare" Lesse la confusione sul suo viso, ma non aveva voglia di entrare nei dettagli. "Dormi bene", le augurò. "Ti amo". "Anch'io ti amo", disse lei a bassa voce. Aprì la portiera e si sedette al volante. Jeremy la vide accendere il motore, fare retromarcia e percorrere il vialetto di ghiaia, con le luci posteriori che si rimpicciolivano fino a svanire. Pochi minuti dopo era alla scrivania, la schiena appoggiata alla spalliera della sedia, i piedi sul tavolo. Quella sera si erano spiegate molte cose, e tutto era perfettamente logico. I suoi sospetti su Rodney erano stati messi a tacere sempre ammesso che ne avesse avuti, tanto per cominciare ma rimaneva ancora la faccenda delle e-mail. Se non era stata Doris a mandarle, allora chi? Sullo scrittoio c'era il suo taccuino, e lui lo fissò. Quante volte si era chiesto se fosse il caso di sfogliarlo nella speranza di trovare l'ispirazione per un articolo? Per qualche ragione aveva sempre evitato di farlo, ma ripensò all'ultimo messaggio ricevuto. LEI TI HA DETTO LA VERITÀ? LEGGI IL TACCUINO DI DORIS E TROVERAI LA RISPOSTA. Quale verità? E che cosa doveva trovare? Che risposta avrebbe ottenuto? Non lo sapeva, né era sicuro di volerlo scoprire. Ma con quelle parole che gli ronzavano nella mente, afferrò il taccuino suo malgrado.
Capitolo decimo. Toby Roy Bennet, nato il 31 agosto 1995. 12 luglio 1995, Terry Miller, 27 anni, 9¦ settimana. Nausee mattutine. Secondo figlio. FEMMINA. Sophie May Miller, nata l'11 febbraio 1996. Jeremy esaminò il taccuino per gran parte della settimana seguente. In genere Doris era stata molto meticolosa nelle annotazioni. In totale comparivano 232 nomi per esteso, tutti scritti a penna; altre 28 donne erano indicate solo con le iniziali, anche se non venivano fornite spiegazioni per la loro mancata identificazione. Nella maggior parte dei casi lei aveva inserito la data della visita, una stima del periodo di gestazione ed una previsione sul sesso del nascituro. Le madri avevano firmato in calce. Tre di loro quando erano andate lì non sapevano neppure di essere incinte. Sotto ciascuna previsione Doris aveva lasciato uno spazio bianco, dove aveva aggiunto in seguito il nome del neonato, a volte con una penna di colore diverso. In qualche caso aveva allegato anche l'annuncio della nascita comparso sui giornali e come gli aveva detto Lexie aveva sempre indovinato. In tredici occasioni non aveva predetto il sesso del nascituro, e dalle note inserite successivamente Jeremy capì che lei aveva intuito che quelle donne non avrebbero portato a termine la gravidanza. Le varie registrazioni si succedevano una dietro l'altra in ordine cronologico. 19 febbraio 1995, Ashley Bennet, 23 anni, 12¦ settimana. Tom Harker il padre. MAscHIO. Continuò a leggere, cercando indizi o stranezze. Rilesse tutto, annotazione per annotazione, cinque o sei volte. Verso mercoledì cominciò ad avvertire una certa inquietudine, come se ci fosse qualcosa che gli sfuggiva, e stavolta cominciò dalla fine.
E poi di nuovo. Era venerdì mattina quando infine trovò quello che cercava. Aveva appuntamento con Lexie di lì a mezz'ora, per concludere l'acquisto della casa. Non aveva ancora preparato i bagagli per il suo viaggio a New York, ma rimase a lungo a fissare l'annotazione scritta da Doris con la sua calligrafia tremolante. 28 settembre 1996, L. M. D., 28 anni, 7¦ settimana. Probabile padre Trevor Newland. Scoperto per caso. Non c'era scritto altro, il che significava che la madre aveva avuto un aborto spontaneo. Jeremy afferrò il taccuino, di colpo senza fiato. Non c'era il nome, ma lui riconosceva le iniziali. L. M. D. Lexie Marin Darnell. Incinta di un altro, pensò. Una nuova omissione. Un'ennesima bugia... Nella sua mente si agitava una ridda di pensieri. Lexie gli aveva mentito di nuovo, proprio come aveva fatto a proposito dell'incontro con Rodney... e anche prima, quando aveva negato di conoscere la causa delle luci nel cimitero. Bugie e verità nascoste... Era un modello comportamentale? Serrò le labbra. Chi era lei? Perché agiva in quel modo? E come mai non glielo aveva detto? Questo lui lo avrebbe capito. Non sapeva se essere più arrabbiato od addolorato. Aveva bisogno di riflettere, ma non c'era tempo. In breve, lui e Lexie sarebbero diventati proprietari di una casa; nel giro di una settimana si sarebbero sposati. Alvin aveva avuto ragione fin dal principio, si disse. Lui non la conosceva, non l'aveva mai conosciuta veramente. Né si fidava del tutto di lei. Certo, Lexie gli aveva spiegato le sue menzogne e, prese singolarmente, ciascuna aveva trovato una sua giustificazione. Ma si trattava di un comportamento ricorrente? Avrebbe dovuto convivere con una continua manipolazione della verità? Sarebbe stato in grado di sopportarlo?
E chi aveva mandato l'e-mail? Ancora una volta, tutto partiva da lì, giusto? L'amico che aveva interpellato perché lo aiutasse a risalire al mittente lo aveva chiamato in settimana per informarlo che molto probabilmente il messaggio era stato mandato da fuori città, e che sperava di dargli presto notizie più precise. Il che significava... che cosa? Al momento non aveva la possibilità di pensarci. Mancavano venti minuti all'appuntamento con il notaio per firmare il rogito. Avrebbe dovuto rimandare? E anche volendo, glielo avrebbero consentito? Troppi pensieri, troppe cose da fare. Inserì il pilota automatico, uscì dalla camera del Greenleaf e dieci minuti più tardi, con la mente in subbuglio, si fermò davanti a casa di Lexie. Scorse un movimento dietro la finestra e un attimo dopo lei uscì sulla veranda. Jeremy notò distrattamente che si era fatta bella per l'occasione. Con indosso un completo pantaloni color nocciola e una camicetta azzurra, gli sorrise, lo salutò con la mano e scese saltellando i gradini d'ingresso. Per un attimo, fu facile dimenticare che aspettava un bambino. Aspettava un bambino... Come la volta precedente. Quella constatazione riaccese la sua rabbia, ma Lexie non sembrò accorgersi di niente mentre saliva in macchina. "Ciao, tesoro, come stai? Per un momento ho temuto che saremmo arrivati in ritardo" Lui non trovò la forza di rispondere. Né di guardarla. Era incerto se affrontare subito l'argomento, oppure aspettare finché avesse avuto il tempo di elaborare la questione in tutte le sue implicazioni. Lei gli posò una mano sulla spalla. "Tutto a posto?" gli chiese. "C'è qualcosa che ti turba?" Jeremy strinse il volante nel tentativo di mantenere il
controllo. "Stavo solo pensando". Lexie lo guardò. "Vuoi parlarne?" "No" Lei continuò a fissarlo, non sapendo bene se fosse il caso di preoccuparsi. Dopo un attimo si appoggiò allo schienale e si allacciò la cintura. "Non è esaltante?" disse, cambiando argomento per alleggerire la tensione. "La nostra prima casa. Dobbiamo festeggiare. Magari potremmo pranzare insieme prima che tu vada all'aeroporto. Dato che non ti vedrò per un paio di giorni". Jeremy ingranò la marcia e partì. "Come vuoi". "Non mi sembri granché entusiasta" Lui fece Finta di essere concentrato nella guida. "Ho detto che va bene" Lei si voltò verso il finestrino. "Grazie tante", borbottò. "Che cosa c'è? Adesso sei tu ad avercela con me?" "Non capisco il motivo del tuo malumore. Stiamo per acquistare una casa, e tu parteciperai alla festa di addio al celibato. Dovresti essere contento. E invece, ti comporti come se stessi andando a un funerale" Jeremy aprì la bocca per replicare, poi ci ripensò. Se avessero cominciato a discutere ora, non avrebbero esaurito la faccenda prima di arrivare dal notaio, si disse. E poi non sapeva bene da che parte cominciare. Ma ne avrebbero parlato in seguito. Questo era sicuro. Rimasero in silenzio per il resto del tragitto, e la tensione tra di loro si fece opprimente. Quando arrivarono allo studio e videro la signora Reynolds che li aspettava fuori, Lexie non aveva più voglia di guardarlo in faccia. Non appena la macchina si fermò, saltò giù e si diresse verso l'agente senza aspettarlo. Bene, pensò lui. Sei arrabbiata? Benvenuta nel club, mia cara. Chiuse la portiera e la seguì lentamente, senza mostrare alcun desiderio di raggiungerla. "Oggi è il grande giorno", annunciò la Reynolds sorridendo. "Siete pronti?"
Lexie annuì e Jeremy non disse niente. La donna li guardò e il sorriso le morì sulle labbra. Aveva vissuto abbastanza da saper riconoscere al volo un litigio. Comprare una casa era un passo impegnativo, e ognuno reagiva in maniera diversa. Ma la cosa non la riguardava: doveva solo indurli a firmare il rogito prima che il bisticcio si trasformasse in qualcosa di più serio, che poteva pregiudicare la vendita. "Ci stanno aspettando", affermò, fingendo di non essersi accorta dei loro musi lunghi. "In sala riunioni". Fece un passo verso la porta. "Da questa parte. State facendo un vero affare. Una volta terminata la ristrutturazione, la casa sarà davvero splendida" Tenne aperta la porta, invitandoli a entrare. "In fondo al corridoio", li esortò ancora. "Seconda porta a sinistra" Dopo che furono entrati, li precedette, costringendoli quasi a seguirla. Loro lo fecero, ma il destino volle che il notaio non fosse nella stanza. "Accomodatevi. Dev'essere uscito un attimo. Vado a vedere". Loro si sedettero agli angoli opposti del tavolo mentre la Reynolds andava a cercarlo. Jeremy si mise a tamburellare sul piano con una matita. "Cosa ti è preso oggi?" chiese infine Lexie. Lui tacque, ignorando il suo tono di sfida. "Non vuoi parlarmi?" Lentamente, alzò gli occhi su di lei. "Raccontami che cosa è successo con Trevor Newland", dîsse in tono tranquillo. "Oppure dovrei chiamarlo il Ragazzo di Chicago?" Le pupille di Lexie si dilatarono quasi impercettibilmente e stava per rispondere, quando la Reynolds ricomparve assieme al legale. I due si accomodarono e l'uomo aprì una cartelletta davanti a loro. Cominciò a parlare, ma Jeremy lo ascoltava appena. La sua mente era tornata al passato, a quando era stato in un ambiente
analogo per formalizzare il suo divorzio da Maria. Sembrava tutto uguale, dal tavolo in ciliegio con le poltroncine imbottite fino agli scaffali con i testi legali e alle grandi finestre da cui entrava la luce del sole. Nei minuti successivi il notaio lesse il contratto di acquisto parola per parola. Li condusse attraverso i numeri, illustrando loro i costi del mutuo bancario, della perizia estimativa e delle tasse. Di colpo il totale parve a Jeremy esorbitante, e altrettanto spaventosa la prospettiva di dover passare i prossimi trent'anni a pagare la casa. Con un nodo alla bocca dello stomaco, firmò nei punti indicati, poi fece scivolare i fogli verso Lexie. Nessuno dei due fece domande, o interruppe il procedimento. A un certo punto lui notò che il legale aveva lanciato un'occhiata interrogativa alla Reynolds, che si era limitata a scrollare le spalle. Alla fine i documenti furono suddivisi in tre cartellette, una copia per il venditore, una per l'archivio legale ed una per gli acquirenti. Jeremy prese le carte che gli venivano consegnate e si alzò. "Complimenti", disse il notaio. "Grazie", rispose lui. Percorsero il corridoio senza pronunciare una parola e, una volta fuori, la Reynolds porse loro le sue congratulazioni prima di avviarsi rapidamente alla macchina. Jeremy e Lexie rimasero immobili sotto il sole, finché lei ruppe il silenzio. "Possiamo andare nella nuova casa?" chiese. Lui la guardò per qualche istante, poi disse: "Non credi che prima sarebbe il caso di parlare?" "Lo faremo lì" La prima cosa che Jeremy notò dopo aver posteggiato la macchina furono i palloncini colorati legati in cima ad un paletto vicino alla porta d'ingresso; sotto c'era uno striscione che
annunciava: BENVENUTO A CASA. Si girò verso Lexie. "Li ho attaccati stamattina", spiegò lei. "Pensavo che sarebbe stata una bella sorpresa" "Infatti lo è", rispose lui. Forse avrebbe dovuto aggiungere qualcosa, ma non se la sentiva. Lexie scosse lievemente la testa. Poi aprì la portiera e scese dalla macchina. Jeremy la guardò avviarsi verso la casa e notò che non si era fermata ad aspettarlo, né si era voltata indietro. Intuì che era delusa almeno quanto lui; che la rabbia di Lexie rispecchiava la sua. Ma perché lei non si decideva ad affrontare la questione che era rimasta in sospeso tra loro? A quel punto era ferma sulla veranda con le braccia conserte, lo sguardo rivolto verso un gruppo di cipressi. La raggiunse, e i passi risuonarono nitidi sulle assi della veranda finché non arrivò al suo fianco. "Avevo organizzato tutto per oggi, sai?" Ora la voce di Lexie era poco più che un sussurro. "Ero così contenta quando ho comperato i palloncini e lo striscione! Immaginavo che, dopo aver firmato il rogito, saremmo andati a prendere qualcosa da Herbs e poi saremmo venuti qui. A festeggiare nella nostra casa, di cui finalmente eravamo diventati proprietari. Pensavo che ci saremmo seduti in veranda e... non so, che saremmo stati felici, perché un giorno come questo è proprio speciale" Fece una pausa. "Invece mi sbagliavo, vero?" Le sue parole lo fecero pentire del proprio comportamento, anche se solo per un istante. Ma non era colpa sua, pensò. Era lei che continuava a tenergli nascoste le cose per mancanza di fiducia. E non poteva certo lasciargliela passare. La sentì fare un respiro profondo prima di affrontarlo. "Perché vuoi sapere di Trevor Newland? Ti ho già raccontato tutto. Comparve in città un'estate di qualche anno fa, abbiamo avuto una storia e alla fine lui è ripartito" "Non è quello che ti ho chiesto. Voglio sapere che cosa è successo tra di voi" "Non capisco dove vuoi arrivare", obiettò lei. "Gli volevo
bene, poi se n'è andato e non ho più avuto sue notizie" "Ma nel frattempo è successo qualcosa", ripeté lui, insistente. "Perché fai così?" chiese lei. "Quando noi due ci siamo conosciuti io avevo trentun anni, Jeremy. Non ero una ragazzina, e non avevo passato la vita in convento. Sì, ho avuto altre storie prima che arrivassi tu, e allora? E qualche volta mi sono anche innamorata. Ma a te è successo lo stesso e io non ti chiedo di Maria e delle tue ex. Non so cosa ti abbia preso ultimamente. Ti inalberi per un nonnulla e devo stare sempre attenta a non offenderti. Sì, forse potevo dirti di più di Trevor, ma visto il tuo comportamento negli ultimi tempi, avremmo finito comunque per litigare" "Il mio comportamento?" "Sì, esatto", rispose lei alzando la voce. "Un po di gelosia è normale, ma questo è ridicolo. Prima Rodney, e adesso Trevor. Dove andremo a finire? Hai intenzione di chiedermi il nome di tutti i ragazzi con cui sono uscita all'università? Vuoi sapere con chi sono andata alla festa del diploma? Oppure chi è stato il primo che ho baciato? Vuoi tutti i particolari?" "La gelosia non c'entra!" esclamò lui. "No? E allora che cos'è?" "É un problema di fiducia" "Fiducia?" lei lo guardò incredula. "Come faccio a fidarmi di te, se tu non ti fidi di me? In quest'ultima settimana non mi sono nemmeno azzardata a salutare Rodney, per paura di quello che potevi pensare. Rachel è tornata, ma non ho ancora avuto il tempo di chiederle qualcosa perché ero troppo impegnata a cercare di farti contento. E proprio quando penso che finalmente le cose tra di noi si siano appianate, te ne vieni fuori con Trevor. Sembra quasi che tu sia alla ricerca di ogni pretesto per litigare, e sono un po stufa" "Non dare la colpa a me", ribatté Jeremy. "Non sono io quello che nasconde dei segreti" "Io non sto nascondendo proprio niente" "Ho letto il taccuino di Doris!" replicò Jeremy. "Ho visto le
tue iniziali!" "Ma di che stai parlando?" "Il suo taccuino!" ripeté. "É scritto nei suoi appunti che L. M. D. era incinta, ma Doris non ha segnato il sesso del bambino, perché intuiva che la donna avrebbe abortito. L. M. D., Lexie Marin Darnell! Eri tu, vero?" Lei deglutì, senza nascondere la sua sorpresa. "Era scritto lì?" "Sì, assieme al nome di Trevor Newland" "Aspetta..." disse in preda ad una confusione crescente. "Non è stato difficile. Ho riconosciuto le tue iniziali, ho letto il suo nome ed ho fatto due più due. Aspettavi un figlio da lui, vero?" "E allora?" gridò lei. "Che importanza ha?" "É solo che mi fa male pensare che non hai creduto abbastanza in me da dirmelo. Sono stanco di questi segreti tra di noi..." "Ti fa male? Ti sei mai soffermato a pensare ai miei sentimenti quando hai letto il taccuino? Non credi che sia stata male anch'io? Che forse non te l'ho detto perché non mi piace ricordare quel periodo? É stato orribile, e non volevo riviverlo. La fiducia nei tuoi confronti non c'entra proprio niente. Nemmeno tu c'entri. Rimasi incinta ed ebbi un aborto. E allora? Tutti commettono degli errori, Jeremy" "Hai frainteso il mio punto di vista" "Qual è il punto? Che stamattina volevi litigare di nuovo e hai cercato un pretesto per farlo? Bene, ci sei riuscito, complimenti. Ma comincio a essere stanca del tuo atteggiamento. So che sei sotto pressione, però non devi prendertela con me" "E questo che cosa significa?" "Mi riferisco al tuo lavoro!" esclamò lei allargando le braccia. "Dipende tutto da quello, e lo sai benissimo. Non riesci a scrivere ed allora ti arrabbi con me, come se fosse colpa mia. Stai ingigantendo qualsiasi cosa, e spetta a me parare i colpi.
Un amico è in difficoltà, io vado a parlare con lui e di colpo non mi fido di te. Non ti dico di aver abortito quattro anni fa e il motivo è che non credo in te. Sono stufa marcia di essere il capro espiatorio perché tu non riesci a scrivere un articolo" "Non fare la vittima, sono io quello che si è sacrificato a venire quaggiù..." "Ecco!" esclamò lei. "Vedi che ho ragione? Tu hai fatto il sacrificio" Lo disse con il massimo disprezzo. "É proprio così che la pensi. Come se ti fossi rovinato la vita trasferendoti qui!" "Non ho detto questo" "No, ma era ciò che intendevi. Tu sei stressato per il lavoro, e non è colpa mia! Anch'io sono stressata, sai? Sono io che devo occuparmi dei preparativi per le nozze, dei lavori di ristrutturazione e di tutto il resto mentre sono incinta. E che cosa ottengo in cambio? "Non mi hai detto la verità" In ogni caso, tu avresti trovato un altro motivo per litigare. Non ti va mai bene quello che faccio. É come se ti fossi trasformato in una persona che non conosco" Jeremy sentì riaccendersi la rabbia dentro di sé. "Anche a te non piace niente di quello che faccio! Non mi vesto nel modo giusto, non ordino il cibo giusto, voglio il modello automobile sbagliato, non posso nemmeno scegliere il tipo di casa in cui andrò ad abitare! Hai preso tu tutte le decisioni e le mie idee non contano niente!" Gli occhi di lei lampeggiarono. "É perché io penso alla nostra famiglia. Tu, invece, pensi solo a te stesso". "Credi di essere così altruista?" ribatté lui con foga. "Io ho dovuto lasciare i miei parenti perché tu non eri disposta a farlo. Ho messo a rischio la carriera perché tu non te la sentivi di trasferirti. Vivo in una catapecchia di motel circondato da animali impagliati perché tu temevi che la gente in città si facesse un'idea sbagliata! E sono stato io a pagare quello che volevi... non il contrario!" "Adesso ce l'hai con me anche per i soldi?"
"Non ho più un soldo in banca, e sembra che tu non te ne accorga nemmeno. Avremmo potuto aspettare a fare partire alcuni lavori qui in casa! Non ci serviva un lettino da cinquecento dollari! Né una cassettiera intera piena di vestiti. La bambina non è ancora nata!" Allargò a sua volta le braccia, esasperato. "Come vedi, ho qualche ragione di essere stressato per il lavoro. Scrivere mi serve per pagare tutta la roba che hai comprato, e non riesco a farlo qui. Non ci sono notizie a cui ispirarsi, non c'è nessuna energia, stimoli, non c'è niente in questo posto!" Rimasero a guardarsi a lungo senza parlare. "É quello che pensi davvero? Che qui non ci sia niente? Che cosa siamo io e la bambina? Non significhiamo nulla?" replicò infine lei. "Sai cosa intendo" Lexie incrociò le braccia. "No che non lo so. Perché non me lo spieghi tu?" Jeremy era esausto. Avrebbe voluto solo che lei lo ascoltasse. Scese dalla veranda senza dire una parola. Si avvicinò alla macchina, ma all'ultimo momento decise di lasciarla lì. Sarebbe servita a Lexie, e in qualche modo lui se la sarebbe cavata. Tirò fuori le chiavi dalla tasca e le gettò vicino a una ruota. Poi imboccò il vialetto e se ne andò.
Capitolo undicesimo. Diverse ore dopo Jeremy era seduto in poltrona a casa dei genitori nel Queens e guardava fuori dalla finestra. Quel pomeriggio aveva finito per chiedere in prestito l'auto a Doris, in modo da poter andare a prendere la valigia al Greenleaf prima di correre all'aeroporto. Notando la sua espressione, Doris gliela aveva consegnata senza fare domande e, mentre guidava, lui
aveva ripensato un centinaio di volte alla discussione che aveva appena avuto. All'inizio, gli era stato facile rimanere arrabbiato per il modo in cui Lexie aveva rigirato i fatti a proprio vantaggio, ma con il passare del tempo e dei chilometri le sue emozioni si erano placate e Jeremy aveva cominciato a domandarsi se non avesse ragione lei. Non su tutto una parte della responsabilità per com'era degenerata la discussione era anche sua ma almeno su alcuni punti. Era davvero in collera per la mancanza di fiducia che Lexie dimostrava, oppure se l'era presa con lei per sfogare la tensione che aveva accumulato negli ultimi tempi? Per essere proprio sincero, doveva ammettere che lo stress c'entrava, ma non era solo legato al lavoro. C'era ancora la questione delle e-mail. E-mail volte a indurlo a chiedersi se il bambino fosse suo. Intese a fargli nascere sospetti nei confronti di Lexie. E che sembravano aver sortito il loro effetto. Ma chi le aveva mandate? E perché? Chi sapeva della prima gravidanza di Lexie? Doris, naturalmente, il che la rendeva l'imputata più plausibile. Ma lui non ce la vedeva a scrivere certe frasi, ed era verosimile che non fosse nemmeno capace di accendere un computer. Chiunque avesse inviato le e-mail, al contrario, era un esperto. Ricordò come Lexie aveva reagito alla notizia che il suo nome era scritto nel taccuino. Il suo sbigottimento non pareva una finta. Possibile che Doris non le avesse mai detto che sapeva? E che lei non si fosse confidata con la nonna? Se la gravidanza si era interrotta precocemente, poteva anche darsi che loro due non ne avessero mai parlato. Quindi, chi ne era al corrente? Telefonò al suo amico informatico e gli lasciò detto sulla segreteria di richiamarlo in qualsiasi momento sul cellulare non appena scopriva qualcosa. Mancava un'ora alla festa organizzata in suo onore, ma lui
non si sentiva dell'umore giusto. Per quanto gradisse la prospettiva di trascorrere un po di tempo con Alvin, non voleva parlargli dei suoi problemi. Quella serata avrebbe dovuto essere all'insegna dell'allegria, ma nelle circostanze attuali non gli sembrava proprio possibile divertirsi. "Non dovresti prepararti?" Jeremy vide il padre entrare in salotto dalla cucina. "Sono pronto", rispose. "Con quella camicia? Sembri un taglialegna" Nella fretta di fare il bagaglio e di cambiarsi, Jeremy si era infilato la camicia di flanella. Guardandola, si chiese se era stato un tentativo inconscio di ammettere che Lexie aveva ragione. "Non ti piace?" "É inusuale, questo è sicuro", osservò il padre. "L'hai comperata laggiù?" "Me l'ha regalata Lexie" "Forse dovresti dirle due parole sullo stile. Vedi, io potrei anche stare bene con una camicia del genere, ma non è adatta a te. Soprattutto per uscire stasera". "Staremo a vedere", disse Jeremy. "Come vuoi", commentò il padre benevolo, mettendosi a sedere sul divano. "Allora, che cosa succede? Hai litigato con Lexie prima di partire?" Jeremy era allibito. Prima il sindaco e adesso lui. Era davvero tanto facile leggergli dentro? "Che cosa te lo fa pensare?" chiese. "Il tuo atteggiamento. É arrabbiata con te per via dell'addio al celibato?" "No, non è questo" "Alcune donne non capiscono certe tradizioni, sai. A parole dicono che va bene, che è una consuetudine, ma in fondo non gli piace che il loro fidanzato guardi le belle ragazze" "Non sarà quel genere di festa. Ho detto ad Alvin che non volevo niente di simile" Il padre si mise comodo. "Allora per quale ragione avete
discusso? Vuoi parlarne?" Jeremy fu tentato di confidarsi, poi decise di non farlo. "Veramente no. É una faccenda privata". Suo padre annuì. "É la strategia migliore, credimi. Le difficoltà di una coppia devono sempre restare al suo interno. Se non succede, sono guai. Ma questo non significa che io non possa darti qualche buon consiglio, giusto?" "Nessuno è mai riuscito a impedirtelo" "Tutte le coppie litigano. Devi tenerlo bene a mente". "Sono d'accordo" "Già, ma tu pensi anche che voi due litighiate più del dovuto. Ecco, io non so se è vero, ma ho conosciuto quella ragazza quando è venuta qui e ti dico subito che è quella giusta per te, e che saresti uno stupido se non cercassi di risolvere qualsiasi problema abbiate. Lei è straordinaria e a tua madre piace molto. Come a tutti in famiglia, del resto". "Ma non la conoscete nemmeno. L'avete vista una volta soltanto" "Sai che scrive a tua madre tutte le settimane da quando siete stati qui? E anche alle tue cognate?" Jeremy fece una faccia sorpresa. "É quello che pensavo", dichiarò il padre. "Ha anche telefonato. E ha mandato delle foto. Così tua madre ha potuto vedere il vestito da sposa, come sarà la torta e come sta venendo la casa. Ci ha spedito persino alcune cartoline con il faro. Il tutto per fare in modo che la nostra famiglia partecipi ai preparativi. La mamma non vede l'ora di venire a trovarvi per passare un po di tempo con lei" Jeremy rimase in silenzio. "Perché non ne sapevo niente?" chiese alla fine. "Non so. Forse Lexie voleva farti una sorpresa per il matrimonio, e mi spiace se ho rovinato tutto. Ma quello che voglio dire è che non tutte le donne si comporterebbero così. Sapeva che tua madre soffriva per la tua partenza, ma non l'ha presa come una questione personale. Al contrario, ha cercato di
rimediare. Bisogna essere davvero gentili per avere tante premure" "Non riesco a crederci", borbottò Jeremy, pensando che Lexie era una donna piena di sorprese. Ma stavolta in positivo. "Bene, so che sei già stato sposato, ma comunque questo è un nuovo inizio per te. Quello che devi ricordare è di non perdere mai di vista il quadro generale. Nei momenti difficili, ripensa a cosa ti ha fatto innamorare di lei. É una donna speciale, e tu sei stato molto fortunato a incontrarla così come lo è stata Lexie a trovare te. Ha un cuore d'oro e questa è una qualità che non si può fingere di possedere" "Perché ho la sensazione che tu stia dalla sua parte, e che addossi a me la colpa del litigio?" "Perché ti conosco da una vita", rispose il padre strizzando l'occhio. "Sei sempre stato un attaccabrighe. Pensa agli articoli che scrivi" Nonostante tutto, Jeremy si mise a ridere. "E se ti sbagliassi, invece? Se fosse colpa sua?" Il padre alzò le spalle. "Allora direi che bisogna essere in due per ballare il tango. Secondo me, avete ragione e torto entrambi. Almeno è così che funziona nella maggior parte delle discussioni. Ognuno è fatto a modo suo e nessuno è perfetto, ma sposarsi significa diventare una squadra. Impiegherete tutta la vita a conoscervi e ogni tanto avrete qualche screzio. Ma la bellezza del matrimonio è che, se si è scelta la persona giusta e se ci si ama, si trova sempre il modo di fare la pace" Più tardi quella sera Jeremy era appoggiato alla parete nell'appartamento di Alvin con una birra in mano e osservava gli altri che guardavano la TV. A causa della passione per i tatuaggi, il suo amico era un grande fan di Allen Iverson e il destino aveva voluto che proprio quella sera ci fosse una partita del campionato di pallacanestro in cui i 76ers affrontavano gli Hornets. Gli invitati erano tutti intorno alla televisione, e commentavano
le azioni con una libertà di linguaggio normalmente preclusa dalla presenza delle mogli. Sempre ammesso che ne avessero una, pensò Jeremy, notando i tatuaggi e i piercing che alcuni di loro, come Alvin, sfoggiavano in quantità. Ma sembrava che si divertissero; certi avevano cominciato a bere appena arrivati e già parlavano biascicando. Ogni tanto qualcuno si ricordava del perché erano lì, e andava da lui. "Come va?" gli chiedevano, oppure: "Che ne diresti di un'altra birra?" "Sto bene, grazie", rispondeva Jeremy. Sebbene non vedesse quelle persone da un paio di mesi, pochi sembravano ansiosi di essere aggiornati sulle novità, il che era abbastanza logico, dato che in maggîoranza erano più amici di Alvin che suoi. Anzi, guardandosi attentamente intorno, Jeremy si rese conto di non conoscere affatto metà dei presenti, il che gli sembrò abbastanza buffo, visto che in teoria avrebbe dovuto essere la sua festa di addio al celibato. A lui sarebbe bastato trascorrere la serata con Nate e i suoi fratelli, ma era risaputo che Alvin non si lasciava sfuggire l'occasione di fare baldoria. E in effetti sembrava divertirsi un sacco, soprattutto dal momento che i 76ers erano in vantaggio di due punti nel terzo tempo. Era tra quelli che esultavano e gridavano tutte le volte che un giocatore della squadra faceva canestro. La stessa partecipazione mostravano i fratelli di Jeremy. Soltanto Nate, che non era mai stato un gran tifoso, sembrava poco interessato alla partita e si stava servendo un'altra fetta di pizza. La festa era iniziata bene: quando lui aveva messo piede nell'appartamento, era stato salutato con entusiasmo, come se fosse un reduce di guerra. I fratelli lo avevano circondato, sparandogli domande a raffica su Lexie e Boone Creek e la casa; Nate era stato così carino da offrirgli un elenco di possibili idee per nuovi articoli, una delle quali riguardava il crescente utilizzo dell'astrologia come strumento per fare investimenti.
Jeremy lo aveva ascoltato, riconoscendo tra sé che era un concetto abbastanza originale per la sua rubrica, e aveva ringraziato l'agente promettendogli di tenere a mente la cosa. Ma purtroppo sapeva che non sarebbe servito a granché. In ogni caso, era stato facile dimenticare i suoi problemi per un po. La lontananza aveva il potere di far sembrare quasi ridicole le difficoltà della vita a Boone Creek. Mentre parlava ai fratelli della ristrutturazione della casa, questi continuavano a ridere delle sue descrizioni dei manovali, e anche lui fu contagiato dall'allegria generale. Si sbellicarono quando raccontò loro che Lexie lo costringeva a dormire al Greenleaf e gli chiesero di scattare qualche foto della camera in modo che potessero vedere gli animali impagliati. Volevano anche una foto di Jed, che nel corso del dialogo si era trasformato ai loro occhi in una specie di essere mitico. E lo implorarono, proprio come aveva fatto Alvin, di informarli di quando sarebbe andato a caccia con lui. L'idea li esilarava. Dopo un po si erano spostati verso la televisione come tutti gli altri, entrando nello spirito della serata. Jeremy si era accontentato di guardarla da lontano. "Bella camicia", commentò Alvin, avvicinandosi. "Lo so", rispose Jeremy. "Me lo hai già detto due volte". "E continuerò a farlo. Non mi interessa se te l'ha regalata Lexie. Sembri un turista". "E allora?" "Allora? Stasera usciremo. Andremo in giro a divertirci per le strade della città, in onore delle tue ultime notti da single, ed ecco che ti presenti come se avessi passato il pomeriggio a mungere vacche. Non sei più tu". "Forse è il mio nuovo io" Alvin rise. "Ma non eri stato il primo a dire che quella camicia era orrenda?" "Forse ci ho ripensato" "Può darsi, ma ti avviso che i miei amici faranno battute a
non finire" Jeremy sollevò la birra e ne bevve un'altra sorsata. Ce l'aveva in mano da un'ora ed era diventata calda. "Non posso dire che la cosa mi preoccupi. Metà di loro porta magliette comperate ai concerti rock, e gli altri sono rivestiti di pelle. Sarei stonato comunque" "Hai ragione", ribatté Alvin sorridente, "ma ti prego di notare l'energia che stanno portando alla tua festa. Era inconcepibile pensare di trascorrere la serata solo in compagnia di Nate" Jeremy scorse il suo agente dall'altra parte della sala. Indossava un rigido completo con panciotto, aveva la sommità del capo imperlata di sudore ed una macchia di salsa di pomodoro sul mento. Sembrava persino più fuori luogo di lui. Notando il suo sguardo, Nate lo salutò agitando una fetta di pizza. "A proposito... grazie di aver invitato i tuoi amici al mio addio al celibato" "E chi avrei dovuto invitare? Ho provato a contattare quelli di Scientific American, ma non mi sembravano interessati. Oltre ai loro, gli altri nomi che mi venivano in mente, a parte Nate e i tuoi fratelli, erano tutti di donna. Non mi ero mai reso conto che fossi così eremita quando abitavi qui. E poi, questo è solo il riscaldamento prima della vera festa" "Non oso chiederti che cosa ci sia in programma dopo" "Non preoccuparti. É una sorpresa". Un ruggito eruppe dal gruppo dei tifosi e tutti si diedero il cinque. La birra fu versata qua e là, mentre il replay mostrava Iverson che imbucava un lungo tiro da tre punti. "Ehi, Nate ti ha già salutato?" "Sì. Perché?" "Perché non voglio che ti rovini la serata parlando di lavoro. So che è un argomento spinoso per te in questo momento, ma dovrai lasciarlo da parte quando sali sulla limo" "Nessun problema", mentì Jeremy.
"Certo, come no. É per questo che te ne stai qui appoggiato al muro invece di guardare la partita, giusto?" "Mi sto preparando per la serata" "A me sembra piuttosto che tu ti stia dando una regola per non rischiare di cacciarti nei guai. Se non ti conoscessi, direi che quella è la tua prima birra" "E allora?" "E allora? É la tua festa di addio al celibato. Hai il diritto di lasciarti andare. Anzi, è proprio quello che dovresti fare. Quindi ti porterò un'altra birra e daremo inizio alle danze" "Sto bene così, grazie", insistette Jeremy. "Mi sto divertendo". Alvin lo esaminò. "Sei cambiato", disse. Già, pensò lui, è vero. "So che stai per sposarti, ma..." Jeremy lo guardò negli occhi. "Ma cosa?" "Questo", rispose l'altro. "Tutto quanto. Il tuo abbigliamento, il tuo modo di comportarti. Mi sembra di non conoscerti più" "Forse sto crescendo" Alvin cominciò a staccare l'etichetta dalla sua bottiglia di birra mentre rispondeva. "Sì, può darsi". Al termine della partita gli amici di Alvin indugiarono vicino al tavolo delle cibarie, dandosi da fare per finire la pizza avanzata finché lui non li fece uscire dall'appartamento. Poi Jeremy, i suoi fratelli e Nate lo seguirono giù dalle scale e salirono a bordo della limousine che li stava aspettando. Nel frigobar c'era un'altra cassetta di birre, e persino Nate era entrato nello spirito della serata. Peso piuma quando si trattava di alcol, dopo essersi scolato tre bottiglie barcollava e aveva gli occhi a mezz'asta. "Timothy Clausen", stava dicendo. "Ti ci vuole un'altra storia come quella. Devi trovare qualcosa del genere. Intrappolare un altro elefante. Mi ascolti?" "Intrappolare un elefante", ripeté Jeremy, cercando di ignorare
l'alito alcolico dell'altro. "Ho capito". "Esatto. É quello che devi fare". "Lo so" "Ma dev'essere un elefante" "Certo" "Un elefante, mi senti?" "Grandi orecchie, proboscide, ghiotto di noccioline. Un elefante, ho capito" Nate annuì. "Ci siamo intesi". Sul sedile di fronte, intanto, Alvin si sporgeva verso l'autista per dargli indicazioni. Qualche minuto dopo la limousine si fermò. I fratelli di Jeremy finirono le loro birre e scesero dall'auto. Lui fu l'ultimo a uscire e riconobbe subito il bar alla moda dov'era stato a celebrare la sua apparizione a Primetime Live in gennaio. Con il lungo banco di granito e l'illuminazione a effetto, il locale era elegante ed affollato come la volta precedente. Al di là della vetrina, si vedeva un sacco di gente stipata in piedi nella stanza. "Ho pensato che ti sarebbe piaciuto cominciare da qui", disse Alvin. "Perché no?" rispose Jeremy. "Ehi!" esclamò Nate. "Riconosco questo posto". Si guardò in giro. "Ci sono già stato". "Dai", disse Jeremy a uno dei fratelli, "entriamo" "Ma dove sono le ballerine?" "Più tardi", rispose un altro fratello. "La notte è ancora giovane. Questo è solo l'inizio" Lui si voltò a guardare Alvin, che alzò le spalle. "Io non ho organizzato niente, ma sai come la pensano i ragazzi quando si tratta di addio al celibato. Non puoi ritenermi responsabile di tutto quello che accadrà stanotte" "Certo che posso" "Mamma mia, stasera sei un vero spasso, eh?" Nate e i fratelli erano già entrati e si stavano facendo largo
tra la folla. Una volta dentro, Jeremy ritrovò l'atmosfera che fino a poco tempo prima gli era familiare. La maggior parte della gente indossava abiti firmati; qualcuno, in giacca e cravatta, doveva essere appena uscito dall'ufficio. Notò subito una splendida bruna in fondo al bancone che stava bevendo un cocktail; nella sua vita precedente le avrebbe offerto da bere per cercare di rimorchiarla. Adesso, vederla lo fece pensare a Lexie e si infilò la mano in tasca per toccare il cellulare con l'idea di chiamarla. Forse poteva avvertirla che era arrivato, e magari anche scusarsi con lei. "Che cosa vuoi da bere?" gridò Alvin. Sgomitando, aveva raggiunto il banco e si sporgeva in avanti per attirare l'attenzione del barista. "Per adesso sto bene così", urlò Jeremy sopra il frastuono. Oltre il mare di gente scorse i fratelli che si erano concentrati all'altra estremità del bancone. Nate barcollò pericolosamente mentre si faceva da parte per lasciare passare delle persone. Alvin ordinò due gin and tonic e dopo aver pagato, porse un bicchiere a Jeremy. "Niente da fare", dichiarò. "É il tuo addio al celibato. Come tuo testimone, mi impunto e insisto per farti divertire" "Mi sto divertendo", ripeté lui. "Come no. Cosa c'è, tu e Lexîe avete litigato di nuovo?" Jeremy fece vagare lo sguardo per il locale; in un angolo gli parve di riconoscere una donna con cui aveva avuto una storia. Jane. O forse era Jean? Non aveva importanza, si disse. Tornò a guardare l'amico. "In un certo senso", ammise. "Voi due litigate sempre", affermò Alvin. "Hai mai pensato che questo sia significativo?" "Non è vero..." protestò lui. "Di che cosa si tratta, stavolta?", insistette l'altro ignorando le sue parole. "Ti sei dimenticato di baciarla nel modo giusto
prima di salire sull'aereo?" "Non è fatta così" "In ogni caso, c'è in ballo qualcosa", ribadì Alvin. "Ti va di parlarne?" "No", rispose. "Non ora". "Roba grossa allora, eh?" Jeremy bevve una sorsata di gin e avvertì un intenso bruciore in fondo alla gola. "No", ripeté. "Come preferisci", fece Alvin. "Magari però potresti parlarne con i tuoi fratelli. Salta agli occhi che, da quando sei andato laggiù, non sei felice" Fece una pausa per sottolineare meglio il concetto. "Forse è per questo che non riesci più a scrivere" "Non so perché mi succeda, ma posso assicurarti che Lexie non c'entra. E non sono infelice". "Non puoi andare avanti a illuderti in questo modo" "Si può sapere che ti è preso?" chiese Jeremy. "Sto solo cercando di farti vedere le cose con più chiarezza" "Quali cose?" domandò Jeremy. "Sembra quasi che tu non voglia che la sposi" "Infatti penso che non dovresti sposarti", ribatté Alvin brusco. "É quello che ho cercato di spiegarti prima che ti trasferissi a Boone Creek. Non la conosci ancora bene, e io credo che una parte del tuo problema dipenda dal fatto che finalmente te ne stai accorgendo. Non è troppo tardi..." "Io l'amo!" replicò Jeremy ad alta voce, esasperato. "Perché fai così?" "Perché non voglio che tu commetta un errore! Sono preoccupato per te, hai capito? Non riesci più a scrivere, sei distrutto, non ti fidi di Lexie e lei non si fida abbastanza di te da confidarti che era già rimasta incinta. E adesso avete litigato per l'ennesima volta..." Jeremy spalancò gli occhi. "Che cosa hai detto?"
"Che non voglio che tu commetta un errore" "Dopo!" gridò Jeremy. "Cosa?" "Hai detto che Lexie era già rimasta incinta" "Quello che..." "Come facevi a saperlo?" insistette Jeremy. "Non so... devi avermelo raccontato tu". "No", negò Jeremy. "Io l'ho scoperto solo stamattina. E non te ne ho parlato. Quindi, lo ripeto, come facevi a saperlo?" In quell'istante, mentre fissava l'amico, capì che tutti i pezzi andavano al loro posto: le e-mail anonime, la breve infatuazione di Alvin per Rachel e la sua proposta di andarlo a trovare, il fatto che lui gli avesse detto di salutarla, l'improvvisa e inesplicabile scomparsa di Rachel, oltre al particolare che Alvin aveva interrotto la loro conversazione telefonica adducendo la scusa di avere ospiti. Trattenne il respiro mentre ogni dettaglio si incastrava perfettamente formando un puzzle; era troppo assurdo per crederci, troppo evidente per ignorarlo... Rachel, che era stata per anni la migliore amica di Lexie, che aveva accesso al diario di Doris e quindi ne conosceva il contenuto, che doveva sapere che lei glielo aveva dato, che aveva problemi con Rodney a causa di Lexie... E Alvin, che era ancora in contatto con Maria, che aveva affermato che loro due parlavano di tutto... "Rachel è stata qui, vero?" disse infine Jeremy, la voce carica di rabbia. "É venuta a trovarti a New York, ammettilo". "No" "Sei stato tu a mandare quelle e-mail", proseguì, registrando finalmente la gravità del suo tradimento. Lo guardò come se fosse uno sconosciuto. "Mi hai mentito". La gente intorno a loro si voltò a guardarli; Jeremy non ci
fece caso, Alvin arretrò istintivamente di un passo. "Posso spiegarti..." "Perché lo hai fatto? Credevo che fossi mio amico!" "Lo sono", ribatté Alvin. Jeremy era sbigottito. "Sapevi quanto ero stressato..." Scosse il capo, cercando di assorbire la gravità della situazione. Alvin gli mise una mano sul braccio. "E va bene, sì... Rachel è stata qui e le e-mail le ho scritte io", confessò. "Non sapevo che sarebbe arrivata fino al giorno prima, quando mi telefonò, e sono rimasto sorpreso. Devi credermi. Per quanto riguarda i messaggi, li ho mandati solo perché ti voglio bene. Da quando ti sei trasferito laggiù, non sei più lo stesso, e non volevo che commettessi uno sbaglio" Jeremy rimase zitto. Nel silenzio, Alvin gli strinse il braccio e proseguì: "Non voglio dire che lei non vada bene per te. Sembra carina, sul serio. Ma ti sei buttato a capofitto in questa storia, e non volevi sentire ragioni. Potrà anche essere la donna migliore del mondo, e spero tanto che lo sia, ma prima dovresti sapere a che cosa vai incontro" Lui sospirò, ancora incapace di affrontarlo. "É stata Maria a rivelarti la vera ragione del nostro divorzio?" "Sì", confermò Alvin, quasi sollevato che Jeremy avesse scoperto tutto. "Maria ha detto che era impossibile che tu l'avessi messa incinta. Era persino più diffidente di me, se vuoi proprio saperlo, e così ho cominciato a rifletterci, e poi ti ho scritto quelle e-mail" Sospirò. "So che ho sbagliato, ma sinceramente immaginavo che non vi avresti dato troppo peso. Però tu mi hai telefonato... eri sconvolto, e ho capito che avevi i miei stessi dubbi sulla tua paternità" Fece una pausa prima di continuare. "E infine spunta Rachel. Beviamo qualcosa insieme e lei comincia a raccontarmi di quanto Rodney sia ancora legato a Lexie, e a me torna in mente che lei ti aveva nascosto che era andata a trovarlo. Da Rachel vengo a sapere altre cose sul passato di Lexie, tra cui la
sua precedente gravidanza, e questo mi ha confermato quanto tu la conoscessi poco" "Che cosa stai cercando di dire?" Alvin fece un lungo respiro, e scelse con cura le parole. "Solo che prima di prendere una decisione del genere, dovresti avere in mano tutti gli elementi" "Vuoi dire che pensi che il figlio sia di Rodney?" chiese Jeremy. "Non so che cosa pensare", ammise Alvin. "Ma non è questo il punto..." "Ah, no?" lo interruppe Jeremy alzando la voce. "E allora quale sarebbe? Vuoi che molli la mia fidanzata incinta, così potrò tornare a New York per darmi alla bella vita con te?" Alvin alzò le braccia per protestare. "Non è quello che intendo!" "A me pare proprio di sì, invece", gridò Jeremy, che non voleva più sentire altro. La gente intorno a lui si voltò di nuovo. "E ascolta bene!" proseguì. "Non mi interessa sapere cosa dovrei fare secondo te. Il figlio è mio! Sposerò Lexie e andrò a vivere a Boone Creek, perché quello è il mio posto!" "Non c'è bisogno di gridare..." "Mi hai mentito!" "Volevo solo aiutarti..." "Mi hai tradito..." "No!" negò Alvin, alzando a sua volta la voce. "Ho solo formulato delle domande che avresti dovuto porti tu stesso" "La faccenda non ti riguardava, per la miseria!" "Non l'ho fatto per ferirti!" gridò Alvin. "Non sono l'unico a pensare che stai andando troppo di fretta. Anche i tuoi fratelli sono dello stesso parere!" A quelle parole lui esitò un istante, e Alvin ne approfittò per perorare la propria causa. "Sposarsi non è una cosa che si fa alla leggera, Jeremy! Vuol dire scegliersî una donna che ritroverai ogni giorno al tuo fianco.
La gente non si innamora da un momento all'altro. E nonostante quello che sostieni, non è successo nemmeno a te. Certo, pensavi che fosse fantastica, intelligente, o bella o che so io... ma decidere di punto in bianco di trascorrere il resto della vita con lei? Rinunciare di getto alla famiglia e alla carriera?" Aveva assunto il tono di un insegnante che tenta di convincere uno studente dotato ma testardo. Jeremy avrebbe potuto ribattere che mandare quelle e-mail non era stato solo scorretto, ma perverso. E soprattutto che luî aveva amato Lexie fin dal primo istante, e che l'avrebbe amata per sempre. Ma avevano già affrontato infinite volte quell'argomento e anche se aveva torto, Alvin non lo avrebbe mai ammesso. E lui si sbagliava. Completamente. Jeremy fissò il bicchiere, poi lo guardò negli occhi. Con un brusco movimento del braccio, gli gettò in faccia quel che restava del drink e quindi lo afferrò per il colletto. Avanzò di qualche passo, facendolo barcollare all'indietro e lo bloccò contro una colonna. Avrebbe voluto colpirlo, ma si limitò ad avvicinare il viso al suo fino a sentire il respiro di Alvin. "Non voglio vederti né parlarti mai più" Poi si voltò e uscì dal locale.
Capitolo dodicesimo. "Non ho più avuto sue notizie", ammise Lexie il pomeriggio seguente mentre guardava Doris seduta di fronte a lei da Herbs. "Sono sicura che tutto si sistemerà", rispose la nonna. Lexie abbassò lo sguardo, cercando di capire se ne era convinta o glielo avesse detto solo per consolarla. "Non hai visto la sua espressione ieri mattina. Mi ha fissato in un modo... come
se mi odiasse" "E puoi fargliene una colpa?" Lei alzò gli occhi. "Che cosa vorresti dire?" "Quello che ho detto", replicò Doris. "Come ti sentiresti se pensassi che non puoi fidarti di Jeremy?" Lexie si irrigidì, contrariata. "Non sono venuta qui per farmi fare una predica" "Non mi interessa, ora ci sei e l'ascolterai. Speravi di ottenere comprensione, ma mentre parlavi non ho potuto evitare di mettermi nei suoi panni. Ti vede mano nella mano con Rodney, poi tu rimandi il vostro appuntamento per passare la sera con il tuo amico, e alla fine scopre che sei già stata incinta. Non mi sorprende che si sia arrabbiato" Lexie aprì la bocca con l'intenzione di ribattere, ma Doris alzò le mani per fermarla. "So che non vuoi sentirlo, ma non ha sbagliato solo lui in questo frangente" "Mi sono scusata. Gli ho spiegato tutto". "Sì, però a volte non basta. Gli hai tenuto nascosto delle cose, non una, ma tre volte. Non puoi permettertelo, se vuoi conquistarti la sua fiducia. Avresti dovuto parlargli di quello che è successo con Trevor. Credevo lo avessi già fatto, altrimenti non gli avrei mai dato da leggere il taccuino" "E perché avrei dovuto? Erano anni che non ci pensavo più. É stato tanto tempo fa" "Per lui non è così. É come se fosse accaduto ieri. Anch'io mi sarei arrabbiata, probabilmente" "Che fai, stai dalla sua parte?" "In questo caso, sì" "Doris!" "Stai per sposarti, Lexie. So che tu e Rodney siete amici da anni, ma adesso sei fidanzata con Jeremy e le regole cambiano. Non ci sarebbero stati problemi se gli avessi detto quali erano le tue intenzioni, invece hai deciso di tenerlo all'oscuro" "L'ho fatto perché sapevo già come avrebbe reagito"
"Ma davvero? E come potevi saperlo?" Doris la fissò intensamente. "Bastava che gli telefonassi per spiegargli che volevi parlare con Rodney, perché desideravi scoprire dov'era finita Rachel, dato che ti sentivi in qualche modo responsabile. Sono sicura che lui avrebbe capito. Ma non gli hai detto tutta la verità. E quella non è stata né la prima né l'ultima volta". "Secondo te, dovrei raccontargli ogni dettaglio della mia vita?" "No, questo però non toglie che ti sei comportata in modo inaccettabile. La tua precedente gravidanza non era poi un segreto di stato, e anche se si trattava di un episodio che preferivi dimenticare, dovevi immaginare che prima o poi lui sarebbe venuto a saperlo. E non era meglio che lo informassi tu direttamente? Ci è rimasto male a leggerlo sul taccuino, ma sarebbe stato ancora peggio se glielo avesse riferito qualcun altro" Lexie si voltò verso la finestra, l'espressione imbronciata, e Doris pensò che volesse andarsene. Invece rimase seduta e lei si allungò sul tavolo per prenderle la mano. "Ti conosco bene, sai. Puoi essere testarda, ma non una vittima. E non lo è neppure Jeremy. Quello che sta succedendo tra di voi, lo stress di questo periodo... si chiama vita. E la vita ha la tendenza a giocarti dei tiri quando meno te lo aspetti. Tutti hanno i loro alti e bassi, tutti litigano... ma voi siete una coppia, e le coppie non possono funzionare senza fiducia reciproca. Tu devi fidarti di lui come lui di te" Nel silenzio che seguì, Lexie continuò a guardare fuori dalla finestra. Un uccellino si posò sul davanzale, saltellò qua e là come se la pietra scottasse, poi volò via. Lo aveva visto posarsi lì decine, forse centinaia di volte, ma mentre lo osservava fu colta dall'assurda convinzione che quell'uccellino stesse cercando di dirle qualcosa. Aspettò, sperando che ricomparisse, ma non lo vide più, e allora capì quanto era stata sciocca la sua
idea. Sopra di lei il ventilatore a pale ronzava tracciando cerchi immaginari nell'aria. "Pensi che tornerà?" domandò alla fine, la voce rotta dall'ansia. "Tornerà", la rassicurò Doris con convinzione, stringendole la mano. Lexie avrebbe voluto crederle, ma non ne era tanto sicura. "Non l'ho più sentito da quando è partito", sussurrò. "Non ha telefonato neanche una volta" "Lo farà", disse Doris. "Dagli tempo. Sta cercando di mettere ordine nelle sue emozioni, e poi questo fine settimana è con gli amici. Festeggia l'addio al celibato, non dimenticarlo". "Lo so..." "Non dare troppo peso alla cosa. Quando dovrebbe rientrare?" "Domenica sera. Ma..." "Allora arriverà domenica", disse Doris. "E quando sarà qui, sii felice di rivederlo e basta. Chiedigli del weekend e ascolta attentamente il suo racconto. E poi fai in modo che capisca quanto lo consideri speciale. Credi a me, sono stata sposata a lungo" Nonostante il tumulto interiore, Lexie sorrise. "Parli come una consulente matrimoniale" "Conosco gli uomini. Ti dirò un segreto: possono anche essere fuori di sé dalla rabbia, oppure esasperati o angosciati per il lavoro, ma alla fine sono abbastanza semplici da gestire, se sai come prenderli. E quello di cui hanno un disperato bisogno è di essere apprezzati e ammirati. Falli sentire così, e ti stupirai di quanto siano gentili e disponibili" Lei fissò la nonna con aria incredula. Doris proseguì con un sorriso malizioso. "Naturalmente, vogliono anche che tu faccia faville a letto, che ti occupi della casa e di tutto il resto senza mai smettere di avere un aspetto curato e conservando abbastanza energie per divertirti a seguirli nei loro interessi, ma l'ammirazione e l'apprezzamento vengono al primo posto"
Lexie spalancò la bocca. "Ma non mi dire! Forse, invece di andare in giro scalza perché la gravidanza mi ha gonfiato i piedi, dovrei fare i mestieri con i tacchi alti e la biancheria di seta" "Non crederti così superiore" Doris era tornata seria. "Non sei l'unica che deve sacrificarsi quando si tratta di far funzionare una coppia. Pensi di aver avuto la peggio? Anche gli uomini hanno i loro problemi. Correggimi se sbaglio, ma tu vuoi che Jeremy ti tenga la mano e ti coccoli mentre guardate un film, che ti confidi le sue emozioni e ti ascolti, che in futuro passi del tempo con la bambina e guadagni abbastanza per pagare il mutuo e la ristrutturazione della casa. Bene, allora ti dirò subito che nessun uomo, andando all'altare, pensa: Che bello, dovrò lavorare sodo e sacrificarmi per mantenere la mia famiglia, passare ore con i miei figli anche quando sono sfinito e nel frattempo continuare a baciare, abbracciare ed ascoltare mia moglie... il tutto senza dovermi aspettare niente in cambio. In realtà, un uomo promette di fare le cose che ti renderanno felice nella speranza che anche tu faccia lo stesso con lui" Strinse la mano della nipote. "Come ho detto, siete in due a fare questo viaggio. Gli uomini hanno certe necessità, le donne altre; è sempre stato così dalla notte dei tempi. Se ne siete consapevoli entrambi, e se vi impegnate a venirvi sempre incontro, il vostro sarà un buon matrimonio. E per riuscirci, serve anche la Fiducia reciproca. Tutto sommato, non è tanto complicato" "Non capisco perché mi dici questo" Doris le rivolse un sorriso eloquente. "Invece lo capisci benissimo. E spero che te ne ricorderai quando sarai sposata. Se pensi che sia dura adesso, aspetta e vedrai. Quando credi che le cose non possano andare peggio, peggiorano. E se sei convinta che non possano andare meglio, migliorano. Ma finché ti ricordi che lo ami e che lui ti ama e finché tutte e due vi comporterete di conseguenza ogni difficoltà fra di voi sarà superata"
"Suppongo che questo sia il tuo discorsetto prematrimoniale, giusto? Quello che ti eri tenuto da parte per tutti questi anni?" Doris le lasciò la mano. "Oh, non saprei. Forse alla fine te lo avrei fatto comunque, ma non ne avevo intenzione. Mi è uscito da solo" Lexie rimase in silenzio per un istante. "Allora, sei sicura che tornerà?" "Sì, ne sono sicura. Ho visto come ti guarda, e so che cosa significa. Che tu ci creda o meno, non sono proprio una sprovveduta in materia" "E se invece ti sbagliassi?" "No. Non dimenticare che sono anche una sensitiva". "Sei una rabdomante, non una sensitiva" Doris sorrise. "A volte mi capita di provare esattamente la stessa sensazione" Una volta uscita dal ristorante, Lexie rimase un attimo ferma davanti all'ingresso, socchiudendo gli occhi per proteggerli dal riverbero del sole pomeridiano. Mentre cercava le chiavi dell'auto, si soffermò a pensare alle sagge parole di Doris. Non era stato facile ascoltare la sua franca opinione, ma in fondo non fa piacere a nessuno sentirsi dire che si può anche avere torto, giusto? Da quando Jeremy l'aveva lasciata lì da sola sulla veranda, lei si era riempita la testa di autogiustificazioni, come se la collera potesse tenere a bada l'angoscia, ma adesso non poteva più sfuggire alla vergogna che provava per il proprio comportamento meschino. Non voleva più litigare; era stanca delle loro discussioni quanto lui. Non era quello il modo per dare inizio a una vita in comune, ed era ora di darci un taglio, si disse. Aprì la portiera e si mise al volante, annuendo con determinazione. Sì, sarebbe cambiata, se fosse stato necessario... e anche perché era la cosa giusta da fare.
Uscita dal parcheggio, non sapeva dove dirigersi. Tuttavia, guidata dall'istinto, si ritrovò ben presto al cimitero, in piedi davanti alle lapidi dei genitori. Guardando i loro nomi scolpiti nel granito pensò a quella coppia che ricordava appena, e cercò di immaginarsela. La mamma rideva molto, oppure era una donna tranquilla? E il papà era un tifoso di football o di baseball? Domande insignificanti, ma ad un certo punto lei si trovò a chiedersi quanto sua mamma somigliasse a Doris, e se le avrebbe impartito la stessa lezione della nonna. Molto probabile, concluse. Dopo tutto, erano madre e figlia. Quel pensiero la fece sorridere. Avrebbe telefonato a Jeremy appena tornata a casa, decise, per scusarsi e dirgli che sentiva la sua mancanza. Come se sua madre fosse in ascolto, una leggera brezza mosse l'aria, facendo frusciare le foglie della magnolia in tacita approvazione. Lexie trascorse quasi un'ora al cimitero, pensando a Jeremy e a che cosa stesse facendo in quel momento. Se lo immaginò seduto nella lisa poltrona nel salotto dei suoi, mentre parlava con il padre. Le sembrava quasi di essere nella stanza accanto e di ascoltare quello che si dicevano. Ripensò alle sensazioni che aveva provato la prima volta che aveva messo piede lì e si era trovata circondata da persone che lo conoscevano da molto più tempo di lei. Ricordò gli sguardi d'intesa che lui le aveva lanciato quella sera e la tenerezza con cui le aveva accarezzato l'addome più tardi al Plaza. Con un sospiro, guardò l'ora. Era tardi: doveva ancora fare la spesa, sbrigare delle pratiche in ufficio, comprare un regalo per l'imminente compleanno di un impiegato della biblioteca... Ma mentre faceva tintinnare le chiavi dell'auto, fu assalita da un irrefrenabile impulso di tornare subito a casa. Uscì dal cimitero e salì in macchina, perplessa dalla propria inquietudine. Guidò con prudenza, per non rischiare di investire lepri e
procioni che a volte attraversavano quel tratto di strada, ma a mano a mano che si avvicinava accelerò istintivamente. Imboccò la via di casa e fu sorpresa alla vista dell'auto di Doris parcheggiata davanti alla villetta, finché non scorse la Figura seduta sui gradini della veranda, con i gomiti appoggiati alle ginocchia. Si trattenne dal balzare giù dalla macchina; scese con calma e poi risalì il vialetto cercando di mascherare la sua sorpresa. Jeremy si era alzato in piedi. "Ehi", disse semplicemente. Lexie si sforzò di sorridere e di mantenere un tono fermo. "Da queste parti si saluta con un "ciao", non in quel modo, sai?" Jeremy si guardò i piedi, come se non avesse colto l'ironia nella sua voce. "Mi fa piacere vederti, straniero", aggiunse lei dolcemente. "Non mi capita spesso di tornare a casa e trovare un uomo così bello ad aspettarmi" Quando lui alzò lo sguardo, Lexie lesse la tensione sul suo viso. "Cominciavo a chiedermi dove fossi finita" Lei rimase immobile, pensando di nuovo alla sensazione che le provocavano le sue carezze sulla pelle. Avrebbe voluto gettarsi tra le sue braccia, però il comportamento freddo di lui glielo impediva. "Sono felice che tu sia qui", disse ancora. Sul viso di Jeremy comparve l'ombra di un sorriso, ma continuò a tacere. "Sei ancora arrabbiato con me?" chiese lei. Lui la guardò negli occhi. Quando si rese conto che stava valutando se era il caso di risponderle sinceramente o in modo da compiacerla, Lexie gli posò una mano sul braccio. "Perché se lo fossi, ne avresti tutto il diritto", aggiunse. Proseguì senza prendere fiato, spinta dall'urgenza di non tralasciare niente. "Avevi ragione tu. Avrei dovuto dirtelo. Non farò mai più una cosa del genere, te lo prometto. Mi spiace tanto".
Jeremy parve divertito. "Allora ci hai ripensato?" "Ho avuto un po di tempo per rifletterci" "Spiace anche a me", ammise lui. "Non era il caso di reagire in maniera così esagerata" Nel silenzio che seguì, Lexie notò che aveva l'aria stanca e addolorata. D'istinto, gli andò più vicino. Jeremy ebbe soltanto un attimo di esitazione, poi spalancò le braccia. Lei accolse subito l'invito, lo baciò sulle labbra, poi posò il capo sul suo petto. Rimasero abbracciati a lungo, ma lui sembrava ancora privo di entusiasmo. "Stai bene?" gli chiese. "Veramente no", fu la risposta. Lo prese per mano e lo guidò in casa. Giunti in salotto, Jeremy si lasciò cadere sul divano e poi si sporse in avanti e si passò una mano tra i capelli. "Siediti accanto a me", disse. "Devo parlarti". A quelle parole, Lexie provò un tuffo al cuore. Ubbidì, e sentì il calore della sua gamba contro la propria. Lui sospirò forte e lei si irrigidì istintivamente. "Riguarda noi due?" domandò. Lui girò la testa verso la cucina, lo sguardo assente. "In un certo senso" "E il matrimonio?" Di fronte al suo cenno d'assenso, Lexie si preparò al peggio. "Hai deciso di tornare a New York?" bisbigliò. Lui si voltò a guardarla lentamente, confuso. "Perché dici una cosa del genere? Vuoi forse che me ne vada?" "Certo che no. Ma ti comporti in modo strano. Non so che cosa pensare" "Ti chiedo scusa. Non volevo essere così evasivo. Sto ancora cercando di dare un senso a questa storia, ma non sono arrabbiato con te, né ho intenzione di annullare le nozze. Avrei dovuto dirtelo subito" Lei si rilassò. "Che cosa c'è? É successo qualcosa durante
l'addio al celibato?" "Sì", rispose Jeremy. "Ma c'è dell'altro". Cominciò dall'inizio, spiegandole tutta la gravità della propria crisi creativa, le sue preoccupazioni per il costo della casa, la frustrazione che a volte provava entro i confini limitati di Boone Creek. Lexie lo sapeva già, ma sinceramente non si era mai resa conto fino in fondo delle difficoltà che lui stava attraversando. Il suo tono era neutro, non accusatorio, come se stesse parlando a se stesso. Rimase ad ascoltarlo in silenzio. "E poi, ti ho visto tenere Rodney per mano", continuò Jeremy. "Già mentre vi guardavo, ho capito che non avrei dovuto preoccuparmi. Me lo sono ripetuto centinaia di volte, ma evidentemente la tensione di questi ultimi mesi mi ha logorato i nervi. Sapevo che era un'idea assurda, forse però inconsciamente stavo cercando una ragione per prendermela con te" Fece un mesto sorriso. "Proprio come dicevi tu l'altro giorno. E infine, quando sei andata a casa sua, io sono esploso. Ma nel frattempo era successo qualcos'altro di cui non ti ho parlato" Lei gli porse la mano, e fu grata che lui la stringesse. Jeremy le raccontò delle e-mail ricevute, della rabbia e dell'ansia che gli avevano provocato. Dapprincipio, lei faticò a capire quello che era successo e cercò di mantenere calma la voce per mascherare il crescente senso di sgomento. "É così che hai scoperto l'annotazione sul taccuino?" chiese. "Esatto", confermò lui. "Non so se ci avrei fatto caso, altrimenti" "Ma... chi può aver preso questa iniziativa?" Jeremy rispose con un sospiro. "Alvin". "Alvin? É stato lui a mandarle? Non ha senso... Non poteva sapere che..." "Glielo ha detto Rachel", la interruppe lui. "Sai quando è sparita? Era andata a trovarlo a New York" "No, non ci credo. É impossibile. La conosco da sempre, e
non è da lei comportarsi così" Jeremy le raccontò il resto della storia. "Quando sono uscito dal locale, non sapevo dove andare. Ho camminato per un po, finché non ho sentito delle voci che mi chiamavano. I miei fratelli... Si erano accorti che mi ero molto arrabbiato e questo li aveva mandati su di giri. Fagli bere qualche bicchiere, e sono più che felici di azzuffarsi con qualcuno. Continuavano a chiedermi che cosa mi avesse combinato Alvin e se volevo che loro andassero a fare "due chiacchiere" con lui. Io ho risposto di lasciar perdere" Per Jeremy quello era uno sfogo liberatorio, mentre Lexie faticava a digerire il racconto. "Alla fine mi hanno riportato a casa dei miei, ma non riuscivo a dormire. Non potevo parlare con nessuno, così ho cambiato la prenotazione ed ho preso il primo volo in partenza stamattina" Lexie era rimasta senza fiato. "Credevo che Alvin fosse tuo amico" "Anch'io" "Perché ha fatto una cosa del genere?" "Non lo so" "A causa mia? Gli ho fatto qualche torto? Non mi conosce nemmeno. Non sa niente di noi. É stata una cosa..." "Malvagia", concluse Jeremy per lei. "Hai ragione". "Ma..." Si asciugò una lacrima. "Lui... io non..." "Anch'io non capisco", dichiarò Jeremy. "L'unica spiegazione possibile è che, in maniera contorta, Alvin pensasse così di aiutarmi a evitare un potenziale disastro. É perverso, lo so. In ogni caso, con lui ho chiuso" D'un tratto, lei lo guardò con severità. "Perché non mi hai parlato delle e-mail?" "Ero sconvolto. Volevo prima scoprire chi le avesse mandate, e perché. E poi, con tutto il resto in ballo..." "La tua famiglia lo sa?"
"Delle e-mail? No, non ho detto niente..." "No", lo interruppe Lexie tremando. "Che eri preoccupato di non essere tu il padre" "Lo so che sono io il padre" "É tua figlia", confermò lei. "Non sono mai andata a letto con Rodney. Tu sei l'unico uomo con cui abbia fatto l'amore da molto tempo" "Lo so..." "Ma voglio che tu lo senta dalle mie labbra. É la nostra bambina, tua e mia. Lo giuro". "Lo so" "Però hai avuto dei dubbi, vero?" La voce le tremava. "Anche se è stato solo per un istante, hai dubitato. Prima scopri che sono stata a casa di Rodney, e poi che non ti avevo parlato della mia gravidanza precedente. E con gli altri stress che..." "Ora è tutto risolto" "No. Avresti dovuto parlarmene. Se avessi saputo... potevamo affrontare la situazione insieme" Lexie era sul punto di crollare. "É tutto finito, ti ho detto. Non possiamo più farci niente, e andremo avanti" "Quanto devi avermi odiato" "Non è vero" Lui la strinse a sé. "Io ti amo. La prossima settimana ci sposiamo, ricordi?" Lei nascose il viso sul suo petto e trovò conforto nel suo abbraccio. Dopo un po sospirò. "Non voglio vedere Alvin al matrimonio" "Nemmeno io. Ma non ho finito". "Oh, no, che cosa c'è ancora? Sono già abbastanza scioccata, per oggi" "Stai tranquilla", la rassicurò lui. "Ti farà piacere". Lei alzò la testa e lo guardò negli occhi, sperando che fosse vero. "Volevo ringraziarti", disse lui.
"Perché?" Con un tenero sorriso, la baciò sulle labbra. "Per le lettere che hai scritto alla mia famiglia. Soprattutto a mia madre. É questo che mi fa capire che sposarti è la cosa migliore che potrò mai fare nella mia vita"
Capitolo tredicesimo. Una pioggia fredda e battente, insolitamente violenta per la stagione, gettava scrosci d'acqua contro le finestre. Le nuvole scure, che si erano accumulate nel corso della notte, al mattino avevano portato la nebbia e poi un forte vento che staccò gli ultimi boccioli dai sanguinelli. Era l'inizio di maggio e mancavano solo tre giorni alle nozze. Jeremy sarebbe andato a prendere i genitori all'aeroporto di Norfolk, da dove i suoi l'avrebbero seguito con un'auto a noleggio fino a Cape Hatteras. Nell'attesa, lui aveva aiutato Lexie a fare le ultime telefonate per verificare che tutto fosse pronto. Il brutto tempo non riusciva a raffreddare la rinnovata passione tra loro due. La notte del suo ritorno avevano fatto l'amore con un'intensità che aveva sorpreso entrambi, e lui era ancora elettrizzato dal ricordo di quei momenti. Era come se, in quel modo, volessero cancellare il dolore e le delusioni, i contrasti e la rabbia dei mesi precedenti. Una volta eliminato il fardello dei rispettivi segreti, Jeremy si sentiva più leggero. Con il matrimonio imminente, aveva una valida scusa per non pensare al lavoro e ci riuscì senza fatica. Andò a correre un paio di volte e si ripropose di farlo tutti i giorni dopo le nozze. Sebbene la ristrutturazione non fosse ancora conclusa, il capocantiere aveva promesso che avrebbero potuto traslocare nella nuova casa ben prima della nascita della
bambina. Probabilmente ci sarebbero riusciti solo verso la fine di agosto, ma Lexie era alquanto ottimista e mise in vendita la sua casetta, con l'idea di rimpinguare le loro finanze ormai ridotte all'osso. Fino a quel momento non erano più andati da Herbs. Dopo aver saputo cosa Rachel aveva raccontato ad Alvin, Lexie non se la sentiva di affrontare l'amica... non ancora, almeno. La sera prima Doris aveva telefonato, chiedendole come mai non si fossero fatti vedere. Lei aveva tranquillizzato la nonna, assicurandole che non era arrabbiata e, anzi, ringraziandola per averla fatta ragionare l'ultima volta che si erano incontrate. Quando la nipote mancò ancora di passare a salutarla, Doris chiamò di nuovo. "Comincio a pensare che ci sia qualcosa che non vuoi dirmi", dichiarò. "Ti avverto che verrò a casa tua e rimarrò seduta sulla veranda finché non mi spieghi cosa sta succedendo" "É solo che abbiamo molto da fare con gli ultimi preparativi per la cerimonia", cercò di rabbonirla Lexie. "Non sono nata ieri", replicò la nonna. "Capisco quando qualcuno mi evita, ed è esattamente quello che stai facendo tu" "Non ti sto evitando" "Allora perché non passi al ristorante più tardi?" Sentendo che Lexie esitava, Doris ebbe un'intuizione. "Non è che per caso c'entra Rachel?" L'altra non rispose e Doris sospirò. "É per questo, allora. Avrei dovuto capirlo. Lunedì lei ha fatto di tutto per starmi alla larga, e oggi anche. Che cosa ha combinato ancora?" Lexie si stava chiedendo se fosse il caso di raccontarglielo, quando sentì Jeremy entrare in cucina. Pensando che fosse venuto a bere un bicchiere d'acqua o a mangiare un boccone, gli rivolse un sorriso distratto prima di accorgersi della sua espressione.
"C'è Rachel. Vuole parlarti". Quando Lexie entrò in salotto, Rachel le rivolse un sorrisetto nervoso, poi distolse subito lo sguardo. Lei la fissò in silenzio. Sulla soglia, Jeremy si dondolava da un piede all'altro, poi decise di uscire dalla porta di servizio per lasciare sole le due amiche. Dopo aver udito la porta chiudersi, Lexie si mise seduta di fronte a Rachel che, senza un filo di trucco, aveva l'aria ansiosa e sfinita. Stringeva convulsamente un fazzoletto di carta tra le dita. "Mi dispiace per quello che è successo", esordì senza preamboli. "E posso immaginare quanto tu sia arrabbiata. Ma sono venuta a dirti che non volevo farti del male, e non sapevo cosa stesse combinando Alvin" Vedendo che lei non rispondeva, si massaggiò le tempie con le mani. "Mi ha telefonato a casa lo scorso weekend, tentando di spiegarmi, e sono rimasta sconvolta. Se lo avessi saputo, se avessi avuto solo una vaga idea delle sue intenzioni, non gli avrei mai parlato. Ma mi ha preso in giro..." Si interruppe, tenendo ancora gli occhi bassi. "Non sei l'unica. Ha preso in giro anche Jeremy", affermò Lexie. "Però è stata colpa mia, comunque" "Infatti", confermò lei. Quella risposta prese Rachel in contropiede. Nel silenzio che seguì, Lexie la guardò, cercando di capire se era contrita per ciò che aveva fatto o piuttosto perché era stata scoperta. Era una vecchia amica, una persona di cui lei si fidava, ma dopo tutto anche Jeremy avrebbe potuto dire la stessa cosa di Alvin. "Raccontami come è successo", le chiese alla fine. Rachel raddrizzò la schiena. Cominciò a parlare in fretta, come se ripetesse un discorso imparato a memoria. "Sai che io e Rodney abbiamo avuto dei problemi ultimamente, vero?"
Lexie annuì. "É iniziato tutto da lì", continuò Rachel. "So che voi due consideravate in maniera diversa il vostro legame. Per te, lui era soltanto un amico, ma per Rodney... ecco, eri una specie di ossessione ed ancora adesso non so se riuscirà mai a uscirne. In certi momenti, quando mi guarda, è come se in realtà volesse vedere te. É pazzesco, ma ho avuto questa impressione ogni volta che veniva a prendermi. Era come se io non fossi mai all'altezza, qualunque vestito indossassi o dovunque andassimo. E poi un giorno, cercando qualcosa nell'ufficio di Doris, ho trovato il foglietto con il numero di Alvin e... non so... mi sentivo sola e depressa, così provai a chiamarlo. Chiacchierammo un po e io cominciai a raccontargli i problemi che avevo con Rodney e il fatto che lui sembrava non riuscire a dimenticarti. Allora, dopo qualche attimo di silenzio, Alvin mi disse che eri incinta. Dal suo tono capii che non era sicuro che Jeremy fosse il padre del bambino. E che sospettava potesse essere Rodney" Lexie provò una stretta allo stomaco. "Voglio che tu sappia che io non ci ho creduto, nemmeno per un istante. Ero certa che tu e Rodney non foste mai andati a letto insieme, e glielo dissi. Poi riattaccai e non ci pensai più. Qualche tempo dopo lui mi richiamò, e pensai che fosse molto gentile a farlo. E quando io e Rodney litigammo per l'ennesima volta, mi venne voglia di troncare tutto... e di colpo decisi di andare a New York per qualche giorno. Non so spiegarmelo in altro modo, se non che dovevo andarmene da qui e che quella era una città che avrei sempre voluto visitare. Una volta lì, telefonai ad Alvin e poi lo raggiunsi a casa sua. Restammo a parlare per tutta la sera. Ero turbata e forse avevo bevuto troppo, ma ad un certo punto la conversazione tornò su di te e io mi lasciai sfuggire che eri già rimasta incinta un'altra volta, e che era scritto anche nel taccuino di Doris"
Di fronte all'espressione interrogativa di Lexie, lei ebbe un'esitazione. "Doris lo teneva nel suo ufficio e un giorno, sfogliandolo, notai le tue iniziali e il nome di Trevor", proseguì poi. "So che quel fatto non mi riguardava e che non avrei dovuto parlarne, ma mi è sfuggito. Ignoravo che lui stesse mandando delle e-mail a Jeremy nel tentativo di farvi lasciare. L'ho scoperto solo domenica scorsa, dopo il suo ritorno a Boone Creek. Alvin mi ha telefonato in preda al panico e mi ha rivelato tutto. Io mi sono sentita morire. Non solo per quello che era successo a causa mia, ma anche perché lui mi aveva usato fin dal principio" La voce le mancò mentre fissava il fazzoletto di carta ormai a brandelli. "Ti giuro che non volevo ferirti, Lexie. Pensavo che la nostra fosse una chiacchierata innocua" Gli occhi di Rachel si riempirono di lacrime. "Hai tutto il diritto di avercela con me, e non mi sorprenderei che non volessi vedermi mai più. Se fossi in te, anch'io forse farei così. Figùrati che mi ci è voluto tutto questo tempo per trovare il coraggio di venire qui. Negli ultimi giorni non ho mangiato nulla. So che non posso rimediare, ma volevo dirti la verità. Sei sempre stata come una sorella per me, e sono legata a Doris più che a mia madre... Mi si spezza il cuore a pensare di averti fatto del male, e di aver aiutato Alvin a compiere un gesto così spregevole. Mi spiace da morire. Non immagini quanto sia addolorata per te" Quando ebbe finito, rimasero entrambe in silenzio. A quel punto Rachel sembrava prosciugata di ogni energia. Si chinò a raccogliere i brandelli di carta del suo fazzoletto sparsi sul pavimento. Guardandola, Lexie si chiese se quella ammissione diminuiva la sua responsabilità e come dovesse comportarsi con lei. Provava sentimenti ambivalenti. Si sentiva giustamente in collera, ma la sua rabbia era smorzata da una crescente compassione. Sapeva che Rachel era volubile e gelosa, insicura e a volte irresponsabile, però che il tradimento non era nella sua natura. Lexie intuiva che era stata
sincera quando le aveva detto di ignorare quali fossero le intenzioni di Alvin. "Ehi", disse. Rachel alzò la testa. "Sono ancora arrabbiata", confermò Lexie. "Ma ora ho capito che non lo hai fatto per cattiveria" "Mi spiace tanto", ripeté l'altra, afflitta. "Lo so" Rachel annuì. "Che cosa dirai a Jeremy?" "La verità. Che non sapevi niente". "E a Doris?" "Dovrò pensarci su. Non le ho ancora raccontato questa storia. E sinceramente, non so nemmeno se voglio farlo" Rachel sospirò, chiaramente sollevata. "E questo vale anche per Rodney, è ovvio", aggiunse Lexie. "E noi? Rimarremo ancora amiche?" "Suppongo di sì, visto che sarai la mia testimone" Gli occhi di Rachel luccicarono di commozione. "Davvero?" Lexie sorrise. "Sì".
Capitolo quattordicesimo. Il giorno delle nozze il sole si levò sopra un placido Oceano Atlantico, proiettando prismi di luce sull'acqua. Una lieve bruma indugiava sulla spiaggia, mentre Lexie e la nonna preparavano la colazione per gli ospiti del cottage. Doris conobbe per la prima volta i parenti di Jeremy e strinse subito amicizia con il padre. I suoi fratelli e le loro mogli erano allegri come al solito e passarono la maggior parte della mattina affacciati alla ringhiera della veranda ad ammirare i pellicani scuri che sembravano cavalcare il dorso delle focene appena oltre la battigia.
Lexie era stata molto categorica sul fatto di voler limitare al massimo il numero dei presenti, perciò la sorpresa di Jeremy era stata grande nel vedere arrivare anche i fratelli assieme ai genitori. Quando loro scesero dall'aereo a Norfolk, si chiese se non fossero stati invitati all'ultimo momento, considerando quello che era successo in quei giorni. Ma scoprì che non era così, perché le cognate, abbracciandolo, dichiararono che Lexie si era sempre tenuta in contatto con loro e che non vedevano l'ora di incontrarla. In tutto, i partecipanti erano sedici: i membri della famiglia Marsh più Doris, Rachel e Rodney, che alla fine aveva sostituito Alvin. Qualche ora più tardi, mentre Jeremy aspettava l'arrivo di Lexie sulla spiaggia, sentì Gherkin che gli batteva una mano sulla spalla. "So di averglielo già detto", affermò il sindaco, "ma sono davvero onorato che lei mi abbia scelto come suo testimone per questa meravigliosa occasione" Gherkin non si smentiva mai, e per la circostanza aveva indossato un paio di calzoni di poliestere azzurri con una camicia gialla e una giacca sportiva a quadri. Ma Jeremy ormai sapeva che non si poteva fare a meno della sua presenza. O di quella di Jed. Era saltato fuori che, oltre a essere tassidermista e consigliere comunale, Jed aveva anche ricevuto l'ordinazione come ministro di culto. Quel giorno si era addirittura pettinato, portava quello che doveva essere il suo vestito migliore e per la prima volta non lo guardava con occhio torvo. Proprio come Lexie desiderava, la cerimonia fu nel contempo intima e romantica. Il padre e la madre dello sposo erano accanto a lui, mentre i fratelli e le cognate formavano un semicerchio più indietro. Un ragazzo del posto, seduto lì vicino, suonava con la chitarra musica rilassante e sulla sabbia era stato tracciato un sentiero di conchiglie, opera dei fratelli di Jeremy. Mentre il sole tramontava all'orizzonte, le fiamme delle
torce accese enfatizzavano i colori dorati del cielo. Rachel era già commossa e stringeva convulsamente un piccolo bouquet. Lexie era a piedi nudi, come Jeremy, e aveva in testa una coroncina di fiori. Doris l'accompagnava con espressione raggiante, dato che la sposa aveva voluto che fosse la nonna a portarla all'altare. Quando Lexie si fermò, Doris le diede un bacio sulla guancia e si diresse verso i genitori dello sposo. Con la coda dell'occhio Jeremy vide la madre che la cingeva affettuosamente per le spalle. Lexie sembrava fluttuare nell'aria mentre avanzava lentamente verso di lui. Teneva in mano un mazzo di fiori di campo. Quando lo raggiunse, Jeremy rimase colpito dalla sua bellezza e sentì il fresco profumo che emanavano i suoi capelli. Si voltarono verso Jed, il quale aprì la Bibbia e diede inizio alla cerimonia. Jeremy rimase sorpreso dal timbro morbido e melodico della sua voce e lo ascoltò rapito mentre dava il benvenuto ai presenti e leggeva qualche brano delle Sacre Scritture. Con aria autorevole, li guardò negli occhi e parlò di amore e dedizione, di pazienza e sincerità e dell'importanza di accogliere Dio nell'esistenza quotidiana. Dichiarò che la vita coniugale non era priva di difficoltà, ma che se avessero mantenuto la fede in Dio e il rispetto reciproco, avrebbero superato qualsiasi ostacolo. Parlava con eloquenza e, come un insegnante che si è guadagnato da tempo la stima degli alunni, li condusse in quel modo fino al solenne momento del sì. Il sindaco Gherkin porse gli anelli agli sposi. Con mani tremanti, loro se li scambiarono. Allora Jed li dichiarò marito e moglie. Jeremy baciò Lexie teneramente, tenendola per mano. Aveva promesso di amarla e onorarla per sempre davanti a Dio e alla famiglia, e non avrebbe mai creduto che un simile impegno potesse risultargli tanto naturale e giusto. Al termine della cerimonia gli ospiti indugiarono sulla spiaggia.
Doris aveva preparato un piccolo rinfresco all'aperto. Uno dopo l'altro, i famigliari di Jeremy si congratularono con baci e abbracci, e lo stesso fece il sindaco. Jed era scomparso alla Fine del rito, prima che Jeremy potesse ringraziarlo, ma riapparve pochi minuti dopo con uno scatolone gigantesco. Nel frattempo si era cambiato, indossando la sua solita tuta, e anche i capelli erano di nuovo arruffati. Lexie e Jeremy gli si avvicinarono mentre posava lo scatolone per terra. "Che cos'è?" chiese lei. "Non c'era bisogno che ci facessi un regalo" Jed non rispose, ma si limitò ad alzare le spalle per indicare che sarebbe rimasto offeso se lei non lo avesse accettato. Lexie lo abbracciò, poi gli chiese se poteva aprire il pacco. Con un'altra alzata di spalle, Jed la autorizzò a farlo. Lo scatolone conteneva il cinghiale impagliato che Jeremy lo aveva visto "trattare" qualche tempo prima. Era rimasto fedele al suo personalissimo stile, e anche quell'animale sembrava in procinto di azzannare qualcuno. "Grazie", mormorò Lexie commossa e, per quanto gli sembrasse strano, a lui parve che Jed fosse arrossito. Una volta che era finito il rinfresco e l'euforia si era placata, Jeremy si allontanò verso la riva. Lexie lo raggiunse. "Va tutto bene?" Lui la baciò. "Sì. Sto magnificamente. Avevo voglia di fare quattro passi" "Da solo?" "Volevo... riflettere su questa giornata". "D'accordo" Lei gli sorrise. "Ma non stare via molto. Tra poco torneremo nel cottage" Jeremy si incamminò lentamente sulla sabbia, ascoltando il rumore delle onde che si infrangevano a riva. Ripensò ai momenti salienti della cerimonia: l'aspetto di Lexie mentre gli veniva incontro; le pacate parole di Jed; la sensazione inebriante che aveva provato mentre pronunciava il suo giuramento di
amore eterno. A ogni passo sentiva crescere in sé un senso di forza e di serenità, e gli sembrava che persino il cielo, con i suoi splendidi colori, volesse festeggiare l'avvenimento. Quando raggiunse l'ombra del faro che si allungava sulla spiaggia, notò un branco di cavalli selvaggi che brucavano l'erba su una duna poco distante. Solo un animale aveva il muso girato verso di lui. Jeremy avanzò, ammirando la possente muscolatura del mustang e il ritmico ondeggiare della sua coda, e per un attimo si convinse che avrebbe potuto avvicinarsi tanto da toccarlo. Era un'idea assurda, eppure quando si fermò e alzò un braccio in un gesto di amicizia, il cavallo mosse le orecchie incuriosito, come se cercasse di capire, poi di colpo ondeggiò il muso su e giù come in un tacito saluto. Lui rimase a fissarlo meravigliato, colpito dall'idea che in qualche modo loro due stessero comunicando. Quando si voltò e vide Lexie teneramente abbracciata a Doris, si disse che stava vivendo la giornata più bella della sua vita.
Capitolo quindicesimo. Le settimane successive trascorsero in un'atmosfera da sogno. Un precoce caldo estivo avvolse Boone Creek, che prese un ritmo placido e dolce. Verso la metà di giugno anche Lexie e Jeremy erano entrati in una confortevole routine quotidiana, lasciandosi alle spalle i problemi dei mesi precedenti. Persino i lavori di ristrutturazione, per quanto lenti e costosi, sembravano procedere senza intoppi. La facilità con cui loro si erano adattati alla vita coniugale non li sorprese troppo, anche se ebbero modo di scoprire le molte differenze tra l'essere sposati e semplicemente fidanzati. Dopo una breve luna di miele al cottage, con pigre mattinate trascorse a letto e rilassanti pomeriggi di passeggiate sulla
spiaggia, tornarono in città, liberarono la stanza di Jeremy al Greenleaf e portarono la sua roba a casa di Lexie. Lui allestì lo studio nella camera degli ospiti, ma invece di cercare di scrivere, si impegnò a rendere più gradevole la villetta agli occhi dei possibili acquirenti. Tosò il prato e potò le siepi, piantò dei fiori alla base degli alberi e tinteggiò la veranda; anche all'interno ridipinse le pareti e trasportò alcuni oggetti inutili nel magazzino di Doris. Sia lui sia Lexie volevano che il bungalow apparisse al meglio, dato che solo ogni tanto si presentava qualcuno interessato a vederlo e loro avevano bisogno di vendere al più presto. Per il resto, tutto a Boone Creek procedeva come al solito. Il sindaco Gherkin era in ansia per il festival estivo; Jed era tornato taciturno, e Rodney e Rachel avevano ricominciato a frequentarsi e sembravano più felici. Tuttavia, c'erano alcune cose a cui bisognava fare l'abitudine. Per esempio, adesso che loro due convivevano stabilmente, Jeremy non sapeva con precisione quale fosse la giusta dose di coccole. Mentre Lexie sembrava non riceverne mai abbastanza, a lui dopo un po venivano in mente altre forme di intimità più gratificanti. D'altra parte, voleva renderla felice. E allora? Quanto era abbastanza? Dovevano coccolarsi tutte le sere? Per quanto tempo? In quale posizione? E avrebbe dovuto anche sbaciucchiarla? Faceva del suo meglio per comprendere le complicazioni mentali di Lexie in fatto di affetto, ma era un po confuso. E poi c'era il problema della temperatura nella camera da letto. Mentre l'ideale per lui era il condizionatore al massimo e il ventilatore a pale in funzione, lei aveva sempre i brividi. Quando fuori c'erano trentadue gradi con un tasso di umidità altissimo, e i muri emanavano il calore accumulato nel corso della giornata, Jeremy metteva il termostato a diciotto e, con la fronte imperlata di sudore, si coricava indossando solo gli slip, completamente scoperto. Poco dopo Lexie usciva dal bagno, alzava il termostato a ventitré, si infilava sotto il lenzuolo e un
paio di coperte, se li tirava fin sotto il mento e tremava come se avesse appena attraversato la tundra artica. "Perché fa così freddo?" chiedeva mettendosi comoda. "Be, io sto sudando", rispondeva lui. "Ma se si gela qui dentro!" Se non altro, erano sulla stessa lunghezza d'onda quando si trattava di fare l'amore. Nelle prime settimane di matrimonio Lexie si era mostrata sempre disponibile, il che almeno nell'opinione di Jeremy rispettava il vero significato di luna di miele. La parola no non era nel suo vocabolario e lui lo attribuiva al fatto che le sue inibizioni erano diminuite grazie al fatto che adesso erano ufficialmente una coppia, ma anche perché lei lo trovava irresistibile. Non c'erano dubbi, e quella consapevolezza lo esaltava; a volte durante il giorno gli capitava di sognarla ad occhi aperti. Visualizzava i morbidi contorni del suo corpo e ricordava la voluttuosa sensazione delle sue carezze sulla pelle; con un profondo sospiro, rievocava il dolce respiro di lei nel buio mentre le affondava le dita nei capelli. Quando Lexie tornava dalla biblioteca, lui riusciva a dominarsi e a baciarla affettuosamente, poi passava l'ora di cena a fissare la sua bocca in attesa di fare un'avance che non veniva mai respinta. Anche se era infangato e sudato dopo aver lavorato in giardino, non erano mai abbastanza veloci nello spogliarsi in camera da letto. E poi, da un giorno all'altro, la situazione era cambiata radicalmente. Fu come se, dalla mattina alla sera, la Lexie che conosceva fosse stata sostituita da una gemella frigida. Rammentava con precisione la data, essendo la prima volta che veniva rifiutato: il 17 giugno. Aveva trascorso la mattina successiva a cercare di convincersi che non era il caso di dare troppo peso alla faccenda, e a chiedersi dove avesse sbagliato. Quella sera il rifiuto si ripeté e lo stesso accadde per gli otto giorni seguenti. Quando faceva qualche approccio, lei rispondeva che
era stanca, o che non ne aveva voglia, e lui, frustrato, rimaneva a lungo sveglio a domandarsi come mai di colpo Lexie lo vedesse solo come un compagno di stanza da cui farsi coccolare prima di addormentarsi in una camera rovente quanto una fornace. "Ti sei alzato con il piede sbagliato stamattina", osservò lei il giorno successivo al primo rifiuto. "Non ho dormito bene" "Hai avuto degli incubi?" chiese Lexie preoccupata. Nonostante i capelli in disordine ed il goffo pigiama, lei era estremamente seducente e Jeremy non sapeva se essere arrabbiato o vergognarsi di pensare al sesso tutte le volte che la vedeva. Era proprio quello il pericolo delle abitudini: le settimane precedenti avevano avuto un andamento a suo parere molto piacevole, ma era evidente che Lexie non la pensava allo stesso modo. Se c'era una cosa che lui aveva imparato dal suo primo matrimonio, però, era di non lamentarsi mai della frequenza dei rapporti sessuali. In questo, uomini e donne erano diversi. Le donne a volte li desideravano; gli uomini, invece, ne avevano sempre bisogno. Una grossa differenza che, nel migliore dei casi, veniva superata trovando una sorta di ragionevole compromesso che non soddisfaceva pienamente nessuna delle due parti, ma era più o meno accettabile per entrambe. Jeremy era consapevole che avrebbe fatto la figura del piagnucoloso se si fosse lamentato perché la luna di miele non era durata più a lungo. Per esempio, per i successivi cinquant'anni. "Non ricordo", rispose alla fine. La sua confusione era accresciuta dal fatto che, nel corso della giornata, lei sembrava allegra e di buonumore come prima. A colazione leggevano il giornale e si scambiavano le notizie; poi Lexie gli chiedeva di seguirla in bagno mentre si preparava per uscire, in modo da poter continuare la conversazione. Lui trascorreva il tempo fino al suo ritorno sforzandosi di
non pensarci. Tutte le sere si armava di pazienza in vista dell'ennesimo rifiuto, e si coricava dicendosi che la cosa non l'avrebbe affatto turbato. Naturalmente, non prima di aver compiuto il gesto passivo-aggressivo di riabbassare il termostato a venti gradi. Ma con il passare dei giorni la sua frustrazione e la sua perplessità crescevano. Una sera, dopo aver guardato insieme la televisione, spensero le luci e Jeremy la tenne stretta per un po, prima di spostarsi sull'altro lato del letto per raffreddare gli ardori. Qualche tempo dopo, sentì che lei gli prendeva la mano. "Buonanotte", gli disse con voce dolce, muovendo lentamente il pollice sul suo palmo. Lui non reagì, ma il mattino seguente, quando si svegliò, si accorse che Lexie sembrava offesa. La seguì in bagno e, solo dopo essersi lavata i denti e aver fatto gli sciacqui con il collutorio, lei si decise a guardarlo in faccia. "Si può sapere cosa ti è successo ieri sera?" gli chiese. "Che cosa vuoi dire?" "Io ne avevo voglia, e tu ti sei messo a dormire" "E come potevo capirlo?" "Ti ho preso la mano, no?" Jeremy sgranò gli occhi. Era quello il suo modo di fargli delle avance? "Mi spiace", disse. "Non me n'ero reso conto". "Non importa", rispose lei con un tono che dimostrava il contrario. Guardandola dirigersi in cucina, lui si ripromise di tenere presente quel segnale in futuro. Due sere dopo, quando erano a letto, Lexie tornò a prendergli la mano e Jeremy si voltò verso di lei così in fretta da restare incastrato nelle lenzuola mentre cercava di baciarla. "Che cosa fai?" chiese lei respingendolo. "Mi hai preso la mano"
"E allora?" "Be, l'ultima volta che è successo significava che avevi voglia di fare l'amore" "É vero", replicò lei, "ma ti avevo accarezzato il palmo con il pollice, ricordi? Questa volta non l'ho fatto" Jeremy cercò di assorbire il colpo. "Così ora non ti va?" "Non mi sento proprio in vena. Non ti dispiace se dormiamo, vero?" Lui trattenne un sospiro. "No, figùrati". "Possiamo farci un po di coccole, però?" Dopo un attimo di esitazione, rispose: "Perché no?" Soltanto il mattino seguente finalmente fu svelato l'arcano. Al risveglio, Jeremy si accorse che Lexie si era già alzata. Andò a cercarla e la trovò semisdraiata sul divano, con la giacca del pigiama arrotolata sotto i seni. Aveva orientato la lampada in modo da illuminare l'addome. "Che cosa stai facendo?" chiese lui incuriosito, stirando le braccia sopra la testa. "Vieni a sederti qui vicino a me, presto" Jeremy la raggiunse e lei indicò il pancione. "Guarda attentamente", gli disse. "Stai fermo, così lo vedrai" Jeremy ubbidì e all'improvviso notò una piccola protuberanza sulla superficie dell'addome. Un attimo dopo era scomparsa. "Hai visto?" esclamò lei. "Mi pare di sì. Che cos'è?" "É la bambina che scalcia. Ultimamente mi era sembrato di sentirla muovere, ma stamattina ne ho avuto la certezza" L'addome sussultò di nuovo. "Ecco! Stavolta l'ho visto bene!" esclamò Jeremy. "É proprio la bambina?" Lexie annuì con espressione rapita. "É tutta la mattina che si agita, ma non volevo svegliarti, così sono venuta qui per guardare
meglio. Non è incredibile?" "Stupefacente", concordò Jeremy, continuando a fissare il pancione. Lexie gli prese la mano e se la posò sull'addome. Pochi secondi dopo, lui sentì un sussulto e sorrise felice. "Ti fa male?" "No, sento come una pressione. É difficile da spiegare, ma è meraviglioso" Alla luce soffusa della lampada, lei era bellissima. Quando girò la testa a guardarlo, gli occhi le scintillavano. "Non trovi che sia un'esperienza assolutamente fantastica?" "Senza dubbio" Lexie posò la mano sulla sua. "Mi spiace se in questi giorni non sono stata molto "attiva", ma stranamente mi era tornata la nausea. Avevo lo stomaco così sottosopra che temevo di vomitare se avessimo fatto l'amore. Almeno adesso ho capito la ragione" "Non ti preoccupare", rispose lui. "Non ci avevo fatto caso" "Come no. Lo capisco, sai, quando sei contrariato". "Davvero?" Lei annuì. "Ti giri e ti rigiri nel letto. E a volte sospiri. É molto evidente. Ma adesso sto benissimo". "Sul serio?" "Sì, anzi, mi sento come i primi giorni dopo il matrimonio" "Sei sicura?" Lexie annuì di nuovo, lanciandogli un'occhiata seduttiva. Un altro aspetto problematico nei primi tempi del loro matrimonio riguardava il lavoro di Jeremy. Come era accaduto a maggio e poi a giugno, alla fine di luglio lui spedì a New York un altro degli articoli che aveva già scritto per la sua rubrica. Era l'ultimo. D'ora in avanti cominciava il conto alla rovescia. Aveva quattro settimane di tempo per trovare qualcosa da scrivere. Tuttavia, quando si sedeva davanti al computer, non gli
veniva niente. Con agosto arrivò un'ondata di caldo di cui lui aveva sentito parlare, ma che non aveva mai sperimentato in maniera così prolungata. Anche New York era afosa d'estate, e non mancavano certo le giornate dal clima opprimente, però Jeremy le aveva sempre trascorse restandosene chiuso in casa con il condizionatore al massimo. A Boone Creek, invece, in quel periodo si faceva vita all'aperto. Come Gherkin aveva previsto, il festival fece giungere in città migliaia di turisti da tutta la regione. Le strade, gremite di gente, erano fiancheggiate da chioschi che vendevano ogni genere di cibo, dai panini con la carne alla griglia agli spiedini di gamberetti. Il luna park ambulante si era installato in riva al fiume e c'erano lunghe file di ragazzini che aspettavano di salire sul mini ottovolante e sulla scricchiolante ruota panoramica. La cartiera che sorgeva sulla riva opposta aveva fornito una montagna di pezzetti di legno di varie forme e dimensioni e i più piccoli si divertivano a giocare con quelli alle costruzioni. L'astronauta richiamò l'attenzione della gente e dovette firmare autografi per tutta la giornata. Il sindaco era stato molto abile nell'escogitare attrazioni legate al tema dello spazio. Ci si poteva far dipingere il viso con figure a forma di shuttle, meteore, pianeti e satelliti, e Gherkin era riuscito a ottenere dalla Lego migliaia di scatole, in modo che i bambini potessero assemblare delle astronavi. Tale attività, che si svolgeva sotto un grande tendone, riscuoteva molto successo anche tra i genitori, dato che quello era l'unico posto all'ombra di tutta la fiera. Appena uscito di casa Jeremy aveva già la camicia fradicia di sudore, ma Lexie, che ormai era al sesto mese di gravidanza, soffriva più di lui. Pur non essendo ingrassata molto, il suo stato era ormai evidente e, incontrandola per strada, alcune donne anziane non fecero nulla per nascondere la propria sorpresa. Alla fine, però, tutte si dichiararono felici per loro.
Lexie fingeva di stare meglio di quanto in realtà si sentisse e propose a Jeremy di fare un altro giro per la città. Notando le sue guance arrossate, lui rispose che aveva visto abbastanza e le suggerì di trascorrere il fine settimana lontano dalla folla. Presero lo stretto necessario e partirono per il cottage a Buxton. Anche lì faceva caldo, ma la brezza marina rendeva il clima molto più fresco e gradevole. Al ritorno a Boone Creek, vennero a sapere che Rodney e Rachel si erano fidanzati ufficialmente. Pareva che fossero riusciti a superare i loro problemi, e un paio di giorni dopo la sua amica chiese a Lexie di farle da testimone di nozze. I lavori di ristrutturazione erano quasi terminati; la cucina e i bagni erano stati praticamente rifatti e mancavano solo i ritocchi finali che avrebbero trasformato il cantiere in una casa. Il trasloco era fissato per la fine del mese. Un tempismo perfetto, dal momento che avevano appena ricevuto un'offerta per il bungalow da due pensionati della Virginia che volevano trasferirsi lì prima possibile. A parte il blocco creativo, Jeremy era pienamente soddisfatto. A volte rifletteva sulle prove che lui e Lexie avevano dovuto affrontare prima del matrimonio, ma dalle quali erano usciti rafforzati come coppia. Quando la guardava, ora si sentiva certo di non aver mai amato nessuno quanto lei. Quello che però non sapeva era che i giorni più difficili dovevano ancora arrivare.
Capitolo sedicesimo. "Dobbiamo decidere il nome della bambina", disse Lexie. Era una sera di metà agosto e stavano seduti sulla veranda della nuova casa. Ancora non avevano traslocato, ma quel giorno gli operai erano andati via presto e loro erano rimasti lì a
guardare il fiume. Senza un filo di vento, l'acqua era immobile e rifletteva come uno specchio l'immagine capovolta dei cipressi che crescevano sulla riva opposta. "Ti lascio libera di scegliere", rispose Jeremy. Si stava sventolando con una copia di Sports Illustrated che aveva avuto intenzione di leggere prima di rendersi conto che poteva utilizzarla meglio per alleviare la calura. "Non vale. É nostra figlia. Voglio sentire anche il tuo parere" "Ti ho già fatto la mia proposta", replicò lui. "Ma l'hai scartata" "Non potrei mai chiamarla Misty" "Misty Marsh? Come fa a non piacerti?" Jeremy aveva tirato fuori quel nome per scherzo la settimana prima e, vedendo con quanta foga lei lo avesse rifiutato, insisteva solo per il gusto di provocarla. "Be, non mi piace" Lexie indossava un paio di calzoncini e una maglietta sformata e aveva l'aria accaldata. Dato che i piedi avevano cominciato a gonfiarsi, lui le aveva messo davanti un secchio rovesciato per farle appoggiare le gambe. "Non trovi anche tu che suoni bene?" "Tanto varrebbe chiamarla Smelly Marsh o Creepy Marsh", obiettò lei. "Quelli li tenevo per i suoi fratelli" Lexie rise. "Senza dubbio te ne sarebbero eternamente grati. Parlando sul serio, non hai qualche altra idea?" "No. Come ti ho già spiegato, mi va bene qualunque nome tu scelga" "É questo il problema. Non ho ancora deciso". "Sai qual è il problema, invece? Hai comprato un sacco di libri sui nomi. E così ora ti ritrovi con troppe alternative". "Io ne vorrei solo uno adatto a lei" "Ma è proprio questo il punto. Quale che sia la nostra scelta, all'inizio non andrà bene. Nessun neonato ha una faccia da Cindy o da Jennifer. Ricordano piuttosto Taddeo, il cacciatore
che perseguita Bugs Bunny" "Non è vero. I neonati sono così teneri". "Sì, ma si somigliano tutti quanti" "Senti, ti avviso fin da adesso che resterò molto delusa se non riuscirai a distinguere subito nostra figlia nella nursery dell'ospedale" "Non c'è problema. Portano il braccialetto identificativo". "Ah-ha", fece lei. "Invece, la riconoscerai dal suo aspetto" "Naturale. Sarà la bambina più bella in tutta la storia del North Carolina e le sue fotografie verrannno pubblicate sui giornali con la didascalia: "É stata così fortunata da aver preso le orecchie da suo padre"" Lexie rise di nuovo. "E la fossetta". "Giusto. Come ho fatto a dimenticarlo?" Lei gli prese la mano. "E ci pensi a domani? Sei emozionato?" "Moltissimo. La prima ecografia è stata davvero entusiasmante, ma questa... finalmente la vedremo per bene". "Sono contenta che tu venga con me" "Vuoi scherzare? Non me la sarei persa per niente al mondo. Spero che mi stampino una foto, così potrò mostrarla ai miei amici" "Quali amici?" "Non ti ho detto di Jed? Ragazzi, non mi lascia più in pace; mi telefona a tutte le ore rintronandomi di chiacchiere!" "Temo che il caldo ti abbia dato alla testa. A quanto ne so, Jed non ti ha ancora rivolto la parola" "Hai ragione. Ma non importa. Voglio comunque una foto per me, così potrò ammirare la bellezza della mia bimba" Lei lo fissò. "Allora sei sicuro anche tu che sia una femmina?" "Penso che tu mi abbia convinto" "E da questo che ne deduci delle doti di Doris?" "Che in un calcolo probabilistico al cinquanta per cento, lei
ha indovinato. Come farebbe la metà della popolazione". "Ancora non sei pronto a credere, eh?" "Preferisco definirmi uno scettico" "L'uomo dei miei sogni" "Proprio così" Jeremy annuì. "Continua a ripetertelo, così non c'è bisogno che io te lo dimostri" Lexie si spostò sulla sedia per mettersi più comoda. "Che ne pensi del fatto che Rachel e Rodney abbiano deciso di sposarsi?" "Io sono favorevole al matrimonio. Lo considero una valida istituzione" "Hai capito cosa intendo. Secondo te, non stanno correndo troppo?" "Chi siamo noi per giudicarli? Io mi sono dichiarato poche settimane dopo il nostro primo incontro, quei due invece si conoscono fin da piccoli. Direi che dovrebbero essere loro a farsi questa domanda, e non il contrario" "Infatti è così, ma..." "Aspetta", la interruppe Jeremy. "Pensi che parlino di noi?" "Ne sono sicura. Come del resto molti altri, qui". "Davvero?" "Certo", confermò Lexie, dandolo per scontato. "Questa è una piccola città e l'unico divertimento è stare seduti a parlare della gente. Nell'intimità delle nostre case, cerchiamo di scoprire cosa succede agli altri, ci scambiamo idee ed opinioni, discutiamo su chi abbia ragione o torto e su come risolveremmo i problemi se fossimo al posto loro. É ovvio, nessuno lo ammetterà mai, ma è il passatempo locale. Quasi un modo di vivere" Jeremy soppesò le sue parole. "Credi che in questo momento qualcuno stia facendo dei pettegolezzi sul nostro conto?" "Naturalmente. Alcuni diranno che ci siamo sposati perché io ero incinta, altri che tu non resisterai a lungo a Boone Creek, altri ancora si chiederanno come possiamo permetterci questa casa e concluderanno che siamo indebitati fin sopra i
capelli, al contrario di loro, sempre parsimoniosi e frugali. Stanno parlando di noi eccome, e ci provano pure un grande gusto" "L'idea non ti dà fastidio?" "Perché dovrebbe?" rispose lei. "Che me ne importa? Non verranno certo a raccontarcelo e domani tutti saranno gentili come sempre. E poi, è quello che stiamo facendo anche noi. Il che mi riporta a Rodney e Rachel. Non credi che stiano affrettando un po troppo le cose?" Quella sera, a letto, Jeremy aveva finalmente aperto la copia di Sports Illustrated ed era immerso nella lettura di un articolo su una giocatrice di pallavolo quando Lexie mise da parte il suo libro. "Ci pensi mai al futuro?" gli chiese. "Certo", rispose lui abbassando la rivista. "Chi non lo fa?" "E come te lo immagini?" "Per noi? O per il mondo?" "Dico sul serio" "Anch'io", rispose Jeremy. "Perché è una questione completamente diversa, che porta a considerazioni di carattere generale. Potremmo per esempio parlare del riscaldamento del globo, e dei suoi possibili effetti sul destino dell'umanità. Oppure chiederci se Dio esista davvero e come verremo valutati il giorno del Giudizio, il che ridimensiona il senso della nostra vita terrena. Potremmo anche discutere di economia e del crescente fenomeno della globalizzazione, o di politica e della strategia che dovrebbe adottare il prossimo presidente per risolvere i problemi nazionali e internazionali. E..." Lei gli posò una mano sul braccio per bloccarlo. "Sarai sempre così?" "Così come?" "Puntiglioso. Uno che prende tutto alla lettera. Non intendevo avventurarmi in una profonda discussione filosofica. La mia era una semplice domanda"
"Io credo che saremo felici", azzardò lui. "Non potrei immaginarmi di vivere il resto della mia vita senza di te" Lei gli strinse il braccio, soddisfatta. "Anch'io lo penso", dichiarò. "Eppure..." Jeremy la guardò. "Cosa?" "A volte mi chiedo se saremo all'altezza come genitori. É una grande responsabilità" "Ce la caveremo bene. Tu poi sarai bravissima". "É facile dirlo, ma come possiamo saperlo? E se nostra figlia finisse per diventare una di quelle adolescenti arrabbiate che si vestono sempre di nero, si drogano e vanno a letto con tutti?" "Non credo proprio" "Non puoi esserne sicuro" "Invece sì", obiettò Jeremy. "Sarà una ragazzina fantastica. E come potrebbe essere diversamente, con una madre come te?" "I bambini nascono già con il loro carattere, e quando diventano grandi prendono le decisioni in modo autonomo. Non puoi prevedere tutto" "Certo, ma molto dipende dall'educazione..." "Sì, però a volte non basta. Potremo mandarla a lezione di piano e ai corsi di atletica, portarla in chiesa tutte le domeniche ed iscriverla ad una scuola di buone maniere, oltre, naturalmente, a inondarla di affetto. Ma una volta adolescente... ecco, certe volte non ci si può fare proprio niente. Che ti piaccia o no, alla fine i figli crescono e diventano ciò che il destino ha previsto per loro" Jeremy l'ascoltò attentamente, poi la strinse a sé. "Davvero sei in ansia per questo?" "No, ma a volte ci penso. Tu non lo fai?" "Veramente, no. É giusto che un giovane compia da solo le proprie scelte, e i genitori possono solo dare il buon esempio e cercare di indirizzarlo sulla strada giusta" "E se non fosse sufficiente? Questa possibilità non ti
preoccupa?" "No", ripeté lui. "Con nostra figlia andrà tutto bene". "Come fai a esserne tanto sicuro?" chiese di nuovo Lexie. "Perché è così", rispose lui. "Ti conosco, credo in te e so che sarai una brava madre. E non dimenticare che ho scritto parecchi articoli sull'influenza del carattere e dell'educazione nello sviluppo della personalità. Sono due aspetti determinanti, però nella maggior parte dei casi è il contesto in cui è cresciuto a condizionare il comportamento di un individuo più di qualunque gene ereditario" "Ma..." "Faremo del nostro meglio. E scommetto che il risultato sarà ottimo" Lexie ci pensò su. "Davvero hai scritto degli articoli sull'argomento?" "Non solo, prima mi sono anche documentato a fondo. Fidati" Lei sorrise. "Sei molto intelligente, sai", affermò. "Ecco..." "Non tanto per le conclusioni a cui sei arrivato, ma per ciò che hai appena detto. Non mi interessa se sia vero o meno, però era esattamente quello che avevo bisogno di sentire" "Questo è il cuore", spiegò il dottore il giorno successivo indicando un punto sullo schermo del computer. "E quelli sono i polmoni e la spina dorsale" Jeremy prese la mano di Lexie e gliela strinse. Erano nell'ambulatorio ginecologico di Washington e lui era ansioso di vedere di nuovo la bambina un'immagine sgranata della prima ecografia era ancora attaccata allo sportello del frigorifero anche se provava un certo disagio nel guardare la moglie distesa sul lettino con le gambe divaricate. In piedi davanti a lei, il dottor Andrew Sommers un tipo alto e azzimato l'aveva visitata. Mentre controllava e tastava le parlava con noncuranza della recente ondata di caldo, dei preoccupanti incendi nelle foreste del Wyoming e del fatto che
aveva intenzione di andare a mangiare da Herbs a Boone Creek, perché molte sue pazienti gli avevano raccomandato quel ristorante. Di tanto in tanto inscriva nel discorso questioni più pertinenti, per esempio domandandole se avvertiva le contrazioni di Braxton-Hicks, oppure se a volte le girava la testa. Lexie replicava con la massima disinvoltura, come se stessero amabilmente conversando a tavola. Per Jeremy, che stava seduto alle sue spalle, la scena aveva un che di surreale. Certo, quell'uomo era un medico, e senza dubbio visitava decine di pazienti ogni giorno, ma quando Sommers tentò di coinvolgerlo nella conversazione gli rispose guardandolo fisso negli occhi, per evitare di vedere quello che stava facendo a Lexie. Probabilmente lei non ci trovava niente di strano, pensò, ma era una di quelle situazioni in cui lui si rallegrava di essere un maschio. Il dottore se ne andò, lasciandoli soli per qualche minuto in attesa della specialista dell'ecografia. Entrata nella stanza, la donna chiese a Lexie di scoprire l'addome e poi le spalmò sopra un gel, facendola sussultare. "Mi scusi, avrei dovuto avvertirla che è freddo. Ora guardiamo come va la bambina, d'accordo?" Mentre muoveva il sensore aumentando o diminuendo la pressione sull'addome, la donna spiegò loro il significato delle immagini che apparivano via via sullo schermo. "É sicura che si tratti proprio di una femmina?" chiese a un certo punto Jeremy. Sebbene glielo avessero confermato già la volta precedente, lui non aveva compreso da cosa lo avessero dedotto, ma si era sentito troppo in imbarazzo per chiedere spiegazioni. "Sicurissima", rispose la donna, spostando il sensore. Poi si fermò. "Oh, ecco un'ottima immagine... guardi lei stesso" Jeremy scrutò il monitor. "Non capisco bene". "Questo è il sedere", disse l'ecografista, "e quelle sono le
gambe. É come se fosse seduta sopra il sensore..." "Non vedo niente" "Appunto. Perciò sappiamo che è una femmina". Lexie scoppiò a ridere e Jeremy si chinò verso la moglie. "Saluta Misty", mormorò. "Zitto! Sto cercando di godermi questo momento", ribatté lei stringendogli la mano. "Bene, ora prendo qualche misura per controllare lo sviluppo del feto" La donna spostò di nuovo il sensore, poi schiacciò un paio di tasti. "Perfetto", dichiarò infine, "le misure corrispondono. Il termine indicativo è per il 19 ottobre" "Sta crescendo bene?" chiese Jeremy. "Direi di sì" L'ecografista passò ad analizzare il cuore ed il femore. Ma invece di schiacciare il tasto per la misurazione continuò a muovere il sensore, seguendo una linea bianca che si protendeva verso la bambina e che sembrava una scarica elettrica o un difetto dello schermo. La donna corrugò la fronte. Di colpo prese a spostare il sensore più in fretta, soffermandosi spesso a guardare le immagini sul monitor. Come se stesse controllando il feto da tutte le angolazioni. "Che cosa sta facendo adesso?" domandò Jeremy. La donna era molto concentrata. "Sto verificando una cosa", mormorò continuando a fissare lo schermo. Misurò velocemente gli altri parametri e poi si rimise a esaminare il feto in varie prospettive. Quindi tornò sulla linea bianca. "Tutto a posto?" insistette Jeremy. Senza distogliere lo sguardo dal monitor, l'ecografista fece un respiro profondo e parlò con voce ferma. "Preferisco che il dottore venga a controllare" "Che significa?" "Vado a chiamarlo", rispose lei alzandosi. "Lui potrà spiegarvi meglio di me. Aspettate un momento. Torno
subito" Forse fu quel tono misurato a far impallidire Lexie. Jeremy sentì che gli stringeva con forza la mano e una serie di immagini sconvolgenti gli attraversò la mente, dato che aveva capito che la donna aveva notato qualcosa di insolito, di diverso... qualcosa di brutto. In quell'attimo il tempo si fermò e la stanza parve rimpicciolirsi intorno a lui mentre cercava di dare un senso alla strana linea che aveva scorto sullo schermo. "Che cosa sta succedendo?" mormorò Lexie. "Non lo so", rispose Jeremy. "C'è qualche problema con la bambina?" "Non ha detto questo", replicò Jeremy, per confortare tanto lei quanto se stesso. Aveva la gola improvvisamente secca. "Sono sicuro che non è niente" Lexie sembrava sull'orlo del pianto. "E allora perché è andata a chiamare il dottore?" "Probabilmente deve farlo, se vede qualcosa di insolito" "E che cosa ha visto?" domandò lei con voce implorante. "Io non mi sono accorta di niente" Jeremy ci pensò un attimo. "Non lo so", ripeté. "Allora, cosa può essere?" Turbato, Jeremy accostò la sedia al lettino. "Non capisco. Ma il battito cardiaco andava bene e la bambina sta crescendo regolarmente. Ce lo avrebbe comunicato prima se ci fossero stati problemi di quel tipo" "Hai visto la sua espressione? Sembrava... preoccupata" Jeremy non sapeva come rispondere e si mise a fissare la parete della stanza. Pur essendo lì con Lexie, di colpo si sentì molto solo. Un attimo dopo il ginecologo e l'ecografista comparvero sulla soglia con un sorriso forzato stampato sul viso. La donna riprese posto sulla sedia e l'uomo rimase in piedi alle sue spalle.
Jeremy e Lexie stettero in silenzio. "Vediamo", disse il dottor Sommers. L'ecografista versò ancora un po di gel sull'addome di Lexie e, quando vi posò sopra il sensore, il feto tornò visibile sullo schermo. Ma lei indicò un altro punto dell'immagine. "Riesce a distinguerla?" chiese. Il medico si sporse in avanti; Jeremy lo imitò e notò di nuovo quella linea bianca ondulata. Questa volta si accorse che proveniva dalle pareti del sacco amniotico. "Eccola lì" Il ginecologo annuì. "Si è attaccata?" La donna spostò il sensore facendo apparire diverse immagini del feto. Scuotendo il capo, rispose: "Non mi sembra che si sia attaccata da nessuna parte. Penso di aver controllato dappertutto" "Lasci dare un'occhiata anche a me", rispose il dottore. L'ecografista si alzò e gli cedette il posto. L'uomo era meno abile di lei nell'uso dell'apparecchio e le immagini comparivano più lentamente. Per parecchio tempo nessuno parlò. "Che cosa c'è?" La voce di Lexie tremava. "Cosa state cercando?" Il medico fece un cenno all'ecografista, che uscì dalla stanza, poi si rivolse a loro. "La vedete?" chiese indicando la linea bianca. "Si chiama banda amniotica", spiegò. "Ho verificato che non si fosse attaccata al feto in nessun punto. Quando succede, in genere si lega ad un braccio o una gamba. Finora, tuttavia, va tutto bene" "Perché? Non capisco", disse Jeremy. "Che cosa sarebbe questa banda? E che danni può causare?" Il dottore trasse un profondo respiro. "É composta dalle stesse fibre del sacco amniotico, l'involucro che contiene il feto" Tracciò il contorno del sacco con un dito, poi lo puntò verso la banda. "Come potete vedere, un capo è attaccato qui al sacco e l'altro galleggia libero. Questo secondo capo potrebbe
avvolgersi intorno al feto. Se capitasse, il bambino nascerebbe con quella che viene definita la sindrome da costrizione congenita delle bande amniotiche, o ABS" Dopo una pausa, riprese a parlare in tono neutro. "Sarò franco. In tali casi il rischio di malformazioni congenite è alto. So quanto è difficile per voi sentirvi dire una cosa del genere, ma è per questa ragione che abbiamo controllato con la massima attenzione. Vogliamo essere sicuri che la banda non abbia fatto presa in nessun punto" Jeremy faticava a respirare. Con la coda dell'occhio vide che Lexie si mordeva il labbro. "Si attaccherà?" chiese al dottore. "Non c'è modo di prevederlo. In questo momento il capo libero galleggia nel liquido amniotico. Però il feto è ancora piccolo, e a mano a mano che cresce le probabilità aumentano, anche se l'ABS si verifica solo in casi rarissimi" "Quali malformazioni può provocare?" bisbigliò Lexie. Il medico sembrava riluttante a rispondere. "Anche questo dipende da dove si attacca. Ma se si tratta di vera ABS, la situazione può farsi grave" "Quanto grave?" chiese Jeremy. Il medico sospirò. "Se si avvolge alle estremità, la bambina può nascere senza un arto, oppure con anomalie come piede torto o sindattilia, ovvero con una membrana tra le dita. Se si attacca altrove, le conseguenze possono essere ancora più serie" Mentre ascoltava quelle parole, Jeremy si sentiva mancare. "Che cosa dobbiamo fare?" riuscì a dire. "Ci sono rischi per la salute di Lexie?" "L'ABS non colpisce in nessun modo la madre", rispose il dottore. "E per quanto riguarda quello che si può fare, non ci resta che aspettare. Non c'è motivo di stare a riposo od a letto. Consiglio un'ecografia di secondo livello, che fornisce immagini più nitide, ma servirà comunque solo a verificare se la banda si è attaccata al feto. Cosa che non credo. E poi
faremo un'ecografia ogni due o tre settimane, ma non c'è altro" "Com'è successo?" "Voi non avete nessuna responsabilità in questo. E non dimenticate che finora non ci sono segni che la banda si sia attaccata. Ve lo ripeto perché è importante che capiate. La bambina per ora è in perfette condizioni. La crescita è normale, il battito cardiaco forte, lo sviluppo cerebrale regolare" Nel silenzio che seguì, Jeremy si concentrò sul ronzio regolare dell'apparecchio ecografico. "Lei ha detto che, se si attacca da altre parti, le conseguenze sarebbero anche peggiori", affermò. Il medico si agitò sulla sedia. "Sì", ammise. "Ma è assai improbabile" "Che cosa potrebbe accadere?" Il dottor Sommers spostò di lato la sua cartelletta, come se stesse valutando le parole da pronunciare. "Se si avvolge intorno al cordone ombelicale", rispose alla fine, "potreste perdere la bambina"
Capitolo diciassettesimo. Potevano perdere la bambina. Non appena il ginecologo uscì dall'ambulatorio, Lexie scoppiò a piangere e Jeremy dovette fare uno sforzo per non imitarla. Si sentiva svuotato e parlava meccanicamente mentre le ricordava che per ora non c'erano problemi, e che probabilmente sarebbe andato tutto liscio. Invece di calmarla, quelle parole sembrarono sortire l'effetto opposto. Le sue spalle erano scosse dai singhiozzi e le mani le tremavano mentre la stringeva tra le braccia. Quando alla fine si alzò dal lettino, lui aveva la camicia inzuppata di lacrime.
Lexie si rivestì in silenzio e l'unico rumore nella stanza era il suo respiro affannoso, come se cercasse di non rimettersi a piangere. L'aria si era fatta opprimente e Jeremy si sentiva malfermo sulle gambe. Quando la vide abbottonarsi la camicia sulla rotondità del pancione, fu preso da una vertigine. L'angoscia lo soffocava e l'ambulatorio asettico gli sembrava irreale. Non stava succedendo sul serio, si disse. Non poteva essere vero. Le ecografie precedenti non avevano evidenziato niente. Lexie non aveva bevuto nemmeno una tazza di caffè da quando aveva saputo di essere incinta. Era giovane, forte, e dormiva abbastanza. Ma c'era qualcosa che non andava. Mentre fissava il suo addome si immaginò quella specie di nastro che galleggiava nel liquido amniotico come il tentacolo di una medusa velenosa. In agguato, pronto ad attaccare. Avrebbe voluto che Lexie si mettesse a letto e smettesse completamente di muoversi, in modo che la mostruosa appendice non potesse arrivare fino alla bambina. Allo stesso tempo che lei andasse in giro e continuasse a comportarsi nel solito modo, visto che il tentacolo per il momento fluttuava liberamente. Avrebbe voluto sapere cosa fare per aumentare le probabilità che la bambina nascesse sana. Ormai gli mancava l'aria ed era quasi sopraffatto dalla disperazione. La loro bambina rischiava di morire, pensava. La loro piccolina. Forse l'unica figlia che avrebbero mai potuto avere. Voleva andarsene da quel posto e non tornarci mai più; voleva rimanere lì a parlare con il dottore per assicurarsi di aver capito bene. Voleva dirlo alla madre, ai fratelli, a suo padre, per poter piangere sulla loro spalla; voleva tacere, portare il suo fardello stoicamente. Voleva che la sua bambina stesse bene. Si ripeteva quelle parole mentalmente, come se così potesse indurla a tenersi lontano dal tentacolo. Quando Lexie afferrò la borsa, lui vide i suoi occhi arrossati dal pianto e ne rimase straziato. Non sarebbe dovuto accadere niente del genere. Doveva essere
una bella giornata, un giorno felice. Ma la gioiosa trepidazione era svanita e il futuro era oscuro. La bambina cresceva e il tentacolo si sarebbe avvicinato. Di momento in momento il rischio aumentava. Mentre le passavano davanti in corridoio la donna che aveva eseguito l'ecografia finse di essere immersa nella lettura di alcune carte. Si diressero verso lo studio del dottore, entrarono e si sedettero di fronte a lui. Il ginecologo mostrò loro le stampe dell'ecografia, e ribadì gli stessi concetti. Dichiarò che era sua abitudine chiarire la situazione una seconda volta dato che, in certi casi, in un primo momento le coppie non lo ascoltavano con attenzione, a causa dello choc. Sottolineò ancora con enfasi che la bambina stava bene e che, a suo parere, la banda non si era attaccata. Era una buona notizia, affermò. Ma Jeremy aveva davanti agli occhi l'immagine del tentacolo che galleggiava nell'addome di sua moglie, si avvicinava al feto e poi si allontanava di nuovo. Pericolo e salvezza, impegnati in un mortale gioco a rincorrersi. La bambina cresceva, diventava più grande, riempiva il sacco amniotico. La banda avrebbe continuato a non legarsi? "So quanto è difficile per voi sentirvi dire una cosa del genere", ripeté il dottore. No, pensò Jeremy, non poteva saperlo. Non era la sua bambina. Sua figlia, con i codini e un pallone colorato tra le mani, sorrideva nella foto posata sulla scrivania. Era in perfetta salute e felice. Come poteva quell'uomo capire? Fuori dallo studio, Lexie scoppiò a piangere un'altra volta e Jeremy l'abbracciò. Durante il viaggio di ritorno non si scambiarono quasi una parola e lui guidò in stato di trance. Giunto a casa, si collegò immediatamente a Internet e cercò informazioni sulla sindrome da costrizione congenita delle bande amniotiche. Vide esempi di dita palmate, arti monchi, piedi mancanti. Era pronto a questo, ma non alle deformità facciali,
malformazioni che toglievano ogni sembianza umana al volto del bambino. Lesse di problemi spinali e intestinali nel caso la banda si avvolgesse al tronco. Spense il computer, andò in bagno a sciacquarsi il viso con l'acqua fredda e decise di non dire nulla a sua moglie. Non appena messo piede in casa lei aveva telefonato alla nonna, che l'aveva raggiunta subito. Si erano sedute vicine sul divano e anche Doris piangeva mentre la rassicurava dicendole che la bambina sarebbe nata sana, che c'era un motivo se Dio li aveva benedetti con quel dono, che doveva continuare ad avere fede. Lexie le fece promettere di non farne parola con nessuno. Nemmeno Jeremy ne parlò con la sua famiglia. Sapeva quale sarebbe stata la reazione della madre, immaginava già il tono disperato della sua voce al telefono e le chiamate regolari che sarebbero seguite. Anche se lei lo credeva, tale atteggiamento non lo avrebbe aiutato. In quel momento lui non ce la faceva ad offrire sostegno a un'altra persona, nemmeno se si trattava di sua madre. Soprattutto sua mamma. Era già difficile stare accanto a Lexie e trattenere le proprie emozioni. Ma doveva essere forte, per entrambi. Più tardi quella notte, mentre era disteso a letto al suo fianco, cercò in tutti i modi di scacciare dalla mente l'immagine del tentacolo che aspettava di aggredire la bambina. Tre giorni dopo si recarono all'East Carolina University Medical Center di Greenville per l'ecografia più approfondita. Compilarono senza alcun entusiasmo i moduli necessari, poi si sedettero in sala d'aspetto. Lexie prese in mano una rivista, ma non la sfogliò nemmeno. Spostò la borsa dal tavolino d'angolo sulle ginocchia e viceversa. Si scostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e diede un'occhiata alla stanza. Fermò una ciocca dietro l'altro orecchio e guardò l'ora. In quei giorni Jeremy aveva letto molti articoli scientifici sull'ABS, nella speranza che padroneggiare l'argomento avrebbe diminuito le sue paure. Invece più ne sapeva, più l'ansia aumentava. Di notte si rigirava inquieto tra le lenzuola,
ossessionato non solo dall'idea che la loro bambina fosse in pericolo, ma anche dalla consapevolezza che probabilmente Lexie non avrebbe mai avuto l'opportunità di un'altra gravidanza. Già quella era stata un evento assolutamente imprevisto e a volte, nelle ore più tetre, lui si chiedeva se l'universo non lo stesse punendo per aver infranto le regole. Non era destinato ad avere figli. Per qualche ragione, la sorte voleva così. Evitava di confidare a Lexie queste sue riflessioni. Né le rivelò mai tutta la verità sull'ABS. "Che cosa hai scoperto su Internet?" gli aveva chiesto lei la sera precedente. "Non molto di più di quello che ci ha detto il dottore", rispose Jeremy. Lexie annuì. A differenza di lui, non si illudeva che la conoscenza potesse alleviare i suoi timori. "Tutte le volte che mi muovo, mi chiedo se non sto facendo qualcosa di sbagliato" "Non credo che funzioni in quel modo", ribatté lui. Lei annuì di nuovo. "Ho paura", mormorò. Allora Jeremy le aveva cinto le spalle. "Anch'io". Vennero condotti nell'ambulatorio e Lexie si alzò la camicia quando entrò l'ecografista. La donna era affabile e sorridente, ma rendendosi conto che loro due avevano l'aria tesa si mise al lavoro senza indugio. Sullo schermo l'immagine della bambina era molto più nitida. Videro i suoi lineamenti: il naso, il mento, le palpebre, e poterono controllare le dita. Jeremy guardò Lexie, e lei gli strinse la mano con dolorosa intensità. Il nastro amniotico, il tentacolo, non si era attaccato. Mancavano altre dieci settimane. "Odio quest'attesa", affermò Lexie. "Non ce la faccio più ad aspettare e sperare senza sapere quello che succederà" Aveva espresso con precisione lo stato d'animo di Jeremy, pronunciando le parole che lui non osava dire in sua presenza.
Era passata una settimana da quando avevano ricevuto la cattiva notizia e da allora vivevano alla giornata. Non potevano fare altro che sopravvivere, sperare ed aspettare. Una nuova ecografia era prevista due settimane dopo. "Andrà tutto bene", rispose Jeremy. "La presenza della banda non implica che debba attaccarsi per forza" "Ma perché proprio a me? Perché è capitato a noi?" "Non lo so. Però ce la caveremo. Alla fine tutto si risolverà per il meglio" "Come fai a dirlo? Non puoi saperlo. Non puoi garantirmelo" No, non posso, pensò Jeremy. "Tu ti stai comportando benissimo", dichiarò. "Sei in piena salute, mangi correttamente e ti prendi cura di te stessa. Sono convinto che, se vai avanti così, la bambina non avrà problemi" "Non è giusto", singhiozzò lei. "Sì, lo so che è meschino, ma tutte le volte che leggo i giornali ci trovo storie di donne che hanno avuto un figlio senza quasi nemmeno accorgersi di essere incinte. Oppure che partoriscono bambini perfettamente sani e poi li abbandonano da qualche parte. o che bevono e fumano, e va tutto bene lo stesso. É proprio ingiusto. Adesso non riesco nemmeno a godermi l'ultimo periodo della gravidanza. Tutte le mattine mi sveglio con un senso di ansia che mi attanaglia, e anche se cerco di non pensarci, a un certo punto di colpo mi viene in mente che ho dentro qualcosa che potrebbe uccidere la bambina. Io! É il mio corpo che sta facendo questo, e anche se vorrei a tutti costi evitarlo, non posso fermarlo" "Non è colpa tua", disse Jeremy. "E allora dî chi è? Della bambina?" sbottò lei. "Che cosa ho fatto di male?" Per la prima volta Jeremy si rese conto che Lexie non era soltanto spaventata, ma si sentiva anche responsabile. Quella consapevolezza lo addolorò. "Assolutamente niente"
"Ma questa cosa dentro di me..." "Per il momento non ha provocato nessun danno", la interruppe lui. "E sono sicuro che in parte dipenda dal fatto che hai sempre agito nel modo migliore. La bambina sta bene. É l'unica certezza che abbiamo per adesso. Nostra figlia è ben formata" Lexie parlò a voce così bassa che Jeremy faticò a sentirla. "Credi che nascerà sana?" "Ne sono convinto" Era una bugia, ma non poteva dirle la verità. Sapeva che a volte mentire era necessario. Jeremy non aveva dimestichezza con la morte, che invece era stata una presenza familiare nella vita di sua moglie. Lexie aveva perduto non solo i genitori, ma anche il nonno a cui era molto affezionata. Per quanto lui affermasse di capirla, si rendeva perfettamente conto che non poteva comprendere fino in fondo ciò che lei aveva passato. All'epoca non la conosceva ancora, e adesso si domandava cosa avrebbe fatto se la loro Figlia fosse morta. E se alla prossima ecografia fosse risultato tutto a posto? Non era finita, pensò, perché la banda amniotica poteva sempre attorcigliarsi intorno al cordone ombelicale. E se fosse successo durante il travaglio? Se fossero arrivati in clinica anche solo un minuto troppo tardi? Sì, avrebbero perso la bambina e sarebbe stato straziante. Ma come avrebbe reagito Lexie? Si sarebbe sentita responsabile? Se la sarebbe presa con lui, dato che le probabilità di un'altra gravidanza erano praticamente inesistenti? Quali sentimenti avrebbe provato entrando nella stanza dei bambini nella nuova casa? Avrebbe voluto tenere i mobili o li avrebbe venduti? Avrebbe pensato all'adozione? Non lo sapeva, non riusciva proprio a immaginare le risposte. Tuttavia, c'era un altro pensiero che lo tormentava. L'ABS raramente era fatale, ma malformazioni e deformità erano la
regola, non l'eccezione. Si trattava di un argomento tabù tra lui e Lexie, di cui nessuno dei due voleva discutere. Quando parlavano delle loro ansie per la bambina, si riferivano sempre a una possibile morte, e non allo scenario più realistico. Ossia che sarebbe stata diversa; che avrebbe avuto gravi malformazioni; che avrebbe dovuto affrontare innumerevoli e dolorose operazioni. Non dubitava che, comunque, avrebbe amato sua figlia incondizionatamente, e il fatto di ritenere importante che fosse uguale agli altri bambini lo faceva arrabbiare con se stesso. Non gli importava di arti mancanti o di membrane tra le dita; l'avrebbe cresciuta con tutto l'affetto di un padre. Eppure, quando pensava a lei, non poteva fare a meno di immaginarsela secondo i più classici cliché fotografici: in piedi con un abitino della festa in mezzo ai fiori, oppure che correva felice tra gli spruzzi degli annaffiatori automatici, o ancora seduta sul seggiolone, che sorrideva raggiante con la faccia imbrattata di torta al cioccolato. Non la vedeva mai con deformazioni, con il labbro leporino oppure senza naso, o ancora con un orecchio grande quanto una moneta da un centesimo. Agli occhi della sua mente era sempre perfetta e con lo sguardo intelligente e vivace. Ed era convinto che anche per Lexie fosse così. Sapeva che tutti avevano i propri fardelli da portare, che nessuna esistenza ne era esente. Ma alcuni erano più pesanti di altri e, anche se si sentiva in colpa, a volte si chiedeva se non fosse preferibile la morte a una vita con gravi menomazioni non la mancanza di un arto, ma qualcosa di molto peggio che l'avrebbero fatta soffrire sino alla fine dei suoi giorni. Tanti o pochi che fossero. Non riusciva a pensare di avere una figlia per cui dolore e sofferenza erano costanti come il respiro e il battito del cuore. Ma se fosse stato quello il destino della sua bambina?
Era un'idea troppo agghiacciante e cercava di scacciarla dalla mente. Tuttavia, l'interrogativo continuava ad ossessionarlo. La settimana seguente fu lunghissima. Lexie andò a lavorare, ma Jeremy non provò neppure a scrivere. Non riusciva a trovare la forza di concentrarsi, perciò trascorreva gran parte del tempo nella nuova casa. Erano agli ultimi stadi della ristrutturazione e lui si incaricò di fare pulizia. Lavò i vetri, passò l'aspirapolvere sulla scala, grattò via le macchie di pittura dagli armadietti della cucina. Era un lavoro noioso, ma gli serviva a sgombrare la mente, a tenere a freno l'ansia. Gli imbianchini stavano rifinendo il pianterreno e la stanza dei bambini era già stata tappezzata. Lexie aveva scelto l'arredamento per quella camera e quando i mobili arrivarono, Jeremy passò due pomeriggi a montarli e a sistemare tutto. Poi andò a prenderla in biblioteca e la portò lì. Giunti in cima alle scale, le chiese di chiudere gli occhi e la condusse per mano fino alla soglia. "Adesso puoi guardare", le disse. Per un attimo le ansie per il futuro e le angosce per la figlia scomparvero e Lexie tornò quella di un tempo, una donna felice dell'imminente maternità, dal sorriso pronto ed entusiasta di tutto. "Sei stato tu?" chiese a bassa voce. "Gli imbianchini mi hanno aiutato con gli scuri e le tende, ma il resto è opera mia" "É bellissima", esclamò lei entrando. Sul pavimento era steso un tappeto con un motivo di paperelle; nell'angolo c'era il lettino con la copertina di cotone colorato e le sponde imbottite, sopra il quale era appesa la giostrina che avevano acquistato insieme tempo prima. Le tende erano intonate al tappeto e agli asciugamani sul cassettone. Il fasciatoio era corredato da pannolini, salviettine e creme. Un carillon suonava piano, girando nell'alone dorato di una lampada decorativa.
"Visto che traslocheremo presto, ho pensato di preparare in anticipo questa camera" Lexie andò verso il cassettone e prese in mano una papera di porcellana. "L'hai scelta tu?" "Andava bene con il tappeto e le tende. Ma se non ti piace..." "No, è deliziosa, solo che sono sorpresa" "Perché?" "Quando siamo andati a fare spese per la bambina, non mi sembravi molto interessato" "Evidentemente mi sto abituando all'idea. E poi, non potevo lasciare a te tutto il divertimento. Che ne dici, le piacerà?" Lexie si avvicinò alla finestra e accarezzò le tende. "Le piacerà un sacco. Io la trovo adorabile". "Ne sono contento" Lexie lasciò ricadere la tenda e si avvicinò al lettino. Sorrise alla vista dei peluche che lo riempivano, ma di colpo tornò seria. Incrociò le braccia e Jeremy capì che le sue paure erano tornate. "Dovremmo riuscire a trasferirci qui questo fine settimana", annunciò, tanto per dire qualcosa. "Secondo gli imbianchini possiamo cominciare a portare le nostre cose quando vogliamo. Forse sarà necessario mettere qualche mobile nelle camere da letto mentre loro finiscono di tinteggiare il soggiorno, ma le altre stanze sono pronte. Si potrebbe sistemare prima il mio studio e poi la nostra stanza. In ogni caso, visto che tu lavori, me ne occuperò io" "Sì, va bene", rispose lei con un cenno d'assenso. Jeremy si infilò le mani in tasca. "Ho pensato al nome per la bambina", affermò. "Non ti preoccupare, non è Misty". Lexie lo guardò scettica. "Non so come non mi sia venuto in mente prima" "Che nome avresti scelto?" Jeremy esitò, immaginandoselo scritto su una pagina del taccuino di Doris, ricordando quando lo aveva visto sulla lapide
a fianco a quella del padre di Lexie. Fece un profondo respiro, assalito da uno strano nervosismo. "Claire", rispose. L'espressione di Lexie era imperscrutabile e per un istante lui temette di aver commesso un errore. Poi lei si avvicinò, con l'ombra di un sorriso sulle labbra, gli gettò le braccia al collo e gli posò il capo sul petto. Jeremy la strinse tra le braccia e rimasero così in mezzo alla stanza, ancora impauriti, ma non più soli. "Mia madre", mormorò Lexie. "Sì. Non posso pensare a un nome più adatto per nostra figlia" Quella notte Jeremy sentì il bisogno di pregare per la prima volta dopo tanti anni. Anche se era stato allevato nella fede cattolica e andava ancora a messa con la famiglia a Natale ed a Pasqua, il suo rapporto con la funzione domenicale e con la religione da tempo era entrato in crisi. Non dubitava dell'esistenza di Dio; nonostante lo scetticismo su cui aveva basato la sua carriera di giornalista scientifico, era convinto che credere nel Creatore non solo fosse naturale, ma anche razionale. Altrimenti, come si sarebbe spiegato l'ordine cosmico? Come sarebbe stato possibile lo sviluppo della coscienza umana? Anni prima aveva scritto un articolo sull'argomento e, anche sulla base di considerazioni matematiche, aveva avanzato l'ipotesi che nonostante i milioni di galassie ed i miliardi di stelle le probabilità che ci fossero altre forme di vita intelligente al di fuori della Terra erano praticamente nulle. In seguito, aveva ricevuto molte lettere dai lettori della rivista. Molti di loro concordavano con la sua convinzione che l'universo fosse stato creato da Dio, altri invece propendevano per la teoria del big bang come alternativa. Allora lui aveva scritto un altro pezzo, spiegando che, secondo tale teoria, a un certo punto tutta la materia era stata compressa in una sfera
non più grande di una pallina da tennis, che poi era esplosa, dando origine all'universo come noi lo conosciamo. E a conclusione dell'articolo aveva formulato una domanda: "A prima vista, cos'è più verosimile? La fede in Dio o che in un certo momento ogni atomo e ogni molecola esistenti fossero condensati in una minuscola palla?" Credere in Dio, in ogni caso, restava una questione di fede. Anche coloro che, come lui, ritenevano corretta la teoria del big bang sapevano che essa non spiegava da dove derivasse il nucleo primordiale. Gli atei sostenevano che era sempre esistito, i credenti che era stato creato da Dio, e non c'erano prove né nell'uno né nell'altro senso. Ecco perché, pensava Jeremy, si chiamava fede. Nonostante questo, però, non era pronto ad accettare l'intervento attivo di Dio nelle faccende umane. Anche se facevano parte della dottrina cattolica, non credeva ai miracoli e nel suo lavoro aveva smascherato più di un presunto guaritore spirituale. Non lo convinceva l'idea di un Dio che filtrava le preghiere, esaudendone alcune ed ignorandone altre, indipendentemente dai meriti di chi gliele rivolgeva. Preferiva invece pensare che Lui fornisse ogni individuo di particolari doti e abilità, e poi lo collocasse in un mondo imperfetto; solo in questo modo infatti era possibile mettere alla prova la fede, solo così si poteva conquistarla. Le sue convinzioni non rispecchiavano i dogmi della religione costituita e, quando andava a messa, lo faceva soltanto per accontentare la madre. A volte, intuendo questa sua resistenza, lei gli suggeriva di pregare; quasi sempre lui rispondeva che ci avrebbe provato, ma non l'aveva mai fatto. Finora. Quella notte, Jeremy si inginocchiò e supplicò Dio di proteggere la sua bambina, di concedere loro una figlia sana. A mani giunte, pregò in silenzio, promettendo di essere il miglior padre del mondo. Promise anche che sarebbe tornato a messa,
che avrebbe pregato ogni giorno e letto la Bibbia dalla prima all'ultima pagina. Chiese un segno che gli facesse capire che la sua preghiera era stata ascoltata e sarebbe stata esaudita. Ma non ottenne nessuna risposta. "A volte non capisco che cosa si aspetti da me", riconobbe Jeremy il giorno dopo. Era seduto da Herbs assieme a Doris; non avendo rivelato nulla alla sua famiglia, lei era l'unica persona con cui potesse confidarsi. "So che Lexie ha bisogno che io sia forte, e ci sto provando. Cerco di essere ottimista, le assicuro che andrà tutto bene e faccio del mio meglio per non renderla nervosa più di quanto non sia già. Però..." Lasciò la frase in sospeso e Doris la concluse per lui. "Però è difficile, perché sei spaventato quanto lei" "Sì", ammise Jeremy. "Scusami, non volevo coinvolgerti in questo dramma" "Ci sono già dentro", replicò Doris. "E ti capisco, ma sono sicura che stai facendo la cosa giusta. In questo momento a lei serve il tuo sostegno. É uno dei motivi per cui ti ha sposato. Sapeva che eri forte ed ora, tutte le volte che ci vediamo, mi dice che la stai aiutando molto" Jeremy guardò al di là della finestra i clienti che mangiavano seduti in veranda chiacchierando del più e del meno, come se non avessero una preoccupazione al mondo. Nella sua vita, invece, non c'era più niente di normale. "Non riesco a smettere di pensarci. Domani c'è un'altra ecografia, e sono angosciato. Continuo a immaginarmi il peggio, e mi sembra già di vedere l'espressione tesa di quella donna che ci comunica che dobbiamo parlare di nuovo con il dottore. La sola idea mi fa venire la nausea. Anche Lexie è inquieta. Negli ultimi giorni è diventata molto taciturna. A mano a mano che si avvicina il momento, le nostre paure aumentano" "É normale", commentò Doris.
"Ho pregato", le confidò Jeremy. Lei sospirò e alzò gli occhi verso il soffitto, poi tornò a guardarlo. "Anch'io". Il mattino seguente le sue preghiere vennero esaudite. La bambina cresceva, il battito cardiaco era forte e regolare, e la banda non si era attaccata. Una buona notizia, annunciò il dottore e per un istante Jeremy e Lexie furono invasi da un senso di sollievo che scomparve non appena si resero conto che quindici giorni dopo sarebbero dovuti tornare lì di nuovo. E mancavano ancora otto settimane. Nel weekend fecero il trasloco. Il sindaco Gherkin, Jed e Rodney aiutarono Jeremy a caricare i mobili su un furgone, mentre Rachel e Doris portavano fuori gli scatoloni, e Lexie dirigeva le operazioni. Poiché era molto più grande della sua villetta, la nuova casa continuava a sembrare vuota anche dopo aver sistemato nelle varie stanze tutto il mobilio. Esprimendo la sua ammirazione per quell'edificio d'epoca appena restaurato Gherkin propose d'inserirlo nel Giro delle dimore storiche, mentre Jed spostò il cinghiale impagliato accanto alla finestra del salotto, per dargli maggior risalto. Mentre Lexie e Rachel andavano in cucina, Jeremy fu raggiunto da Rodney. "Volevo chiederti scusa", esordì il vicesceriffo. "Per che cosa?" "Lo sai" Si dondolò sui piedi. "E anche ringraziarti per aver invitato ugualmente Rachel al matrimonio. Era da un po che intendevo parlartene. Per lei è stato molto importante". "Anche per Lexie" Rodney sorrise brevemente, poi tornò serio. "Davvero una bella casa. Non avrei mai immaginato che potesse venir fuori così bene. Avete fatto proprio un ottimo lavoro". "Tutto merito di Lexie. Io non ho dato un grande contributo" "Non è vero. Comunque, è un posto adatto a voi. Sarà
perfetto per la vostra famiglia" Jeremy deglutì. "Lo spero". "E congratulazioni per il figlio in arrivo. Ho saputo che è una femmina. Rachel ha già scelto delle tutine. Non dirlo a Lexie, ma credo che voglia organizzarle una festa a sorpresa per festeggiare la nascita" "Sono sicuro che ne sarà felicissima. A proposito, congratulazioni per il vostro fidanzamento. Rachel è un vero tesoro". Rodney guardò verso la cucina. "Hai ragione, noi due siamo entrambi molto fortunati" Una volta tanto Jeremy rimase senza parole. Dopo aver rimandato per settimane, Jeremy si decise infine a telefonare alla redazione della sua rivista per comunicare che non avrebbe consegnato il consueto articolo mensile. Era la prima volta che succedeva e il direttore rimase sorpreso e deluso, ma lui lo informò che c'erano delle complicazioni nella gravidanza di sua moglie ed il tono dell'altro cambiò immediatamente. Chiese se ci fossero dei rischi per il bambino e se lei fosse costretta a stare a letto. Jeremy disse che preferiva non scendere nei dettagli e, dal silenzio all'altro capo del filo, intuì che l'uomo stava pensando al peggio. "Non c'è problema", dichiarò infine il direttore. "Ricicleremo un vecchio articolo, uno di quelli che risalgono a parecchi anni fa. É probabile che i lettori non se ne ricordino nemmeno o non l'abbiano mai letto. Vuoi sceglierlo tu, oppure lasci decidere a me?" Sentendo che Jeremy esitava, si rispose da solo. "Va bene, me ne occupo io. Tu pensa a tua moglie. In questo momento è l'unica cosa che conta" "Grazie", disse lui. Nonostante gli occasionali screzi tra di loro, quell'uomo era davvero una persona di buon cuore. "Te ne sono riconoscente" "Posso fare qualcosa per te?" "No. Volevo solo informarti".
Jeremy udì uno scricchiolio e capì che il direttore si era appoggiato alla spalliera della poltrona. "Fammi sapere se non riuscirai a scrivere nemmeno il prossimo. Eventualmente, ne ripubblicheremo un altro vecchio, d'accordo?" "Nel caso ti avviso", rispose lui. "Spero però di mandarti il pezzo per la rubrica quanto prima" "Stai su di morale. É dura, ma sono sicuro che tutto si risolverà" "Grazie" "E, a proposito, non vedo l'ora di dare un'occhiata a quello a cui stai lavorando. Quando sarai pronto, naturalmente. Non c'è fretta" "A che cosa ti riferisci?" "Alla tua prossima indagine giornalistica. Visto che non ti ho più sentito, immagino che tu sia sulle tracce di qualcosa di grosso. Sparisci sempre quando hai tra le mani un argomento scottante. Molti sono rimasti colpiti dal tuo lavoro su Clausen e ci piacerebbe pubblicare noi la tua nuova inchiesta, invece di farla uscire su un'altra testata. Voglio assicurarti subito che saremo competitivi per quanto riguarda il tuo compenso. E gioverebbe anche alla rivista. Chissà, se troviamo un accordo magari potrebbe diventare la storia di copertina. Scusami se te ne parlo adesso, lo so che non è il momento e non voglio farti pressioni. Ma ricordati che siamo molto interessati" Jeremy guardò il suo computer spento e sospirò. "D'accordo. Lo terrò a mente" Anche se non aveva proprio mentito, aveva omesso la verità e, dopo aver riattaccato, Jeremy era piuttosto a disagio. Pur senza rendersene conto, quando aveva telefonato al direttore si era aspettato di ricevere il benservito, di sentirsi dire che avrebbero trovato un altro per occuparsi della rubrica o che l'avrebbero addirittura eliminata. Inconsciamente era preparato a questo, e non a ottenere comprensione, il che accresceva
i suoi sensi di colpa. Fu tentato di richiamare il direttore per raccontargli tutto, ma poi il buonsenso ebbe il sopravvento. Quell'uomo si era mostrato comprensivo perché non poteva fare altrimenti, ragionò. Non poteva certo rispondergli: "Oh, mi spiace per tua moglie e per il bambîno, ma sai che le scadenze sono tassative e finirai per essere licenziato se non mi farai avere qualcosa subito" No, era inconcepibile, soprattutto alla luce di quanto aveva sostenuto poco dopo: che la rivista ambiva a pubblicare la sua prossima inchiesta. Quella a cui credevano che lui stesse lavorando. Non voleva pensarci. Il fatto di non essere più capace di buttare giù neppure una riga era già abbastanza deprimente. Comunque, aveva raggiunto il suo scopo. Si era guadagnato quattro, forse otto settimane di tempo. Se non avesse prodotto ancora niente per allora, avrebbe detto la verità al direttore, decise. Doveva farlo per forza. Non poteva continuare a considerarsi un giornalista se non riusciva a scrivere, e non aveva senso fingere oltre. Ma che cosa sarebbe successo in tal caso? Come avrebbe pagato i conti? In che modo avrebbe mantenuto la famiglia? Non sapeva darsi una risposta. Aveva altro per la testa. In quel momento la sua mente era totalmente assorbita da Lexie e da Claire. Nel grande disegno delle cose, loro erano molto più importanti che preoccuparsi per la carriera e Jeremy era certo che le avrebbe messe al primo posto anche se fosse stato in grado di lavorare. Ma la cruda realtà era che, in quel momento, la sua non era una scelta.
Capitolo diciottesimo. Come si potevano descrivere le sei settimane seguenti? E in
che modo lui le avrebbe ricordate in futuro? Avrebbe rammentato i weekend passati a girare per fiere e mercatini alla ricerca di mobili e oggetti per la loro casa? Il buon gusto di Lexie e la sua capacità di inserire ogni singolo pezzo nel contesto decorativo? E la sua abilità nel contrattare, grazie alla quale avevano risparmiato parecchi soldi? Alla fine, persino il cinghiale impagliato di Jed sembrava armonizzarsi con il resto dell'arredamento. Oppure gli sarebbe tornata in mente la telefonata che infine aveva fatto ai suoi genitori per informarli che la gravidanza di Lexie era a rischio? E che era finita con un pianto dirotto da parte sua, come se le paure troppo a lungo celate di fronte alla moglie fossero uscite improvvisamente allo scoperto? O invece le interminabili nottate trascorse seduto davanti al computer nella vana speranza di mettersi a scrivere, animato alternativamente da rabbia e frustrazione, mentre il tempo della sua carriera si avvicinava inesorabile al fischio conclusivo? No, pensò, alla fine avrebbe ricordato quello come un periodo di ansiosa transizione, scandito dagli intervalli bisettimanali tra le ecografie. Sebbene i timori fossero rimasti identici, lo choc iniziale si era affievolito e ora l'angoscia non dominava più ogni momento della loro vita. Era come se fosse scattato un qualche istinto di sopravvivenza per contrastare il peso insostenibile delle emozioni. Fu un processo graduale e quasi impercettibile, e solo diversi giorni dopo l'ultima ecografia Jeremy si rese conto che per un intero pomeriggio non si era sentito in preda al panico. Lo stesso cambiamento era avvenuto in Lexie. Durante quelle sei settimane fecero qualche cenetta romantica, andarono un paio di volte al cinema a vedere una commedia, e si persero nei libri che leggevano prima di addormentarsi. Sebbene l'ansia si ridestasse ciclicamente e senza preavviso per esempio alla vista di un neonato in chiesa, oppure quando Lexie era assalita da una contrazione di Braxton-Hicks particolarmente intensa era come se entrambi avessero accettato l'ineluttabilità della
situazione. Certi giorni, poi, Jeremy si chiedeva addirittura se fosse il caso di preoccuparsi. Mentre all'inizio aveva immaginato solo gli esiti peggiori, adesso riusciva a credere che avrebbero ripensato a quella gravidanza con un sospiro di sollievo. Che l'avrebbero raccontata agli amici, enfatizzando le difficoltà del periodo e dando voce alla gratitudine per il fatto che tutto alla fine era andato bene. Tuttavia ogni volta, all'avvicinarsi della scadenza successiva, diventavano entrambi più taciturni; durante il tragitto fino allo studio medico non si scambiavano nemmeno una parola. Lexie gli stringeva la mano e guardava fuori dal finestrino. L'ecografia dell'8 settembre non mostrò nessun cambiamento nella banda amniotica. Restavano ancora sei settimane. Quella sera festeggiarono l'esito positivo con una bottiglia di succo di mela ghiacciato. Mentre erano seduti vicini sul divano, Jeremy porse a Lexie un pacchetto che conteneva una lozione. Lei osservò incuriosita la bottiglia, e lui le chiese di appoggiarsi alla spalliera, poi le tolse di mano l'unguento, le sfilò i calzini e cominciò a massaggiarle i piedi. Aveva notato che le si erano gonfiati di nuovo, anche se, quando lei glielo diceva, fingeva che non fosse vero. "Pensavo che ti avrebbe fatto piacere", le spiegò. Lei gli sorrise scettica. "Secondo te, non sono gonfi?" "Niente affatto", negò lui, continuando a massaggiarglieli. "E il mio pancione? Hai visto com'è grosso?" "Adesso che me lo dici, sì. Ma fidati, sei molto più carina di tante altre donne incinte" "Sono enorme. Mi sembra di aver inghiottito un pallone da basket" Lui rise. "Sei bellissima. Da dietro non si vede nemmeno che aspetti un bambino. É solo quando ti giri di lato che ho paura tu possa urtare per sbaglio contro la lampada" Anche lei rise. "Attento a come parli", lo stuzzicò. "Sono
una donna incinta e suscettibile" "É per questo che ti massaggio i piedi. Io me la cavo facilmente, mentre sei tu a portare in grembo Claire" Lexie allungò la mano per abbassare la luce. "Così va meglio", dichiarò, rimettendosi comoda. "É più rilassante". Jeremy continuò a massaggiarla in silenzio, ascoltando i suoi sospiri di piacere. Sentiva i piedi di lei scaldarsi tra le sue mani. "Abbiamo dei cioccolatini in casa?" mormorò Lexie. "Non credo", rispose lui. "Li hai comperati ieri?" "No, ma mi chiedevo se non l'avessi fatto tu" "E perché avrei dovuto?" "Non saprei. É solo che mi è venuta voglia di cioccolato. A te no?" Lui si fermò. "Vuoi che vada a comprarli?" "No, figùrati", rispose lei. "É stata una lunga giornata, e poi stiamo festeggiando. Non mi va di farti uscire solo per accontentarmi" "Come preferisci" Jeremy si versò dell'altra lozione sulle mani e riprese il massaggio. "Però non sarebbero perfetti in questo momento?" Lui rise. "D'accordo, ho capito. Vado a prendere i cioccolatini e torno in un attimo" Lei lo guardò. "Sei sicuro? Non voglio obbligarti". "Non ti preoccupare, tesoro" "Continuerai a massaggiarmi i piedi, dopo?" "Lo farò per tutto il tempo che vorrai" Lei sorrise. "Ti ho mai detto quanto sono felice di averti sposato? E quanto mi ritenga fortunata ad averti incontrato?" Lui la baciò dolcemente sulla fronte. "Ogni giorno". Per il compleanno, Jeremy regalò a Lexie un elegante abito da sera premaman e due biglietti per il teatro di Raleigh. Aveva noleggiato una limousine, prenotato un tavolo in un buon ristorante e fissato una stanza per la notte in un albergo di lusso.
Aveva deciso che era quello che le serviva: allontanarsi dalla città, fuggire dalle sue paure, trascorrere una piacevole serata con il marito. Ma poi Jeremy si rese conto che quello svago faceva bene anche a lui. A teatro osservò Lexie, affascinato dalle espressioni che si succedevano sul suo viso mentre era intenta a seguire lo spettacolo. Ogni tanto si chinava verso di lui, oppure si giravano a guardarsi nello stesso momento, come per un tacito accordo. Nonostante il suo evidente stato, lei era bellissima e, quando uscirono dalla sala, alcuni uomini le lanciarono occhiate di ammirazione. Il fatto che Lexie non se ne accorgesse lo riempì di orgoglio; anche se ora erano sposati, gli sembrava ancora un sogno, e provò un lieve brivido quando lei lo prese sottobraccio. Lo sguardo dell'autista che apriva loro la portiera della limousine gli fece capire che lo considerava un uomo fortunato. Si dice che verso la fine della gravidanza sia impossibile condividere momenti di intimità, ma Jeremy scoprì che non era vero. Sebbene Lexie avesse raggiunto il punto in cui fare l'amore era diventato scomodo, rimasero vicini l'uno all'altra nel letto, raccontandosi aneddoti della loro infanzia. Parlarono per ore, ridendo di alcune cose che avevano combinato e inorridendo per altre. Quando si decisero a spegnere la luce, lui si sorprese a desiderare che quella notte non finisse mai. Nel buio, la cinse con le braccia, ancora stupefatto all'idea di poterlo fare per tutta la vita; proprio mentre stava per addormentarsi, lei gli prese la mano e se la posò sul ventre. La bambina si muoveva e scalciava, e sentirla gli fece credere che tutto sarebbe finito bene. Quando infine scivolò nel sonno, il suo unico desiderio era passare altre decine di migliaia di serate come quella. Il mattino dopo fecero colazione a letto, imboccandosi a vicenda come una coppia in luna di miele. Ma durante il viaggio di ritorno diventarono taciturni. L'incantesimo delle ore
precedenti era svanito ed erano già angosciati da ciò che li attendeva. La settimana dopo, sapendo che altri sette giorni non gli sarebbero serviti a niente, Jeremy chiamò di nuovo il suo direttore, il quale gli ripeté di non preoccuparsi e che capiva lo stato di tensione in cui si trovava. Eppure una nota quasi impercettibile di impazienza nella sua voce gli confermò che non poteva rimandare all'infinito l'inevitabile. Questa consapevolezza accrebbe la tensione tenendolo sveglio per un paio di notti che tuttavia non era niente a paragone dell'ansia che lui e Lexie provavano nell'imminenza della nuova ecografia. La stanza era la stessa, l'apparecchio pure, l'ecografista anche, ma per qualche motivo tutto sembrava diverso. Non erano lì per verificare la crescita della bambina, quanto per scoprire se era destinata a nascere con qualche malformazione o a morire. Il gel fu spalmato sul pancione di Lexie, il sensore appoggiato. Si udì immediatamente il battito cardiaco forte, veloce, regolare, e loro tirarono un sospiro di sollievo. Ormai avevano imparato che cosa cercare e gli occhi di Jeremy individuarono subito la banda amniotica, molto vicina al feto. La osservò attentamente per vedere se si era attaccata da qualche parte, anticipando le mosse dell'ecografista. Distingueva le ombre sullo schermo e dovette trattenersi dall'indicarle dove spostare il sensore. Seguiva i movimenti dell'ecografo, capiva quello che lei stava facendo, arrivava alle sue stesse conclusioni. La bambina era cresciuta, commentò la donna quasi parlando tra sé, e questo rendeva più difficile l'esame. Senza fretta, esaminò un'immagine dopo l'altra. Jeremy sapeva che cosa avrebbe detto loro, cioè che era tutto a posto, invece le sue parole lo colsero di sorpresa. Spiegò che era abbastanza sicura che la banda non si fosse attaccata, ma che preferiva chiamare il dottore perché controllasse a sua volta. Jeremy e Lexie
rimasero ad aspettare per un tempo interminabile. Quando infine il ginecologo entrò nella stanza, aveva l'aria stanca e tesa, come se avesse appena assistito a un parto. Ma fu comunque paziente e metodico. Dopo aver guardato le immagini sullo schermo, confermò la diagnosi dell'ecografista. "La bambina sta bene", affermò, "meglio di quanto mi aspettassi. Ma ho l'impressione che la banda si sia leggermente ingrossata. Sembra che cresca assieme al feto, anche se non ne sono del tutto certo" "Si potrebbe ricorrere a un parto cesareo?" chiese Jeremy. L'uomo annuì. "Sì, ma un cesareo è pur sempre un intervento chirurgico. Considerato che la banda non si è attaccata e che la bambina per il momento non presenta problemi, penso che un parto naturale sarebbe meglio per la madre e per la nascitura. Comunque, terremo aperta questa possibilità, d'accordo? Per ora, continuiamo così" Jeremy annuì, senza riuscire a parlare. Ancora quattro settimane. Jeremy tornò verso la macchina tenendo Lexie per mano; una volta saliti la guardò, il suo volto rispecchiava l'ansia che lo attanagliava. Avevano saputo che la bambina cresceva in modo regolare, ma era una magra consolazione di fronte al fatto che il cesareo per il momento era escluso e che la banda sembrava ingrossarsi. Anche se il ginecologo non ne aveva la certezza. Lexie si voltò verso di lui, le labbra serrate, l'aria stanca e accaldata. "Andiamo a casa", disse posandosi istintivamente le mani sul ventre. "Sicura?" "Sì" Stava per mettere in moto quando la vide nascondersi il viso tra le mani. "Odio tutta questa storia! Non appena ti azzardi a pensare che le cose si risolveranno, anche se solo per un istante, ecco che salta fuori un'altra cattiva notizia. Basta! Non ne posso più!"
Nemmeno io, pensò Jeremy. "Hai ragione", si limitò a rispondere dolcemente. Non poteva offrirle parole di conforto, non poteva fare niente, ma solo stare lì ad ascoltare il suo sfogo. "Mi dispiace", proseguì lei. "So che anche per te è dura. E che sei altrettanto angosciato. Ma sembri molto più bravo di me ad affrontare la situazione" Lui rise suo malgrado. "Non direi. Il mio stomaco ha cominciato a fare le capriole non appena quell'uomo è entrato nella stanza. Sto sviluppando un'avversione per i dottori. Mi fanno venire i brividi. Quale che siano le sue propensioni, Claire non studierà mai medicina. Su questo non transigo". "Come puoi scherzare in un momento simile?" "É il mio modo di affrontare lo stress" Lei sorrise. "Potresti farti venire un accesso di rabbia". "Non credo. Quello è più il tuo stile". "É vero, i miei sfoghi bastano per tutti e due. Scusami". "Di che? E comunque, in realtà le notizie sono buone. Fin qui, tutto bene. Era quello che speravamo". Lei gli prese la mano. "Pronto a tornare a casa?" "Sì. E sai una cosa, non vedo l'ora di bermi un succo di mela on the rock per calmarmi i nervi" "No, tu ti bevi una birra. Io prenderò il succo e ti guarderò con invidia" "Ehi", esclamò Lexie la settimana successiva. Avevano appena finito di cenare e Jeremy si era ritirato nello studio. Stava seduto alla scrivania a fissare lo schermo del computer. Nell'udire la sua voce si voltò e la scorse in piedi sulla soglia. Pensò che, nonostante il pancione, era la donna più bella del mondo. "Come va?" "Bene. Ma volevo vedere se mi veniva l'ispirazione". Da quando erano sposati, le raccontava la verità a proposito del lavoro, ma solo se lei gli faceva delle domande. Non aveva senso caricarla delle sue frustrazioni professionali quando
tornava a casa dalla biblioteca. Per quante volte una donna poteva sentirsi dire dal marito che si sentiva un fallito prima di finire per credere che lo fosse davvero? Così lui la sera aveva preso l'abitudine di chiudersi nel suo studio, nella speranza che un intervento divino facesse accadere l'impossibile. "Al solito", aggiunse, nel contempo evasivo e preciso. Dopo quella risposta si aspettava di vederla fare un cenno di assenso e andarsene; aveva sempre reagito così negli ultimi due mesi, dopo aver saputo che lui non consegnava più gli articoli per la sua rubrica. Ma stavolta Lexie entrò nella stanza. "Ti farebbe piacere un po di compagnia?" "Certo", rispose. "Soprattutto visto che non c'è niente che funzioni" "Giornata dura?" "Come ho detto, al solito" Lexie avanzò nello studio e, invece di dirigersi verso la poltrona nell'angolo, lo raggiunse ed appoggiò la mano sul bracciolo. Jeremy capì il messaggio. Spostò la sedia all'indietro e lei si sedette sulle sue ginocchia. Poi gli cinse le spalle con un braccio. "Scusa se ti schiaccio", disse. "So di essere diventata pesante" "Non c'è problema. Hai il permesso di sederti qui tutte le volte che vuoi" Lei lo guardò, poi emise un lungo sospiro. "Non sono stata giusta con te", dichiarò. "A che cosa ti riferisci?" "A tutto", rispose, tracciando un disegno invisibile sulla sua spalla. "Sono stata ingiusta fin dall'inizio". "Non capisco", replicò lui, ignorando la sua carezza. "Ho ripensato a tutto quello che hai fatto negli ultimi nove mesi, e voglio che tu sappia che desidero passare il resto della mia vita con te, ovunque questo mi porti" Fece una pausa. "Lascia che mi spieghi meglio. Io ho sposato un giornalista, e
desidero che tu continui a scrivere" "Ci sto provando", replicò lui. "Non ho fatto altro da quando sono venuto qui..." "É proprio questo il punto", lo interruppe lei. "Sai perché ti amo? Per il modo in cui ti sei comportato da quando abbiamo saputo di Claire. Perché sembri sempre convinto che tutto finirà bene, perché ogni volta che mi sento giù sai esattamente che cosa fare o dire. Ma soprattutto, ti amo per quello che sei e sono disposta a qualunque cosa per aiutarti" Gli strinse le braccia intorno al collo. "Ultimamente ho riflettuto molto su quello che hai passato. Non so... forse è stato troppo. Guarda i cambiamenti che hai dovuto affrontare da gennaio. Il matrimonio, la casa, la mia gravidanza... per non parlare del tuo trasferimento quaggiù. Il tuo lavoro è diverso dal mio. In genere, io so già che cosa mi aspetta ogni giorno. Certo, a volte mi annoio o mi sento frustrata, ma non ho il timore che la biblioteca chiuda se non faccio quello che devo. La tua, invece... è una professione creativa. Io non riuscirei mai a produrre inchieste ed articoli come i tuoi. Sono straordinari" Jeremy non nascose la sua sorpresa mentre lei gli passava un dito tra i capelli. "Approfittando dei momenti liberi in biblioteca, mi sono letta tutto quello che hai scritto. Ecco, non voglio che tu smetta. E se venire a stare qui ti ha tolto l'ispirazione, non posso chiederti di compiere questo sacrificio" "Non è un sacrificio", protestò lui. "Ho deciso io di trasferirmi. Non sei stata tu a costringermi" "No, ma sapevi come la pensavo. Che non avrei mai voluto andarmene da qui. Però ora sono pronta a farlo per te". Lo guardò negli occhi. "Tu sei mio marito e ti seguirò ovunque, anche a New York, se pensi che questo possa esserti d'aiuto" Lui era sconcertato. "Lasceresti Boone Creek?" "Se sei convinto che serva a farti tornare a scrivere, sì" "E Doris?"
"Tornerei spesso a trovarla. E lei è d'accordo. Ne abbiamo già parlato" Gli sorrise, in attesa di una risposta e per un istante Jeremy valutò l'idea. Immaginò l'energia della metropoli, le luci di Times Square, il profilo di Manhattan che si stagliava contro il cielo. Pensò alle sue corse mattutine in Central Park e ai suoi locali preferiti, a tutti quei ristoranti, spettacoli teatrali, negozi e persone interessanti... Ma fu questione di un attimo. Girò lo sguardo verso la finestra, vide i tronchi dei cipressi sulle rive del torrente Boone che si riflettevano nell'acqua placida e capì che non sarebbe andato via. No, comprese con un'intensità che lo lasciò stupito, non voleva farlo. "Sono felice qui", rispose. "Non credo che tornare a New York sia quello che mi serve per riprendere a scrivere" "Ne sei sicuro?" chiese lei. "Non vuoi pensarci con più calma?" "No", ribadì Jeremy. "Qui ho tutto quello che mi occorre". Dopo che lei fu uscita dalla stanza, Jeremy cominciò a mettere in ordine la scrivania e stava per spegnere il computer quando notò il taccuino di Doris accanto alla pila della posta. Era rimasto lì dal giorno in cui avevano traslocato e pensò che era venuto il momento di restituirlo. Lo aprì e rimase a guardare i nomi scritti sulle pagine. Quante di quelle donne vivevano ancora nella zona? Che ne era stato di quei bambini? Erano andati all'università? Si erano sposati? Sapevano che le loro madri, mentre erano incinte, si erano rivolte a una sensitiva? Si chiese quanti avrebbero creduto nelle facoltà di Doris se lei si fosse presentata in televisione con quel taccuino per raccontare la sua storia. Buona parte del pubblico, calcolò. Ma perché? Per quali motivi la gente era così pronta a credere alle cose più assurde? Posò le mani sopra la tastiera e meditò sulla questione,
annotando le risposte che via via gli venivano in mente. Scrisse di come la teoria influenzasse l'osservazione, e gli aneddoti differissero dalle testimonianze. Che spesso le affermazioni categoriche venivano percepite istintivamente come vere, che le voci di rado avevano un fondamento nella realtà, e che in ogni caso pochi ritenevano necessarie prove scientifiche. Elencò una quindicina di punti e poi iniziò a citare esempi per supportare il proprio ragionamento. Mentre batteva sui tasti era in preda ad un senso di vertigine, di stupore per il fatto che le parole fluissero così velocemente. Aveva paura a fermarsi, non si azzardava ad accendere la luce, né ad alzarsi per andare a prendere una tazza di caffè. Temeva che la musa l'avrebbe abbandonato. All'inizio non cancellò niente, nemmeno quando era sbagliato, per lo stesso motivo; poi l'istinto del giornalista prese il sopravvento e lui sfidò la sorte, scoprendo che l'ispirazione durava. Un'ora dopo fissò soddisfatto quello che sapeva sarebbe diventato il prossimo articolo per la sua rubrica: "Perché la gente crede a tutto" Stampò il testo e lo rilesse. Non era ancora definitivo. Andava limato e corretto, ma l'ossatura era solida e intanto gli erano venute altre idee. Di colpo comprese che il blocco creativo era superato. Per sicurezza, comunque, annotò diversi spunti sul computer. Uscì dallo studio e trovò Lexie seduta in salotto con un libro in mano. "Ciao", gli disse lei. "Pensavo che mi avresti raggiunto prima" "Anch'io" "Che cosa hai fatto?" Jeremy le mostrò i fogli, senza nascondere un ghigno compiaciuto. "Ti va di dare un'occhiata al mio nuovo articolo?" Lei lo fissò sorpresa, poi si alzò dal divano. Con aria incredula
e felice, prese i fogli e li scorse rapidamente. Sorrise. "Lo hai appena scritto?" Lui assentì. "Ma è meraviglioso!" esclamò. "Voglio leggerlo subito!" Tornò a sedersi sul divano. Concentrata nella lettura, Lexie si rigirò una ciocca di capelli intorno a un dito e, mentre la osservava, Jeremy ebbe la subitanea rivelazione della causa del suo blocco creativo. Forse non era dipeso tanto dal fatto di essersi trasferito a Boone Creek, si disse, quanto dal suo inconsapevole timore di non poter più andare via. Era un'idea assurda, che avrebbe scartato senza pensarci due volte se qualcun altro gliel'avesse suggerita. Ma doveva ammettere che era vero. Sorrise. Provò l'impulso di abbracciare Lexie e non lasciarla più. Non vedeva l'ora di crescere sua figlia in un luogo dove potevano andare a caccia di lucciole d'estate e stare al riparo sotto la veranda mentre scoppiavano i temporali. Quella era la sua casa adesso, la loro casa, e ciò lo induceva a credere che la bambina sarebbe nata senza problemi. Avevano già passato così tante tribolazioni che a quel punto per forza doveva andare tutto bene. Alla successiva ecografia, fissata per il 6 ottobre, l'ultima prima del parto, lui avrebbe avuto la conferma della sua intuizione. Fino a quel momento, Claire era sana. Fino a quel momento.
Capitolo diciannovesimo. Quando tornò bruscamente alla realtà si sentì frastornato. Fino a un attimo prima era immerso in un sogno, e ricordava solo di essersi risvegliato di soprassalto mentre gridava: "Ahia!"
"Su, sveglia", lo spronò Lexie dandogli un altro colpo. Ancora assonnato, Jeremy si tirò il lenzuolo sotto il mento. "Ma perché mi prendi a gomitate? É ancora notte fonda" "Sono quasi le cinque, e credo che sia ora" "Di fare cosa?" brontolò lui. "Di andare all'ospedale" Una volta recepite quelle parole, balzò a sedere gettando via le coperte. Si strofinò gli occhi per svegliarsi del tutto. "Hai le contrazioni? Quando sono cominciate? Perché non me l'hai detto? Sei sicura?" "Credo di sì. Ho già avuto le Braxton-Hicks, ma queste sono diverse. E più regolari". Lui deglutì. "Allora ci siamo?" "Non ne sono sicura, ma penso di sì" "D'accordo", affermò Jeremy facendo un profondo respiro. "Niente panico" "Io sono tranquillissima" "Bene, perché non c'è motivo di agitarsi" "Lo so" Per un attimo rimasero a guardarsi in silenzio. "Devo fare la doccia", dichiarò lui alla fine. "La doccia?" "Sì", rispose alzandosi. "Ci metto un minuto, poi andiamo". Non ci mise affatto un minuto. Rimase sotto il getto dell'acqua calda abbastanza a lungo da appannare completamente lo specchio del bagno, tanto che dovette strofinarlo due volte prima di rasarsi. Si lavò i denti, si mise il dopobarba e fece i gargarismi. Con calma, aprì una nuova confezione di deodorante, accese il phon a bassa velocità, si spalmò sia la mousse sia il gel prima di spazzolarsi i capelli. Aveva le unghie un po lunghe, perciò decise di tagliarsele. Stava dedicandosi alla manicure quando udì la porta spalancarsi alle sue spalle. "Si può sapere che cosa stai facendo?" ansimò Lexie. Si reggeva la pancia ed era piegata in due. "Perché ci metti tanto?"
"Ho quasi finito", protestò lui. "Sei qui dentro da quasi mezz'ora!" "Davvero?" "Sì!" In preda alle fitte di dolore, lei alzò la testa per guardarlo e strabuzzò gli occhi. "Ti stai tagliando le unghie?" Prima che lui potesse rispondere, Lexie se ne andò barcollando. Tutte le volte che aveva pensato a quel giorno, Jeremy non si era mai dipinto così. Ma, al contrario, come la calma e la freddezza personificate. Immaginava che si sarebbe vestito con efficienza militare, tenendo d'occhio la moglie ed alleviandone la sofferenza, poi avrebbe afferrato la borsa che Lexie aveva già riempito e sarebbe partito per l'ospedale tenendo le mani ben salde sul volante. Non aveva preso in considerazione l'eventualità di essere tanto terrorizzato. Non era pronto. Come poteva diventare padre? Non aveva la minima idea di ciò che doveva fare. Pannolini? Latte in polvere? Come si teneva in braccio un bambino? Non aveva indicazioni. Gli serviva un altro paio di giorni per dare un'occhiata a quei libri che Lexie aveva letto per mesi. Ma ormai era troppo tardi. Il suo inconsapevole tentativo di rimandare l'inevitabile era fallito. "No, non siamo ancora usciti", stava dicendo lei al telefono. "Si sta preparando!" Jeremy capì che parlava con Doris. E non sembrava affatto soddisfatta. Iniziò a vestirsi e si stava infilando la camicia quando Lexie riagganciò. Inarcando la schiena, affrontò in silenzio un'altra contrazione e lui aspettò che passasse. Poi l'aiutò ad alzarsi e la condusse verso la macchina, ritrovando finalmente un certo controllo di sé. "Non dimenticare la borsa", disse lei. "Vado subito a prenderla" In un lampo erano in macchina. Appena in tempo, perché
Lexie fu assalita da un'altra contrazione. Jeremy si affrettò a ingranare la retromarcia. "La borsa", gridò lei con una smorfia. Lui frenò bruscamente e corse in casa. Non era davvero pronto. Le strade erano vuote ed il cielo ancora scuro mentre Jeremy si dirigeva a Greenville a tutta velocità. A causa delle possibili complicazioni, Lexie aveva deciso di partorire lì e lui aveva telefonato alla guardia medica per annunciare il loro arrivo. Dopo un'altra contrazione, Lexie si appoggiò al sedile, pallida e tesa. Jeremy accelerò. Sfrecciarono per le vie deserte mentre alle loro spalle le prime luci dell'alba rischiaravano l'orizzonte. Lexie era stranamente silenziosa, ma del resto nemmeno lui aveva voglia di parlare. Nessuno dei due aveva pronunciato una sillaba durante il viaggio. "Stai bene?" "Sì", rispose lei, non troppo convinta. "Però magari potresti andare un po più veloce" Lui sentiva il cuore che gli batteva in gola. Stai calmo, si disse. Qualunque cosa tu faccia, mantieni la calma. Sentì la macchina sbandare quando affrontò una curva. "Non così tanto", lo rimproverò lei. "Non vorrei morire prima di arrivare" Jeremy rallentò per poi accelerare di nuovo alla contrazione successiva. Arrivavano a intervalli di circa otto minuti, ma lui non sapeva quanto tempo avessero ancora a disposizione. Avrebbe dovuto leggere almeno un libro sull'argomento, si disse. Non capiva perché si fosse sempre rifiutato di farlo. Una volta raggiunta Greenville, il traffico aumentò. Non c'erano tante macchine in giro, ma abbastanza da costringerlo a fermarsi a qualche incrocio. Al secondo semaforo rosso, si girò verso Lexie e constatò che sembrava ancora più incinta di quando erano partiti. "Stai bene?" le chiese di nuovo.
"Smettila di domandarmelo", replicò lei. "Fidati, sarai il primo a saperlo se succede qualcosa" "Siamo quasi arrivati" "Ottimo" Jeremy guardò il semaforo, meravigliandosi che non si decidesse a diventare verde. Non era evidente che si trattava di un'emergenza? Lanciò un'altra occhiata alla moglie e represse a fatica l'impulso di chiederle se stava bene. Si precipitò all'entrata del pronto soccorso e annunciò con espressione allucinata che sua moglie era in travaglio. Un portantino si avvicinò alla macchina con una sedia a rotelle e Jeremy aiutò Lexie a salirci, poi prese la borsa dal sedile posteriore e li seguì dentro. Nonostante l'ora, la sala d'aspetto era affollata e c'erano tre persone davanti allo sportello dell'accettazione. Immaginava che si sarebbero diretti subito al reparto maternità, soprattutto viste le circostanze, invece ilportantino spinse Lexie verso l'accettazione e furono costretti ad aspettare in fila. Dietro il vetro regnava la massima calma; le infermiere sembravano molto più interessate a chiacchierare sorseggiando il caffè che ad accogliere i pazienti. Jeremy era fuori di sé dall'ansia. Nessuno di quelli davanti a lui sembrava in punto di morte; al contrario, erano lì giusto per farsi rinnovare una ricetta. Un tizio provò addirittura a flirtare con un'infermiera. Finalmente arrivò il loro turno. Prima che Jeremy potesse aprire bocca, una donna che appariva del tutto indifferente al tormento di Lexie gli porse una cartelletta. "Riempia le prime tre pagine e firmi la quarta. E ho bisogno della sua tessera dell'assicurazione" "É proprio necessario in questo momento? Voglio dire, mia moglie è in travaglio. Non sarebbe meglio portarla subito in camera?" La donna si rivolse a Lexie. "Qual è l'intervallo tra le
contrazioni?" "Otto minuti circa" "Da quanto è in travaglio?" "Non saprei. All'incirca tre ore". L'infermiera annuì e tornò a parlare con Jeremy. "Le prime tre pagine, firmi la quarta e non dimentichi la tessera dell'assicurazione" Lui prese la cartelletta e andò a sedersi in fretta su una panca, del tutto disorientato. Dei moduli? Era il caso di perdere tempo con le scartoffie in un momento simile? In un'emergenza? A suo parere il mondo stava soffocando nella burocrazia, e anche gli ospedali purtroppo non facevano eccezione. Doveva tornare allo sportello per chiarire la situazione. L'infermiera non doveva aver capito bene. "Ehi!" Udendo la voce di Lexie, Jeremy alzò gli occhi dalle carte. La sedia a rotelle era rimasta vicino all'accettazione, praticamente in mezzo alla sala. "Hai intenzione di lasciarmi qui?" Tutti si girarono a guardarlo. Qualche donna gli lanciò un'occhiata di rimprovero. "Scusa", rispose, alzandosi di scatto per raggiungerla. La spinse verso le panche. "Non dimenticare la borsa" "Giusto" Tornò a prenderla senza badare agli sguardi dei presenti, poi si mise seduto accanto a Lexie. "Stai bene?" le chiese. "Guarda che ti prendo a pugni se me lo domandi un'altra volta. Dico sul serio". "Sì, hai ragione. Scusa". "Pensa piuttosto a riempire i moduli, per favore" Lui annuì e cominciò controvoglia a compilarli. Prima dovevano assegnare una camera a sua moglie, poi venivano i documenti, pensò ancora. Impiegò pochi minuti, quindi si alzò e tornò allo sportello.
Ma qualcun altro lo aveva preceduto e fu costretto a mettersi di nuovo in fila. Quando arrivò il suo turno, ribolliva di rabbia e porse la cartelletta senza dire una parola. L'infermiera ne esaminò con cura il contenuto. Controllò ogni singola pagina, le fotocopiò, poi prese una manciata di braccialetti dal cassetto e ci scrisse il nome di Lexie e il numero identificativo. Lentamente. Peggio di una lumaca. Jeremy la osservava battendo il piede per terra. Avrebbe scritto una lettera di protesta. Era una situazione grottesca. "Bene", dichiarò infine la donna, "sedetevi lì e attendete di essere chiamati" "Dobbiamo aspettare ancora?" esclamò Jeremy allibito. L'infermiera lo guardò da sopra gli occhiali. "Mi lasci indovinare. É il vostro primo figlio?" "In effetti, sì" "Vada a sedersi. Come ho detto, vi chiameremo quando saremo pronti. E mettetevi i braccialetti". Un paio di secoli dopo finalmente chiamarono il nome di Lexie. D'accordo, non era passato tutto quel tempo, ma a Jeremy sembrava di sì. Sua moglie era in preda ad un'altra contrazione e stringeva le labbra, premendosi le mani sul ventre. "Lexie Marsh?" Lui balzò in piedi come se avesse i calzoni in fiamme e saltò dietro la sedia a rotelle. Con pochi rapidi passi raggiunse la porta scorrevole. "Eccola, è lei", disse. "Andiamo in camera, vero?" "Da questa parte", indicò l'infermiera ignorando il suo tono ansioso. "Il reparto maternità si trova al terzo piano". "Stai bene, cara?" "Sì", rispose Lexie. "Ho appena avuto un'altra contrazione. Vengono ogni otto minuti circa..." "Credo che sarebbe meglio sbrigarsi", intervenne Jeremy. Sua moglie e l'infermiera si voltarono a guardarlo. Sì, doveva ammetterlo, il suo tono era stato un po brusco, ma non era il
momento di perdersi in chiacchiere. "Quella là è la sua borsa?" chiese l'infermiera. "Vado a prenderla", annunciò Jeremy detestandosi per la propria sbadataggine. "L'aspettiamo" Lui avrebbe voluto rispondere "grazie tante" nel tono più sarcastico possibile, ma preferì lasciar perdere. Da quanto ne sapeva, quella donna poteva essere destinata ad assistere Lexie durante il travaglio e l'ultima cosa che voleva era contrariarla. Tornò indietro di corsa a recuperare la borsa e poi si inoltrarono in un dedalo di corridoi. Sull'ascensore, lungo un altro corridoio e in camera. Finalmente. La camera era asettica e funzionale come tutte le stanze d'ospedale. Lexie si alzò dalla sedia, si svestì, infilò una camicia da notte e poi si arrampicò con cautela sul letto. Nei venti minuti successivi diverse infermiere si affaccendarono intorno a lei. Le controllarono la pressione ed il polso, le misurarono la cervice e presero nota della durata del travaglio, dell'intervallo tra le contrazioni, di quando aveva consumato l'ultimo pasto e delle complicazioni manifestatesi durante la gravidanza. Alla fine la collegarono a un monitor e si udì il battito cardiaco rapido e regolare della bambina. "É giusto che sia così veloce?" chiese Jeremy. "É normale", lo tranquillizzò l'infermiera. Appese la cartella clinica alla spalliera del letto e si rivolse a Lexie. "Io mi chiamo Joanie, e nel corso della mattinata tornerò ogni tanto a vedere come va. Dato che le contrazioni non hanno aumentato la frequenza, potrebbe passare del tempo prima che lei partorisca. Non c'è modo di sapere quanto durerà il travaglio. A volte accelera di colpo, in altri casi la progressione è più lenta e graduale. Comunque, non c'è bisogno che rimanga a letto. Alcune donne trovano sollievo nel passeggiare, certe invece preferiscono stare sedute o carponi. Non è ancora pronta per
l'epidurale, quindi faccia come ritiene meglio e si metta più comoda possibile" "D'accordo", rispose Lexie. "E, signor..." aggiunse l'infermiera voltandosi verso Jeremy. "Marsh", disse lui. "Mi chiamo Jeremy Marsh. E lei è mia moglie, Lexie. Stiamo per avere un bambino". L'infermiera sembrò divertita dalla risposta. "Questo lo so. Il suo compito per il momento è darle conforto. In fondo al corridoio c'è una macchina per il ghiaccio, e le porti pure tutti i cubetti che desidera. Vicino al lavandino ci sono delle salviette che può usare per asciugarle la fronte. Se sua moglie vuole camminare, la sostenga. A volte le contrazioni arrivano all'improvviso e fanno piegare le ginocchia. Non vorrà che cada per terra" "Ho capito", rispose lui, ripassando mentalmente l'elenco. "Se avete bisogno di aiuto, premete quel pulsante ed arriveremo da voi il prima possibile" La donna si diresse verso la porta. "Aspetti... se ne va?" chiese Jeremy. "Devo controllare un'altra paziente. E avvisare l'anestesista di tenersi pronto. Tornerò più tardi". "E noi che cosa facciamo nel frattempo?" L'infermiera ci pensò su. "Potete accendere la TV. Il telecomando è sul comodino" "Mia moglie è in travaglio. Non credo abbia voglia di guardare la televisione" "Magari sì", ribatté l'infermiera. "Come ho detto, qui potrebbe andare per le lunghe. Una volta ho assistito un travaglio durato trenta ore" Loro impallidirono. Trenta ore? Prima che potessero soffermarsi a considerare quella prospettiva, arrivò un'altra contrazione e Jeremy fu distratto non solo dalla sofferenza di Lexie, ma anche dal dolore che lei gli provocò conficcandogli le unghie nel palmo della mano.
Mezz'ora dopo accesero la televisione. Sembrava fuori luogo, ma non sapevano come ingannare il tempo tra le varie contrazioni, che continuavano ad arrivare a distanza di otto minuti. Jeremy cominciò a sospettare che la bambina non avesse nessuna fretta di venire al mondo. Non era ancora nata e già padroneggiava perfettamente l'arte di farsi aspettare. Anche senza la conferma dell'ecografia, a quel punto sarebbe stato sicuro al cento per cento che era una femmina. Lexie stava bene. Lo sapeva non solo per averglielo chiesto, ma anche perché, in risposta, aveva ricevuto da lei un energico pugno sul braccio. Circa un'ora dopo si presentò Doris, vestita con l'abito della festa, il che era appropriato per un'occasione così speciale. Ripensandoci, Jeremy fu lieto di essersi fatto la doccia quella mattina. La donna sembrò riempire la stanza con la sua energia e si precipitò verso il letto a braccia aperte. Anche lei aveva partorito una figlia, dichiarò, e sapeva cosa bisognava aspettarsi. Jeremy capì che Lexie era contenta del suo arrivo perché, quando la nonna le chiese se stava bene, non la prese a pugni, ma rispose tranquillamente alla domanda. Doveva ammettere che il fatto gli dava un certo fastidio. Come pure la presenza di Doris. Sapeva che era ingiusto da parte sua, visto che era stata lei ad allevare Lexie e adesso si sentiva in diritto di partecipare all'evento, ma in fondo riteneva che quella fosse un'esperienza intima, riservata a sua moglie ed a lui soltanto. Ci sarebbe stato modo di festeggiare, condividere e rallegrarsi con i parenti in un secondo tempo. In ogni caso, mentre andava a sedersi in un angolo, non pensò neppure per un attimo di dire qualcosa al riguardo. Era uno di quei momenti in cui persino l'affermazione più diplomatica poteva risultare offensiva. Trascorse i quarantacinque minuti successivi con un orecchio rivolto alle chiacchiere tra le due donne e l'altro ai servizi
di Good Morning America. La trasmissione era quasi interamente dedicata alla campagna elettorale di Al Gore e George Bush, e Jeremy abbassava l'audio tutte le volte che uno dei candidati apriva la bocca. In ogni caso, era sempre meglio che ascoltare Lexie lamentarsi di quanto fosse stato egoistico il suo comportamento quella mattina. "Si stava tagliando le unghie?" ripeté Doris fissandolo con finto biasimo. "Erano un po lunghe", si giustificò Jeremy. "E poi ha guidato come un pazzo", aggiunse Lexie. "Ha persino sgommato" Doris fece un segno di disapprovazione. "Credevo che stesse per partorire", dichiarò lui per difendersi. "Come potevo sapere che ci sarebbero volute ancora delle ore?" "Sentite", disse Doris, "siccome so che può andare per le lunghe, mi sono fermata all'edicola e ho comprato qualche rivista. Roba frivola, ma che vi aiuterà a passare il tempo" "Grazie", rispose la nipote. "Sono felice che tu sia qui". "Anch'io", affermò la nonna. "Era da tanto che aspettavo questo momento" Lexie sorrise. "Faccio un salto di sotto a bere una tazza di caffè, d'accordo?" aggiunse Doris. "Ti spiace?" "No, figùrati" "Tu vuoi qualcosa, Jeremy?" "Niente, grazie", rispose lui ignorando il brontolio del suo stomaco. Se Lexie non poteva mangiare, per solidarietà gli sembrava giusto rimanere a digiuno. "Ci vediamo tra poco", li salutò Doris in tono allegro. Mentre usciva, posò una mano sulla spalla di Jeremy, mormorando: "Non preoccuparti per stamattina. Mio marito fece esattamente
lo stesso. Lo trovai che metteva in ordine il suo studio. É normale" Lui annuì. Le contrazioni si intensificarono. Prima arrivarono a intervalli di sette minuti, poi di sei. Un'ora dopo sembravano essersi stabilizzate a un ritmo di una ogni cinque minuti. Joanie e Iris, un'altra infermiera, si davano il cambio per tenere la situazione sotto controllo. Doris era ancora al bar e Jeremy si chiese se non gli avesse letto nel pensiero, capendo il suo desiderio di restare solo con Lexie. La televisione era sempre accesa, ma nessuno vi prestava più attenzione. Lui era impegnato ad asciugare la fronte della moglie ed a portarle cubetti di ghiaccio. Lei si era rifiutata di andare a fare due passi in corridoio, e teneva lo sguardo incollato al monitor, su cui seguiva il battito cardiaco della bambina. "Hai paura?" gli chiese dopo un po. Aveva un'espressione angosciata. Dato che si stava avvicinando il momento critico, Jeremy non ne era sorpreso. "No", rispose. "Sono passate meno di due settimane dall'ultima ecografia, e la bambina fino a quel momento era sana. Penso che, se la banda era destinata ad attaccarsi, sarebbe successo prima. E in ogni caso il dottore ha detto che a questo punto i danni sarebbero lievi" "Ma se all'ultimo momento si attaccasse al cordone ombelicale? Se interrompesse il flusso sanguigno?" "Non accadrà", la tranquillizzò lui. "Sono sicuro che andrà tutto bene. Se il ginecologo fosse preoccupato, ti avrebbe fatto collegare a molti più apparecchi e avrebbe già consultato altri specialisti" Lei annuì, augurandosi che avesse ragione. Ma ci avrebbe creduto solo quando, con la bambina tra le braccia, si fosse sincerata di persona che era perfettamente sana. "Mi piacerebbe che avesse un fratellino od una sorellina",
dichiarò. "Non voglio che rimanga figlia unica come me". "Tu te la sei cavata benissimo" "Sì, ma ricordo che da bambina invidiavo i miei amici. Anch'io avrei voluto qualcuno con cui giocare nelle giornate di pioggia, o con cui chiacchierare a tavola e la sera prima di addormentarsi. Tu sei cresciuto assieme a cinque fratelli. Non pensi che sia stato fantastico?" "A volte", ammise Jeremy. "Ma in certi casi non era poi così piacevole. Dato che ero il più piccolo, mi lasciavano sempre per ultimo, soprattutto la mattina. Ricordo che, quando Sinalmente potevo fare la doccia, l'acqua ormai era diventata fredda e gli asciugamani erano tutti fradici" Lei sorrise. "Non importa, io vorrei comunque un altro figlio" "Anch'io. Ma prima pensiamo a far nascere questo. Poi staremo a vedere" "Non potremmo adottarne uno?" chiese lei. "Voglio dire... ecco, sai..." "Se non riesci a restare incinta di nuovo?" Lei annuì. "Certo. Possiamo adottare un bambino. Anche se ho sentito che è una procedura molto lunga" "Allora, forse dovremmo fare subito domanda" "In questo momento non credo che tu sia in grado di fare proprio niente" "No, intendevo quando la bambina avrà un paio di mesi, o giù di lì. Nel frattempo potrei cercare di rimanere incinta, ma nel caso non succeda, saremmo già a buon punto. Non voglio che siano troppo distanti d'età" Lui le asciugò la fronte. "Vedo che ci hai riflettuto molto". "Ci ho pensato da quando abbiamo saputo della banda amniotica. Nell'istante in cui mi sono resa conto che rischiavamo di perdere la bambina, ho capito quanto intensamente desiderassi essere madre. E qualunque cosa accada, quel desiderio
rimane" "Non accadrà proprio niente", replicò Jeremy. "Comunque, ti capisco" Lei gli prese la mano e gli baciò le dita. "Ti amo, sai". "Sì, lo so" "Tu non mi ami?" "Ti amo più di tutti i pesci nel mare e più alto della luna" Lexie lo guardò incuriosita e lui sorrise. "Era quello che mi diceva la mamma quando ero piccolo" Lei gli baciò di nuovo le dita. "E tu lo dirai a Claire?" "Ogni giorno" In quel momento iniziò un'altra contrazione. Doris tornò in camera e, con il passare delle ore, le contrazioni si fecero più ravvicinate. Quattro minuti e mezzo, poi quattro. A quel punto l'infermiera controllò di nuovo la dilatazione non era proprio un bello spettacolo, pensò Jeremy e quindi si rivolse a Lexie con aria soddisfatta. "Credo che sia ora di chiamare l'anestesista", annunciò. "É già di sei centimetri" Lui non capiva come avesse fatto a calcolare quella misura, ma preferì non chiedere spiegazioni. "Le contrazioni sono più intense?" domandò Joanie gettando il guanto nel cestino. Lexie annuì e l'infermiera guardò il monitor. "Finora la bambina è in perfette condizioni. E non si preoccupi, una volta fatta l'epidurale lei non sentirà più nessun dolore" "Bene", rispose Lexie. "Può ancora cambiare idea, nel caso voglia portare a termine il parto naturalmente", suggerì Joanie. "Preferisco di no", dichiarò Lexie. "Quanto manca ancora?" "É difficile prevederlo, ma se va avanti così, direi che tra un'ora sarà pronta" Jeremy provò un tuffo al cuore. Anche se forse era solo una
sua impressione, gli parve che anche il battito cardiaco della bambina avesse avuto un picco improvviso sul monitor. Cercò di calmarsi controllando il respiro. All'arrivo dell'anestesista, l'infermiera chiese ai parenti di uscire dalla stanza. Jeremy acconsentì, ma mentre aspettava in corridoio assieme a Doris, si disse che quell'idea di privacy era alquanto curiosa, visto che l'inserimento di un ago per l'epidurale era una procedura molto meno invasiva della misurazione del collo dell'utero. "Lexie mi ha detto che hai ricominciato a scrivere", osservò DOriS. "Infatti", confermò lui. "La settimana scorsa ho preparato alcuni articoli" "Qualche idea per un'inchiesta?" "Un paio. Ma non so ancora se le svilupperò. Con la bambina piccola, non credo che Lexie sarebbe contenta se me ne andassi lontano per alcune settimane. Comunque, c'è un'altra indagine giornalistica che penso di poter svolgere da casa. Non sarà come il caso Clausen, ma è abbastanza forte" "Complimenti. Sono felice per te". "Anch'io", rispose lui. Lei sorrise. "Ho sentito che chiamerete la bambina Claire", proseguì. "Già" "É un nome che mi è sempre piaciuto" Nel silenzio che seguì, Jeremy intuì che Doris stava pensando alla figlia. "Avresti dovuto vederla quando nacque. Aveva una chioma di capelli corvini e strillava come un'aquila. Capii subito che avrei dovuto tenerla d'occhio. É stata una peste fin dal principio" "Una peste?" domandò lui. "Da quanto mi ha raccontato Lexie, mi ero fatto l'idea che fosse una classica signora del Sud" Doris rise. "Vuoi scherzare? Era una brava bambina, lo ammetto, ma sapeva mettere a dura prova la nostra pazienza. In terza fu mandata a casa da scuola perché l'avevano sorpresa
in cortile a baciare i compagni durante l'intervallo. Ne aveva fatti persino piangere un paio. E così la mettemmo in castigo. Le ordinai di pulire la sua stanza e poi passammo il resto del pomeriggio a sgridarla, spiegandole che quello non era un comportamento corretto. Il giorno dopo, a scuola, la storia si ripeté. Quando andammo a prenderla eravamo fuori dalla grazia di Dio, e lei ci disse candidamente che le piaceva baciare i ragazzi, anche se dopo si beccava una punizione" Jeremy rise. "Lexie conosce questa storia?" "Non ne sono sicura, e non so nemmeno perché te l'abbia raccontata. Ma ti assicuro che avere un figlio ti cambia la vita come nient'altro. Sarà l'esperienza più difficile e più bella che ti sia mai capitata" "Non vedo l'ora", affermò Jeremy. "Sono pronto". "Sul serio? Sembri terrorizzato all'idea" "Non lo sono affatto", mentì lui. "Mmm... posso tenerti la mano mentre lo dici?" L'ultima volta che lo aveva fatto, Jeremy aveva avuto la strana sensazione che lei gli leggesse nel pensiero. Anche se non credeva che fosse successo davvero, perché... ecco, era semplicemente impossibile. "No, preferirei di no", rispose. Doris sorrise. "É normale sentirsi un po nervosi. E spaventati, anche. É una grande responsabilità, ma vedrai che te la caverai bene" Jeremy annuì, pensando che in meno di un'ora l'avrebbe verificato. Una volta che l'epidurale ebbe fatto effetto, Lexie smise di soffrire e doveva guardare il monitor per accorgersi delle contrazioni. Nel giro di venti minuti la dilatazione era arrivata a otto centimetri. A dieci sarebbe iniziata la festa. Il battito della bambina era ancora perfettamente normale. Senza dolori, l'umore di lei migliorò sensibilmente. "Ora sto proprio beeene", dichiarò cantilenando l'ultima
parola. "Parli come se avessi bevuto un paio di birre" "É così che mi sento, in effetti", rispose Lexie. "Molto meglio di prima. Mi piace questa epidurale. Ma perché certe donne vogliono partorire senza anestesia? Le doglie fanno male" "L'ho sentito dire. Vuoi dell'altro ghiaccio?" "No. Sto alla grande". "Hai anche un aspetto migliore" "Neanche tu sei tanto male" "Sai, mi sono fatto la doccia stamattina" "Lo so", replicò lei allegra. "Non riesco ancora a crederci". "Volevo venire bene nelle foto" "Lo dirò a tutte le mie amiche" "Basterà che mostri loro le fotografie" "No, mi riferisco al tempo che ci hai messo a prepararti mentre io soffrivo le pene dell'inferno" "Eri al telefono con Doris, non stavi contorcendoti dal dolore" "Soffrivo dentro", ribatté lei. "Però sono forte, e non lo facevo vedere" "É bella, non dimenticarlo" "Già, è vero. Sei proprio un uomo fortunato". "Infatti", confermò lui prendendole la mano. "Ti amo". "Ti amo anch'io", mormorò lei. Era arrivato il momento. Lexie fu portata in sala parto e le infermiere la prepararono. Poco dopo comparve il ginecologo, che controllò di nuovo la dilatazione, poi, sporgendosi in avanti sullo sgabello, le spiegò quello che sarebbe successo. Quando fosse arrivata la contrazione, le avrebbe chiesto di spingere. Sarebbero occorse diverse spinte per espellere la bambina. Tra l'una e l'altra, lei doveva cercare di riprendere le forze. Mentre l'uomo parlava, Lexie e Jeremy pendevano dalle sue labbra.
"Resta la questione della banda amniotica", continuò il medico. "Il battito cardiaco è sempre stato forte e regolare, perciò non prevedo niente di insolito durante il parto. Non credo che la banda si sia attorcigliata al cordone ombelicale e non c'è segno di sofferenza fetale. Certo, esiste ancora la possibilità che si intrecci al cordone nel momento dell'espulsione, ma a quel punto basterà tirare fuori la bambina il più in fretta possibile, ed è fatta. Sarà presente una neonatologa che la esaminerà subito per verificare che non abbia segni di ABS, ma ritengo che siamo stati fortunati" Loro due annuirono, nervosi. "Andrà tutto bene. Faccia come le ho detto, e tra pochi minuti diventerete genitori, d'accordo?" Lexie trasse un profondo respiro. "Ho capito", rispose, prendendo la mano di Jeremy. "Io cosa devo fare?" chiese lui. "Rimanere lì dov'è" Mentre il ginecologo concludeva gli ultimi preparativi, un'altra infermiera entrò in sala parto seguita da una donna, che si presentò come la dottoressa Ryan. Il carrello degli strumenti chirurgici fu avvicinato al lettino e scoperto. Il medico sembrava rilassato e anche la neonatologa chiacchierava tranquillamente con l'infermiera. Quando iniziò la contrazione successiva, l'uomo ordinò a Lexie di afferrarsi le gambe e spingere. Lei contrasse il viso per lo sforzo e lui controllò ancora una volta il battito fetale. Poi Lexie spinse, stringendo energicamente la mano di Jeremy. "Bene", dichiarò il medico, spostando lo sgabello in una posizione migliore. "Adesso si rilassi per un momento. Riprenda fiato e poi riproviamo. Stavolta spinga un po più forte, se riesce" Lexie annuì. Jeremy si chiese come fosse possibile farlo, ma lei sembrava fiduciosa e spinse di nuovo. Il dottore era concentrato. "Perfetto", disse, "continui
così" Lexie insistette; Jeremy ignorò il dolore alla mano. La contrazione terminò. "Si rilassi. Sta andando benissimo", la tranquillizzò il medico. Lexie riprese fiato, mentre Jeremy le asciugava il sudore dalla fronte. Quando arrivò un'altra contrazione, ricominciò. Strizzò gli occhi, digrignò i denti, il viso le diventò paonazzo per lo sforzo. Le infermiere erano pronte. Intanto lui continuava a tenerle la mano, stupito di come le cose stessero accelerando. "Bene, bene", affermò il dottore. "Un'altra spinta e ci siamo..." Dopodiché tutto si era fatto confuso, così lui non sapeva spiegare cosa fosse successo. In seguito avrebbe ricordato solo dei frammenti isolati e a volte questo lo faceva sentire in colpa. La sua ultima immagine nitida di Lexie era quella in cui lei sollevava le gambe all'inizio della contrazione successiva. Aveva il viso madido di sudore e respirava veloce, mentre il ginecologo le diceva di spingere ancora con tutte le forze che aveva. Gli era parso di vederla sorridere. E poi? Non ne era sicuro, perché il suo sguardo era stato attratto dai rapidi ed esperti gesti del medico. Anche se si considerava una persona colta e disincantata, fu sopraffatto dall'idea che quella sarebbe stata la prima e forse l'unica volta che assisteva alla nascita di un figlio, e a quel punto il mondo attorno a lui passò sullo sfondo. Si rendeva vagamente conto della presenza di Doris nella stanza, udiva i gemiti di Lexie, ma la sua attenzione era focalizzata sulla bambina che cominciava ad emergere. Prima la testa e poi, dopo una veloce rotazione delle mani del ginecologo, le spalle e tutto il corpo. In un attimo, era diventato padre e fissava pieno di meraviglia la nuova vita che aveva davanti. Ancora attaccata al cordone ombelicale, Claire era una
viscida massa grigia, rossa e marrone, e dapprincipio sembrò che boccheggiasse. La neonatologa la posò su un tavolo, le inserì una cannula di aspirazione in bocca per pulirle la gola, e solo allora lei cominciò a piangere. La dottoressa Ryan cominciò a visitarla. Con il capo girato, Jeremy seguiva attentamente le sue mosse. Il resto del mondo era ancora lontano. In sottofondo, sentì Lexie sospirare. "Non vedo segni di ABS", dichiarò la neonatologa. "Ha tutte le dita di mani e piedi ed è molto vivace. Il colorito è buono e la respirazione regolare. L'APGAR è otto". Claire continuava ad emettere i primi vagiti e Jeremy si voltò verso Lexie. A quel punto tutto accadde tremendamente in fretta. "Avete sentito?" chiese. Era stato allora, mentre guardava la moglie, che aveva udito il fischio continuo dell'apparecchiatura alle sue spalle. Lexie teneva gli occhi chiusi e la testa posata sui cuscini, come se dormisse. Il suo primo pensiero fu che era strano che non allungasse il collo per guardare la bambina. E poi di colpo il medico si alzò dallo sgabello, mandandolo a sbattere contro il muro. L'infermiera gridò una frase in codice e lui ordinò di far uscire immediatamente i parenti. Jeremy provò una fitta al petto. "Che cosa è successo?" urlò. Un'altra infermiera lo prese per il braccio e cominciò a trascinarlo fuori dalla stanza. "Sta male? Che cos'ha? Aspetti..." "Per favore!" esclamò la donna. "Adesso deve andarsene". Lui aveva gli occhi spalancati dal terrore. Non ce la faceva ad allontanarsi da Lexie. E nemmeno Doris. Da molto lontano udì l'infermiera che chiamava in aiuto i portantini. Il medico ora era chino su Lexie e le premeva le mani sul petto... Sembrava in preda al panico. Tutti erano in preda al
panico. "Noooo!" urlò Jeremy cercando di liberarsi dall'infermiera. "Portatelo fuori!" gridò il dottore. Jeremy si sentì afferrare da qualcun altro per le braccia. Veniva trasportato di peso fuori dalla stanza. Non poteva essere vero. Avevano commesso qualche errore? Perché Lexie non si muoveva? Oddio, fai che stia bene. Non è possibile. Svegliati, Lexie... ti prego, oddio, svegliati... "Che cosa sta succedendo?" urlò ancora angosciato. Fu condotto in corridoio e delle voci indistînte gli dissero di calmarsi. Con la coda dell'occhio, scorse una barella che veniva spinta velocemente verso la sala parto e poi dentro. Due portantini lo stavano tenendo fermo contro la parete. Respirava a fatica, era teso e freddo come un cavo d'acciaio. Udì i singhiozzi di Doris, ma non riuscì a riconoscerli come tali. Era circondato da gente che si agitava e nel contempo solo. Ormai era paralizzato dal terrore. Qualche istante dopo portarono fuori Lexie sulla barella. Il medico era sempre chino su di lei e le praticava un massaggio cardiaco. Aveva in faccia una mascherina. E poi, di colpo, il tempo sembrò rallentare. Una volta che Lexie fu scomparsa dietro la porta scorrevole in fondo al corridoio, la tensione calò e Jeremy sentì i muscoli rilassarsi. Fu assalito da un'improvvisa stanchezza, aveva le gambe molli e gli girava la testa. "Che cosa sta succedendo?" chiese di nuovo con voce strozzata. "Dove la portano? Perché non si muove?" I portantini e l'infermiera distolsero lo sguardo. Lui e Doris furono accompagnati in una saletta speciale. Due file di sedie di plastica blu erano allineate lungo le pareti e il pavimento era coperto di moquette. In un angolo, si vedeva un tavolino pieno di riviste gettate alla rinfusa e fredde luci al neon rischiaravano l'ambiente. Una croce di legno era appesa al muro più lontano. Non c'era nessun altro, oltre a loro.
Doris sedeva, pallida e tremante, lo sguardo fisso nel vuoto. Irrequieto, Jeremy camminò su e giù per la stanza, quindi si mise seduto vicino a lei. Quando le chiese che cosa fosse successo, la donna si nascose il viso tra le mani e scoppiò a piangere. Allora lui cercò di ricostruire la successione degli eventi, di rimettere insieme tutti i pezzi, ma non riusciva a concentrarsi. Il tempo si era fermato. Secondi, minuti, ore... Quanto era passato? Era accaduto qualcosa di irrimediabile? Lexie si era ripresa? Non sapeva che cosa fare, voleva correre fuori in corridoio in cerca di risposte. Ma soprattutto, aveva bisogno di andare da sua moglie e di constatare che stava bene. Doris continuava a piangere seduta al suo fianco, le mani tremanti unite in una disperata preghiera. Stranamente, lui avrebbe sempre rammentato ogni dettaglio della stanza, ma non la faccia dello psicologo che alla fine entrò nella stanza, e anche il ginecologo in quel momento gli sembrò diverso da come se lo ricordava in sala parto o durante gli appuntamenti in studio. Quello che non avrebbe mai dimenticato, però, era il gelido terrore che lo assalì nel vederli arrivare. Jeremy si alzò in piedi, imitato da Doris, e pur desiderando delle risposte, a un tratto lui avrebbe preferito non sentire quello che i due uomini avevano da dirgli. Doris si appoggiò al suo braccio, come per chiedergli di essere abbastanza forte da sostenere entrambi. "Come sta?" domandò Jeremy. Il ginecologo aveva l'aria sfinita. "Mi rincresce profondamente", cominciò, "ma pensiamo che sua moglie sia stata colpita da una embolia da liquido amniotico..." Jeremy si sentì le gambe molli. Cercando di farsi forza, concentrò lo sguardo sulle macchie di sangue che imbrattavano il camice del dottore. Le sue parole suonavano irreali. "Riteniamo che la banda amniotica non sia stata in alcun modo responsabile... si è trattato di due eventi del tutto separati...
A un certo momento il liquido amniotico dev'essere entrato in uno dei vasi uterini. Non c'era modo di prevederlo... non abbiamo potuto intervenire in tempo..." La stanza sembrò rimpicciolirsi e Doris si abbandonò contro di lui, gemendo con voce strozzata: "Oh... no... no... no..." Jeremy ansimò in cerca d'aria. Stordito, udì il dottore proseguire nel suo discorso. "Capita molto di rado, ma una volta entrato nel vaso sanguigno, il liquido deve aver raggiunto il cuore. Mi spiace, però sua moglie non ce l'ha fatta a superare la crisi cardiaca. La bambina sta bene..." Doris vacillò, e Jeremy riuscì chissà come a sostenerla. Era assurdo, si disse. Un incubo. Lexie non poteva essersene andata. Era perfettamente sana. Avevano parlato fino a pochi minuti prima. Aveva partorito la bambina. Aveva spinto. Non poteva essere vero. Invece lo era. Il dottore stesso pareva sotto choc mentre continuava a cercare di spiegare. Jeremy lo guardava attraverso un velo di lacrime, stordito e nauseato. "Posso vederla?" chiese con voce rotta. "É nella nursery, nell'incubatrice", rispose il medico, quasi sollevato di trovarsi davanti a una domanda a cui finalmente era in grado di rispondere. Doveva essere un brav'uomo e si vedeva che era sconvolto anche lui. "Come ho detto, sta bene" "No", replicò Jeremy. Faticò a formulare la frase. "Mia moglie. Posso vedere mia moglie?"
Capitolo ventesimo. Come un automa, Jeremy si lasciò guidare lungo il corridoio.
Il dottore lo precedeva in silenzio a mezzo passo di distanza. Lui stentava ancora a dare un senso alle sue parole. Quell'uomo si sbagliava, pensò; Lexie non se n'era andata. Mentre il ginecologo era venuto a parlargli, gli altri si erano accorti di qualcosa, di una traccia di attività cerebrale, un lieve battito cardiaco, e si erano attivati. Erano intervenuti tempestivamente e adesso Lexie cominciava a riprendersi. Si trattava di un evento straordinario, quasi miracoloso, ma Jeremy era sicuro che lei ce l'avrebbe fatta. Era giovane e forte. Aveva appena compiuto trentadue anni e non poteva proprio andarsene così. Il medico si fermò davanti a una porta del reparto di terapia intensiva e lui provò un tuffo al cuore al pensiero che la sua ipotesi potesse rivelarsi giusta. "L'ho fatta spostare qui in modo che possiate avere un po di privacy", spiegò l'uomo. Aveva il volto terreo e gli posò una mano sulla spalla. "Resti pure tutto il tempo che vuole. Mi rincresce tanto" Jeremy non lo ascoltò nemmeno. Con mano tremante, spinse la porta che pesava una, dieci, cento tonnellate, ma che infine si aprì. Il suo sguardo fu attirato dalla figura distesa sul letto. Giaceva immobile, senza apparecchiature, senza monitor, senza flebo. L'aveva vista così centinaia di volte la mattina. Stava dormendo, i capelli sparsi sul cuscino... ma stranamente teneva le braccia lungo il corpo. Dritte, come se fossero state sistemate in quella posizione da qualcuno che non la conosceva. Provò un nodo in gola mentre il suo campo visivo diventava come un tunnel, tutto nero a parte lei. Finalmente era tornato da Lexie, ma non sopportava di vederla in quel modo. Non con le braccia così. Doveva per forza stare bene. Aveva solo trentadue anni. Era sana, robusta, una combattente. Lo amava. Era la sua vita. Ma quelle braccia... quelle braccia erano innaturali... avrebbero
dovuto essere piegate, una mano sopra la testa e l'altra sull'addome... Gli mancò il respiro. Sua moglie se n'era andata... Sua moglie... Non era un incubo. Adesso non poteva più negarlo e lasciò che le lacrime sgorgassero liberamente, come se non dovessero fermarsi più. Poco dopo anche Doris entrò a dare l'ultimo saluto e Jeremy la lasciò sola con la nipote. Attraversò il corridoio in stato di trance, notando vagamente il personale che gli passava accanto. Tutti sembravano ignorarlo e lui si chiese se lo evitavano perché erano al corrente di quanto era accaduto, o perché non lo sapevano. Tornò nella saletta dove aveva parlato con il dottore. Si sentiva svuotato. Non aveva più lacrime per piangere. Non era rimasto più niente, nessuna energia. Faceva una fatica tremenda per non crollare. Ripercorse decine di volte con la mente le scene nella sala parto, cercando di individuare il momento esatto in cui era avvenuta l'embolia, pensando che avrebbe dovuto accorgersene. Era stato quando lei aveva sospirato? Era successo un attimo dopo? Non riusciva a scrollarsi di dosso il senso di colpa per non aver insistito che facesse un cesareo, o almeno non si sforzasse a spingere fino allo stremo delle forze, dato che poteva essere stato quello a causare l'embolo. Era in collera con se stesso, con Dio, con il medico. E con la bambina. Non voleva nemmeno vederla, convinto che in qualche maniera, per ricevere in dono la vita, quella creatura ne avesse strappata un'altra. Se non era per la bambina, non avrebbe perso Lexie. Se non era per la bambina, i mesi che loro due avevano trascorso insieme sarebbero stati senza stress. Se non era per la bambina, avrebbe potuto fare l'amore con sua moglie. Ma ormai era finita. La bambina aveva distrutto tutto. A causa sua, Lexie era morta. E anche lui si sentiva morto.
Come poteva volerle bene? Come avrebbe potuto perdonarla? Come avrebbe fatto a guardarla o abbracciarla e dimenticare che si era presa la vita di Lexie in cambio della propria? Come sarebbe riuscito a non odiarla per quello che aveva fatto alla donna che amava? Riconosceva l'irrazionalità delle sue emozioni e intuiva il loro carattere insidioso e malvagio. Era sbagliato, contrario ai sentimenti che dovrebbe provare un genitore, ma come poteva zittire il suo cuore? Come poteva dire addio a Lexie e subito dopo accogliere una nuova vita? E come si sarebbe dovuto comportare? Avrebbe dovuto prenderla in braccio e coccolarla, come facevano gli altri padri? Facendo finta che non fosse successo nulla a Lexie? E dopo? Quando avrebbe dovuto portarla a casa? In quel momento non riusciva neppure a immaginare di potersi prendere cura di un'altra persona; voleva solo raggomitolarsi lì sul pavimento dell'ospedale. Non capiva niente di neonati e l'unica certezza che aveva era che dovevano stare con la madre. Era Lexie che aveva letto tutti i libri; era lei che aveva fatto la babysitter da ragazza. Per tutta la gravidanza lui si era crogiolato nella propria ignoranza, convinto che Lexie gli avrebbe mostrato di volta in volta come fare. Ma la bambina aveva altri progetti... La bambina che aveva ucciso sua moglie. Invece di andare nella nursery, si lasciò cadere su una sedia della saletta. Si vergognava di provare quei sentimenti nei confronti della figlia, sapeva che erano ingiustificati, ma... Lexie era morta di parto. Nel mondo moderno, in un grande ospedale, non sarebbe dovuto accadere. Dov'erano le cure tempestive? Tutta l'efficienza medica che si vedeva nei serial televisivi? Quello non aveva niente a che fare con la realtà. Chiuse gli occhi, convincendosi di nuovo che, se si fosse concentrato abbastanza, sarebbe riuscito a risvegliarsi dall'incubo che era
diventata la sua vita. Qualche minuto dopo, Doris lo raggiunse. Non si era accorto del suo arrivo, ma sentendosi toccare un braccio spalancò gli occhi e vide davanti a sé il suo volto distrutto e rigato di lacrime. Anche lei sembrava in procinto di crollare. "Hai telefonato ai tuoi genitori?" gli chiese con voce rotta. "Non posso. So che dovrei, ma in questo momento non ci riesco" Le spalle della donna cominciarono a tremare. "Oh,Jeremy", singhiozzò. Si alzò e la cinse con le braccia. Piansero insieme, stringendosi come se cercassero di salvarsi a vicenda. Dopo un po, Doris si allontanò e si asciugò gli occhi. "Hai visto Claire?" mormorò. A quel nome, lui fu invaso da un senso di disagio. "No", rispose. "Non dopo la sala parto". Doris sorrise mestamente e Jeremy si sentì straziare quel poco di cuore che gli era rimasto. "É uguale a Lexie". Lui voltò la testa. Non voleva sentirlo, non voleva sapere a chi somigliasse la bambina. Avrebbe dovuto rallegrarsi? Sarebbe mai stato felice di nuovo? Quello che doveva essere il giorno più lieto della sua vita, pensò, si era trasformato nel peggiore. Niente poteva prepararti a una simile tragedia. E adesso? Non solo gli si chiedeva di sopravvivere all'inconcepibile, ma anche di occuparsi di qualcun altro? Della piccola creatura che aveva ucciso sua moglie? "É bellissima", continuò lei. "Dovresti andare nella nursery". "Io... hmm... non posso", borbottò Jeremy. "Non ancora. Non voglio vederla" Sentì lo sguardo acuto di Doris su di sé, come se lei gli leggesse nel cuore nonostante il dolore che la affliggeva. "É tua figlia", affermò. "Lo so", rispose lui, avvertendo il palpito sordo della rabbia sotto la pelle.
"Lexie avrebbe voluto che ti prendessi cura di lei" Doris gli afferrò la mano. "Se non riesci a farlo spontaneamente, allora fallo per tua moglie. La vostra bambina aspetta di conoscere e di essere presa in braccio dal suo papà. Sì, è difficile, ma non puoi rifiutarti. Non puoi dire di no a Lexie, non puoi dire di no a me e non puoi dire di no a Claire. Vieni, andiamo". Jeremy non capiva come Doris trovasse la forza e la lucidità per parlargli in quel modo, ma detto questo, la donna lo prese per un braccio e lo sospinse lungo il corridoio verso la nursery. Lui si lasciò condurre con riluttanza, e a ogni passo sentiva crescere l'ansia dentro di sé. L'idea di incontrare sua figlia lo spaventava. Pur sapendo che era ingiusto prendersela con lei, temeva che in quel momento avrebbe smesso di essere arrabbiato, il che gli sembrava altrettanto sbagliato... come se ciò significasse che la perdonava per quanto era successo a Lexie. Non era ancora pronto a decidersi. Ma Doris proseguiva imperterrita. Oltrepassò una porta a battenti e, nelle stanze ai lati del corridoio, Jeremy scorse donne incinte e puerpere circondate da parenti. La corsia palpitava di attività, il personale andava e veniva in continuazione. Quando oltrepassarono la sala parto, lui dovette appoggiare una mano contro il muro per sostenersi. Superarono la sala infermiere, girarono l'angolo e si avvicinarono alla nursery. Il pavimento a riquadri grigi lo confondeva e si sentì mancare. Avrebbe voluto sottrarsi alla stretta di Doris e scappare via; avrebbe voluto telefonare alla madre per informarla della tragedia. Avrebbe voluto piangere al telefono, avere una scusa per mollare tutto, per essere sollevato dai propri doveri... Poco più avanti c'era un gruppetto di persone intente a sbirciare nella nursery. Indicavano oltre il vetro sorridendo, e lui udiva i commenti: "Ha il naso tale e quale a suo padre" o "Sembra proprio che abbia gli occhi azzurri" Di colpo li odiò tutti, perché stavano provando una gioia e un'esaltazione che gli erano negate. Non poteva nemmeno pensare di mettersi
accanto a loro, di sentirsi chiedere per quale neonato era lì, di ascoltarli pronunciare gli inevitabili complimenti. Nel corridoio passò un'infermiera che era presente quando Lexie era morta. Proseguiva nel suo lavoro come se fosse una giornata qualunque. Rimase turbato nel vederla e, come se gli avesse letto nel pensiero, a quel punto Doris gli strinse il braccio e si fermò. "Si entra da quella parte", disse, indicando una porta. "Tu non vieni con me?" "No", rispose. "Ti aspetto qui". "Ti prego", la implorò. "No", ribadì lei. "É una cosa che devi affrontare da solo". Jeremy la guardò. "Ti prego", bisbigliò. L'espressione di Doris si addolcì. "L'amerai", lo rassicurò. "Lo scoprirai non appena la vedrai" Esiste davvero l'amore a prima vista? Lui lo riteneva impossibile. Entrò nella nursery con passo incerto. L'espressione dell'infermiera dietro il banco cambiò non appena lo scorse. Anche se lei quella mattina non era in sala parto, la notizia che una donna giovane ed in piena salute era morta all'improvviso lasciando un marito affranto e una neonata orfana si era sparsa in fretta. Invece di pronunciare qualche parola di circostanza, oppure di fingere che fosse tutto normale, si sforzò di sorridere ed indicò una delle culle vicino alla vetrata. "Sua figlia è lì, a sinistra", disse semplicemente. La sua aria incerta ricordò a Jeremy quanto fosse insolita e penosa la situazione. Avrebbe dovuto esserci Lexie assieme a lui. Boccheggiò, sentendosi soffocare. Da lontano gli giunse un mormorio. "É molto bella" Si avvicinò lentamente alla culla, lacerato tra il desiderio di andarsene e quello di vederla. Gli sembrava di osservare la scena con gli occhi di un altro. Lui non era lì. Non era veramente lui. E quella non era sua figlia.
Esitò leggendo il nome di Claire sulla fascetta di plastica allacciata alla caviglia e provò un groppo in gola notando anche quello di Lexie. Scacciò le lacrime e fissò la bambina. Minuscola e vulnerabile sotto la luce termica, era avvolta in una copertina e aveva in testa una cuffietta; la sua carnagione appariva morbida e rosea. Intorno agli occhi c'era ancora il segno dell'unguento che le avevano spalmato e di tanto in tanto muoveva le braccia di scatto, come se facesse fatica ad abituarsi a respirare dopo aver ricevuto per tanto tempo l'ossigeno dalla madre. Il suo petto saliva e scendeva rapidamente e Jeremy rimase chino su di lei, affascinato dalla sua buffa gestualità da neonato. Riconobbe subito una marcata somiglianza con Lexie nella forma delle orecchie e nel mento appuntito. L'infermiera comparve alle sue spalle. "É una bravissima bambina", commentò. "Dorme tranquilla e non piange quasi mai" Jeremy non disse niente. Non provava niente. "Probabilmente potrà portarla a casa domani", proseguì l'infermiera. "Non ci sono state complicazioni e ha già imparato a succhiare. A volte questo è un problema con i piccolini come lei, invece si è subito attaccata al biberon. Oh, guardi, si sta svegliando" "Bene", borbottò Jeremy, ascoltandola appena. Non riusciva a distogliere lo sguardo dalla neonata. L'infermiera posò una mano sul corpicino di Claire. "Ciao, dolcezza. C'è qui il tuo papà". Le braccia della piccola scattarono di nuovo. "Perché fa così?" "É normale", spiegò l'infermiera, rimboccandole la coperta. "Ciao, tesoro", ripeté. Jeremy sentiva su di sé lo sguardo di Doris che lo fissava al di là del vetro. "Vuole prenderla in braccio?" Gli sembrava che quell'esserino tanto fragile rischiasse di
rompersi al minimo urto. Non voleva toccarla, ma rispose istintivamente. "Posso?" "Certo", disse l'infermiera sollevando con naturalezza Claire dalla culla. Jeremy era stupefatto che si potessero trattare i neonati con tanta pratica efficienza. "Non so come fare", mormorò. "Per me è la prima volta". "É facile", spiegò ancora l'infermiera in tono dolce, e lui si chiese se anche lei avesse dei figli. "Si accomodi sulla sedia a dondolo e gliela porto lì. Deve solamente metterle un braccio dietro la schiena e stare attento a sostenerle la testa. E poi, soprattutto, amarla per tutta la vita" Jeremy si sedette, terrorizzato mentre lottava per ricacciare indietro le lacrime. Non era pronto per questo. Aveva bisogno di Lexie, aveva bisogno di piangere la sua perdita e di tempo per lenire la ferita. Scorse di nuovo il viso di Doris oltre il vetro e gli parve che stesse sorridendo. L'infermiera si avvicinò, reggendo la bambina con la disinvoltura di chi l'aveva fatto migliaia di volte. Lui tese le braccia e sentì il lieve peso di Claire che veniva depositata nelle sue mani. Un attimo dopo era comodamente annidata contro il suo torace. In quel momento fu assalito da mille emozioni: il senso di fallimento provato quando era nello studio medico con Maria, lo choc e l'orrore della sala parto, l'apatia mentre camminava lungo il corridoio, l'ansia di pochi istanti prima. Tra le sue braccia, Claire girò lo sguardo argenteo su di lui, come per metterlo a fuoco. Jeremy trattenne il fiato, pensando che era tutto ciò che gli restava della moglie. Claire le assomigliava davvero molto, si disse, nei tratti e nello spirito. La sua mente fu attraversata da immagini di Lexie, che si era fidata abbastanza da fare un bambino con lui; che l'aveva sposato sapendo che, anche se non era perfetto, sarebbe stato un bravo padre. Lexie aveva sacrificato la sua vita per dargli un figlio, e all'improvviso Jeremy comprese che, se avesse avuto scelta, lei
avrebbe rifatto esattamente la stessa cosa. Doris aveva ragione: sua moglie avrebbe voluto che lui amasse Claire quanto lei, e ora aveva bisogno che si mostrasse forte. Anche Claire aveva bisogno che lui fosse forte... Nonostante il tumulto emotivo delle ultime ore, guardando con tenerezza la bambina che teneva in braccio d'un tratto Jeremy fu certo che era quello il motivo per cui era venuto al mondo. Per amare un'altra persona. Occuparsi di lei, aiutarla, accollarsi i suoi crucci finché non fosse stata capace di farlo da sola. Volerle bene incondizionatamente, perché alla fine era questo che dava senso alla vita. Per amore, Lexie si era spinta sino all'estremo sacrificio, e lui non l'avrebbe delusa. In quel momento, mentre fissava la figlia attraverso un mare di lacrime, si innamorò perdutamente di lei e desiderò solamente tenerla in braccio e proteggerla per sempre.
Epilogo. Febbraio 2005. Jeremy spalancò gli occhi sentendo squillare il telefono. La casa era ancora silenziosa, avvolta in un denso nido di nebbia, e lui si alzò a sedere a fatica sul divano, stupito di essersi addormentato. La notte prima l'aveva passata in bianco ed era da un paio di settimane che dormiva poco. Aveva gli occhi che gli bruciavano, gli pulsavano le tempie e si sentiva uno straccio. Quando il telefono suonò di nuovo, allungò il braccio per prenderlo e rispose. "Jeremy", esordì suo fratello, "che succede?" "Nulla", biascicò lui. "Stavi dormendo?"
Guardò l'ora. "Solo da una ventina di minuti. Non fa niente" "Scusami, ti lascio subito" Vedendo la giacca e le chiavi posate sulla sedia, Jeremy si chiese che cosa avrebbe potuto fare quella sera. Sarebbe stata un'altra notte insonne, si disse provando un senso di gratitudine per l'inaspettato sonnellino. "No, tanto non mi riaddormenterei. Mi fa piacere parlare con te. Come stai?" Guardò verso il corridoio e tese l'orecchio verso la stanza dove dormiva Claire. "Ti ho chiamato perché ho sentito il tuo messaggio", rispose il fratello in tono colpevole. "Quello che mi hai lasciato un paio di giorni fa. Parevi uno zombie". "Lo so, ero rimasto sveglio tutta la notte" "Di nuovo?" "Che posso farci?" replicò Jeremy. "Succede". "Non credi che stia accadendo un po troppo spesso ultimamente? Anche la mamma è preoccupata per te. Dice che, se continui così, ti ammalerai" "Sto benissimo", replicò Jeremy stiracchiandosi. "Dalla voce non si direbbe affatto. Sembri un morto che parla" "Ma ho un aspetto fantastico" "Come no, ci scommetto. Senti, la mamma mi ha raccomandato di dirti che devi dormire di più e io, dopo averti svegliato, appoggio la sua mozione. Quindi, torna subito a letto". Nonostante la stanchezza, Jeremy rise. "Non posso. Non adesso, comunque" "Perché?" "Non servirebbe a niente. Finirei per restare sveglio tutta la notte" "Tutta la notte?" "Sì", ribatté Jeremy. "É così che funziona l'insonnia". Il fratello ebbe un momento d'esitazione. "Non riesco a capire", dichiarò infine. "Perché non riesci a dormire?"
Jeremy guardò fuori dalla finestra. Il cielo era invisibile. Una nebbia argentea ammantava tutto e lui si sorprese a pensare a Lexie. "Incubi", rispose. Gli incubi erano cominciati da un mese, subito dopo Natale, senza un motivo apparente. La giornata era iniziata come al solito; Claire lo aveva aiutato a preparare le uova strapazzate ed avevano fatto colazione insieme. Dopodiché erano andati al supermercato e, nel pomeriggio, Jeremy l'aveva portata da Doris. Sua figlia aveva guardato La bella e la bestia, un cartone animato che conosceva a memoria. Per cena avevano mangiato la pasta e, dopo averle fatto il bagno, le aveva letto una storia. Claire si era addormentata tranquillamente, quella sera non aveva la febbre né era agitata, e quando lui era tornato in camera sua un po più tardi, aveva visto che dormiva serena. Ma poco dopo la mezzanotte la bambina si era svegliata urlando. Jeremy era corso da lei, l'aveva consolata, le aveva rimboccato le coperte e le aveva dato un bacio in fronte. Un'ora più tardi si era svegliata di nuovo. E poi un'altra volta. Era andata avanti così per tutta la notte, anche se la mattina lei non sembrava avere nessun ricordo di quanto era successo. Esausto, lui pensava che la cosa fosse stata superata, ma la notte successiva gli incubi si erano ripetuti, e anche quella dopo e quella dopo ancora. Passata una settimana lui aveva portato Claire dal medico, il quale gli aveva assicurato che fisicamente sua figlia era sanissima e che nei bambini gli incubi notturni, pur non essendo la norma, erano abbastanza comuni. Sarebbero passati da soli, dichiarò. Ma si sbagliava. Anzi, la situazione era peggiorata. Mentre prima Claire si svegliava due o tre volte per notte, adesso erano
cinque o sei, e dopo l'unico modo per calmarla era sussurrarle delle parole di conforto tenendola stretta fra le braccia. Aveva provato a farla dormire con lui nel lettone o a infilarsi nel suo finché non si addormentava. Aveva provato pure con la musica, a lasciare accesa una lucina nella stanza, a darle da bere un bicchiere di latte caldo prima di andare a letto. Aveva chiesto consiglio a sua madre ed a Doris; quando Claire passava la notte dalla nonna, si svegliava piangendo anche lì. Sembrava che non ci fosse niente da fare. La mancanza di sonno rendeva Jeremy nervoso e irritabile, e Claire era più capricciosa e piagnucolosa del solito. Alle quattro del pomeriggio diventava insopportabile ed ogni tanto lui scattava perdendo la pazienza. La stanchezza lo esasperava, ma era l'ansia a tormentarlo di più. La paura che ci fosse qualcosa che non andava e che, se lei non avesse ricominciato a dormire tranquillamente, si sarebbe esaurita. Anche se si sentiva esausto, era comunque in grado di badare a se stesso, ma Claire? Era responsabile per lei, e non riusciva ad aiutarla. Quelle riflessioni gli fecero tornare in mente il padre. Jeremy ripensò al giorno in cui David, il suo fratello maggiore, aveva avuto un incidente stradale. Lui aveva otto anni allora e quella sera aveva trovato suo padre seduto in poltrona in salotto con lo sguardo fisso nel vuoto. Non lo riconosceva più, gli sembrava quasi diventato più piccolo e per un attimo aveva temuto che fosse successo il peggio, e che i suoi genitori non avessero avuto il coraggio di dirgli che David era morto. Di colpo si era sentito soffocare, ma proprio mentre era sul punto di scoppiare a piangere, il padre era emerso dal suo stato catatonico. Jeremy gli era salito sulle ginocchia e aveva sentito i suoi baffi raspargli la guancia. Quando gli aveva chiesto di David, suo padre aveva scosso il capo. "Guarirà", aveva risposto, "ma questo non mette fine alle preoccupazioni. Un genitore è sempre in ansia per suo figlio". "Ti preoccupi anche per me?" aveva domandato lui.
Il padre lo aveva stretto tra le braccia. "Certo, per tutti voi. E non finisce mai. Tu tî illudi che, quando i figli saranno arrivati a una certa età, potrai smettere di farlo, ma non è così" Jeremy stava ancora pensando a quell'episodio della sua infanzia mentre entrava in camera di Claire. Provò l'impulso di stringerla tra le braccia, anche se non sarebbe servito a scacciare gli incubi. Dormiva da un'ora e lui sapeva che era solo questione di tempo prima che si svegliasse urlando. Guardò il movimento regolare del suo petto che si alzava e si abbassava a ogni respiro. Per l'ennesima volta si chiese da che cosa dipendessero quegli incubi, quali immagini li scatenassero. Come tutti i bambini, lei stava crescendo a una velocità incredibile a livello fisico e mentale, aumentando la coordinazione, imparando a padroneggiare il linguaggio e la comunicazione non verbale, mettendo alla prova i propri limiti comportamentali e scoprendo le regole del mondo. Poiché non aveva un'esperienza di vita tale da essere ossessionata dalle angosce che tenevano svegli di notte gli adulti, lui presumeva che i suoi incubi fossero il prodotto di un'immaginazione ipersviluppata o dei tentativi della sua mente infantile di dare un senso alla complessità della realtà che la circondava. Ma in quale maniera ciò si manifestava nei suoi sogni? Vedeva dei mostri? Era inseguita da qualcosa di spaventoso? Jeremy non riusciva ad indovinarlo. La mente di un bambino era un mistero. A volte, tuttavia, gli veniva il dubbio di essere lui carente sotto qualche aspetto. Claire si rendeva conto di essere diversa dagli altri bambini? Si accorgeva che, quando andavano al parco, il suo spesso era l'unico padre presente? Si chiedeva perché tutti gli altri avessero una mamma e lei no? Jeremy però sapeva che non era colpa sua; non era colpa di nessuno. Si ripeteva spesso che quello era il risultato di una tragedia senza colpevoli, e un giorno avrebbe raccontato alla figlia di che cosa era fatto il suo incubo personale.
L'incubo di Jeremy si svolgeva sempre in un ospedale, ma per lui non era soltanto un sogno. Si avvicinò all'armadio in punta di piedi e aprì piano l'anta. Prese un giaccone da una gruccia, poi indugiò a guardarsi intorno, ricordando la sorpresa di Lexie quando aveva scoperto che lui aveva sistemato la stanza. Come Claire, anche quella cameretta nel frattempo era cambiata. Adesso era tinteggiata di giallo e rosa pastello; a metà delle pareti correva un fregio decorativo con un motivo di bambine vestite da angioletti. L'aveva scelto sua figlia, e si era seduta a gambe incrociate sul pavimento mentre Jeremy lo attaccava. Sopra il letto erano appesi due oggetti che gli erano molto cari. Quando Claire era neonata, aveva incaricato un fotografo di scattarle dei primi piani in bianco e nero. Alcune inquadrature mostravano i suoi piedini, altre le mani, altre ancora gli occhi, le orecchie, il naso. In seguito lui aveva messo insieme le foto creando dei collage e, tutte le volte che li vedeva, gli veniva in mente quanto lei gli sembrasse minuscola mentre la teneva in braccio. Nei primi tempi successivi alla nascita di Claire era stata Doris ad aiutarlo e anche sua madre si era fermata lì per insegnargli i primi rudimenti dell'arte di essere genitori: come cambiare i pannolini, preparare il latte in polvere, somministrare le medicine in modo che la bambina non le sputasse. Per Doris darle il latte aveva una funzione terapeutica e rimaneva a cullarla per ore dopo averla sfamata. A volte, a tarda sera, Jeremy sentiva le due donne che parlavano a bassa voce in cucina. Di tanto in tanto udiva Doris singhiozzare, mentre sua madre le mormorava parole di conforto. Cominciarono ad affezionarsi l'una all'altra e furono loro a impedirgli di sprofondare nell'autocommiserazione. Gli lasciavano del tempo per sé, assumendosi alcune incombenze,
ma insistevano perché anche lui facesse la sua parte, sebbene fosse distrutto dal dolore. Ed entrambe non smettevano mai di ricordargli che lui era il padre, e Claire una sua responsabilità. In questo erano molto simili. A poco a poco Jeremy fu costretto a imparare a prendersi cura della neonata e con il passare dei giorni il suo dolore si alleviò. Mentre prima lo accompagnava costantemente da quando si alzava a quando crollava sul letto la sera, adesso c'erano momenti in cui riusciva a dimenticarlo, semplicemente perché era assorbito nel compito di accudire la figlia. Ma il suo era un comportamento automatico e, quando arrivò il momento della partenza della madre, piombò nel panico all'idea di restare solo. Sua madre gli ripeté tutte le indicazioni almeno una decina di volte; lo tranquillizzò dicendogli che, nel caso avesse qualche dubbio, non doveva fare altro che telefonarle. Gli ricordò che Doris abitava a poca distanza e che, se c'erano dei problemi, poteva sempre rivolgersi al pediatra. Nonostante quelle rassicurazioni, lui la supplicò di fermarsi per qualche tempo ancora. "Non posso", gli rispose lei. "E poi, devi riuscire a cavartela per conto tuo. Claire dipende da te". La prima notte Jeremy non chiuse quasi occhio. La bambina dormiva nella culla accanto al suo letto e lui teneva sul comodino una torcia elettrica che accendeva ogni tanto per accertarsi che respirasse. Quando lei si svegliava piangendo, le dava il latte e le faceva fare il ruttino; la mattina seguente le fece il bagnetto e cu preso ancora dal panico quando la vide tremare dal freddo. Impiegò un sacco di tempo per vestirla, poi la adagiò su una coperta in salotto e rimase a guardarla sorseggiando il caffè. Pensò di lavorare quando lei si fosse riaddormentata, ma non ne ebbe la forza; pensò la stessa cosa quando Claire fece un secondo sonnellino, ma di nuovo non se la sentì. In quel primo periodo riuscì a malapena a rispondere alle
e-mail. Nel giro di qualche mese, però, imparò a gestire meglio la situazione. A poco a poco organizzò i propri impegni professionali tenendo conto di cambi, pasti, bagnetti e visite di controllo. Portò Claire a fare le vaccinazioni e telefonò al pediatra vedendo che la gamba le restava rossa e gonfia. La metteva in macchina sul seggiolino e andava con lei a fare la spesa o in chiesa. Presto Claire aveva cominciato a sorridere e gorgogliare; spesso allungava le dita verso il suo viso e Jeremy scoprì che poteva stare ore a osservarla, come lei faceva con lui. Le scattò centinaia di foto e Filmò il momento in cui si staccò dal tavolino e mosse i primi passi. Lentamente, l'uno dopo l'altro, arrivarono compleanni e vacanze. A mano a mano che cresceva, la personalità della bambina si sviluppava in maniera più marcata. A due anni vestiva solo di rosa, poi solo di blu e adesso, che ne aveva quattro, di rosso. Amava colorare con le matite, ma odiava dipingere. Il suo impermeabile preferito aveva un distintivo di Winnie Pooh sulla manica e lei lo portava anche quando splendeva il sole. Sceglieva cosa mettersi e si vestiva da sola, a parte allacciarsi le scarpe. Sapeva riconoscere quasi tutte le lettere dell'alfabeto. La sua collezione di DVD di cartoni animati occupava un intero scaffale e la sera, dopo il bagno, Jeremy le leggeva qualche storia prima di inginocchiarsi vicino a lei per recitare le preghiere. Ma, oltre alle gioie, la paternità riservava anche momenti di noia e il tempo a volte faceva strani scherzi. Volava non appena Jeremy metteva piede fuori casa, invece se stava seduto per terra a giocare con le Barbie o a colorare gli album da disegno sembrava non passare mai. A volte lui aveva l'impressione di poter fare di più nella sua vita, ma se ci rifletteva bene scopriva che non aveva nessun desiderio di cambiarla. Come sosteneva Lexie, Boone Creek era un posto ideale per un bambino e spesso lui andava con Claire da Herbs. Doris era
invecchiata, ma si mostrava sempre felicissima delle loro visite. Jeremy non riusciva a trattenere un sorriso ogni volta che vedeva una donna incinta entrare nel ristorante e chiedere di lei. Ormai le sue doti erano note in tutto il paese. Tre anni prima lui aveva finalmente accettato di occuparsi del taccuino di Doris e aveva organizzato un esperimento in laboratorio. In totale, lei aveva incontrato novantatré donne a cui aveva fatto la sua predizione e, quando alla fine erano stati analizzati i risultati, era saltato fuori che aveva sempre indovinato. In seguito Jeremy aveva scritto un piccolo libro su Doris che era rimasto in classifica per cinque mesi; nelle sue conclusioni, ammetteva che non esisteva una spiegazione scientifica per il fenomeno. Jeremy tornò in salotto. Posò il giaccone di Claire sulla sedia accanto alla sua giacca, poi andò alla finestra e scostò la tenda. Su un lato, quasi nascosto alla vista, c'era il giardino che lui e Lexie avevano creato quando si erano trasferiti lì. Gli capitava spesso di pensare a lei, soprattutto nelle notti tranquille come quella. Da quando se n'era andata, lui non era più uscito con nessuna donna, né lo desiderava. Uno dopo l'altro, amici e parenti gli avevano parlato della necessità di rifarsi una vita, e ogni volta la sua risposta era la stessa: era troppo impegnato a crescere Claire per prendere anche solo in considerazione l'idea di una nuova relazione. In parte era vero, ma quello che non diceva era che un pezzo di lui era morto con Lexie. Nella sua mente non se la ricordava mai come l'aveva vista l'ultima volta, là nel letto dell'ospedale, ma la vedeva sorridere come aveva fatto mentre guardava il panorama della città da Riker's Hill, oppure con l'aria felice e stupefatta di quando avevano sentito la bambina scalciare per la prima volta. Udiva ancora il suono contagioso della sua risata, oppure rivedeva la sua espressione concentrata mentre leggeva un libro. Lei era viva, era sempre viva, e Jeremy spesso si chiedeva
che cosa ne sarebbe stato di lui se non l'avesse incontrata. Si sarebbe comunque risposato? Sarebbe rimasto ad abitare a New York? Era impossibile saperlo, ma certe volte, guardandosi indietro, aveva l'impressione che la sua vera esistenza fosse cominciata solo cinque anni prima. Conservava appena un vago ricordo della persona che era stato prima di conoscerla. Nonostante tutto, non era infelice. Si sentiva soddisfatto dell'uomo e del padre che era diventato. Lexie aveva avuto ragione fin dal principio, perché ciò che dava senso alla sua vita era l'amore. I momenti che apprezzava di più erano quelli in cui Claire scendeva le scale la mattina mentre lui era seduto in cucina a leggere il giornale con una tazza di caffè. Il più delle volte lei aveva il pigiama tutto stropicciato, con una manica tirata su, la pancia scoperta, i calzoni girati, e i capelli neri le formavano una specie di criniera intorno al viso. Si fermava un istante, accecata dalla vivida luce proveniente dalla cucina, poi sbatteva le palpebre e si stropicciava gli occhi. "Ciao, papà", lo salutava con un filo di voce. "Ciao, tesoro", rispondeva Jeremy prendendola in braccio. Claire si rilassava contro il suo petto, la testa posata sulla spalla, le braccine intrecciate intorno al collo. "Ti voglio tanto bene", diceva lui sentendo i lievi movimenti del suo respiro. "Anch'io ti voglio bene, papà" In quei momenti lo struggeva il pensiero che lei non avesse mai conosciuto la mamma. Era ora. Jeremy si infilò la giacca e chiuse la zip. Poi entrò in camera di Claire con il giaccone, il cappello e i guanti per lei. Le posò una mano sulla schiena e sentì il battito veloce del suo cuore. "Claire, tesoro", mormorò, "svegliati" Le diede una scrollatina e lei girò la testa da una parte all'altra. "Andiamo, amore", disse, sollevandola facilmente con le
braccia, stupito come sempre di quanto fosse leggera. Ancora qualche anno, si disse, e non sarebbe più riuscito a farlo. Lei gemette piano. "Papà?" mormorò. Lui sorrise, pensando che era la bambina più bella del mondo. "É ora di andare" Con gli occhi ancora chiusi Claire rispose: "Va bene, papà" La fece sedere sul letto, le infilò gli stivali di gomma sopra il pigiama felpato e le tenne il giaccone sospeso dietro le spalle mentre lei infilava le braccia nelle maniche. Le mise guanti e cappello, poi la prese di nuovo in braccio. "Papà?" "Sì?" Lei sbadigliò. "Dove andiamo?" "A fare un giro", rispose Jeremy, trasportandola fino in salotto. Bilanciando il suo peso, si tastò la tasca per accertarsi di avere le chiavi. "In macchina?" "Sì" Claire si guardò intorno con quell'espressione di infantile confusione di cui lui era innamorato. Si girò verso la finestra. "Ma è ancora buio" "Lo so", rispose Jeremy. "E c'è anche la nebbia". Fuori l'aria era umida e frizzante, e la via deserta che passava davanti a casa loro sembrava immersa in una nuvola. Non si vedevano né luna né stelle, come se l'universo stesso fosse stato cancellato dal cielo. Jeremy spostò Claire sulle braccia per poter prendere le chiavi della macchina, poi aprì la portiera e la depose sul seggiolino. "Fa paura qui fuori", disse lei. "Come in Scooby-Doo". "É vero", ammise Jeremy, allacciandole la cintura. "Ma noi siamo al sicuro" "Sì", rispose Claire. "Ti voglio bene", aggiunse lui. "Lo sai quanto?" Lei roteò gli occhi come un'attrice consumata. "Più di tutti
i pesci nel mare e più alto della luna. Lo so". "Bene" "Fa freddo", dichiarò Claire. "Accenderò il riscaldamento non appena saremo partiti" "Andiamo dalla nonna?" "No. A quest'ora dorme. Andiamo in un posto speciale". Oltre il finestrino dell'auto le strade di Boone Creek erano silenziose e tutta la città sembrava addormentata. A parte qualche luce esterna, le case erano buie. Jeremy guidava piano, avanzando con cautela tra le colline ammantate di nebbia. Si fermò davanti al cancello del cimitero di Cedar Creek e tirò fuori una torcia dal cassetto del cruscotto. Slacciò il seggiolino di Claire e la prese per mano, dirigendosi con lei nel cimitero. Guardando l'ora, vide che era già passata mezzanotte, ma sapeva di avere ancora qualche minuto. Claire reggeva la torcia e, mentre camminavano, si sentiva il rumore delle foglie sotto i loro piedi. Con la nebbia era impossibile vedere più in là di qualche passo, ma lei aveva riconosciuto subito il posto. "Andiamo a trovare la mamma?" chiese. "Però hai dimenticato di prendere i fiori" Ogni volta che andavano lì mettevano dei fiori sulla tomba di Lexie, che era stata seppellita accanto ai genitori. Ci era voluta un'autorizzazione speciale, ma il sindaco Gherkin si era imposto ed era riuscito a ottenerla. Jeremy si fermò. "Aspetta e vedrai", disse. "Che cosa ci facciamo qui, allora?" Lui le strinse la mano. "Vedrai", ripeté. Continuarono a camminare per qualche istante in silenzio. "Possiamo controllare se i fiori ci sono ancora?" Jeremy sorrise, compiaciuto che lei non fosse spaventata di trovarsi in quel luogo nel cuore della notte. "Certo, tesoro". Da quando sua moglie era morta, lui si era recato al cimitero regolarmente almeno un paio di volte al mese, portando spesso la figlia con sé. Era lì che Claire aveva saputo di sua madre.
Jeremy le aveva raccontato delle loro gite sulla cima di Riker's Hill, le aveva spiegato che era stato proprio in quel cimitero che aveva capito di amarla, e che si era trasferito a Boone Creek perché non riusciva ad immaginarsi di vivere senza di lei. Parlava soprattutto per mantenere vivo il ricordo di Lexie nella sua mente e dubitava che Claire lo ascoltasse. Ma adesso la bambina conosceva quelle storie come se le avesse vissute. L'ultima volta lo aveva ascoltato in silenzio e, quando erano andati via, si era fatta pensierosa. "Vorrei che non fosse morta", aveva detto mentre tornavano verso la macchina. Era successo poco dopo il giorno del Ringraziamento e lui si chiedeva se ciò non avesse a che fare con i suoi incubi iniziati all'incirca un mese dopo. Avanzando a fatica nella notte fredda e nebbiosa, raggiunsero le tombe. Claire puntò la torcia verso le lapidi e Jeremy riuscì a leggere i nomi di James e di Claire; accanto c'era quello di Lexie Marsh e i fiori che loro avevano portato prima di Natale erano ancora lì. Dopo aver condotto Claire nel punto in cui lui e Lexie avevano visto le luci per la prima volta, si mise seduto e la fece salire sulle sue ginocchia. Ricordava quello che gli aveva raccontato la moglie sui suoi genitori e sugli incubi che l'avevano tormentata da piccola. Intuendo che stava per accadere qualcosa di speciale, la bambina rimase immobile. Era figlia di Lexie molto più di quanto lui immaginasse, perché quando le luci cominciarono a danzare nel cielo, la sentì appoggiarsi tranquillamente contro il suo torace. La nonna le aveva assicurato che gli spiriti esistevano davvero e lei guardava incantata lo spettacolo che avveniva davanti ai suoi occhi. Era solo una sensazione, ma mentre la stringeva a sé, Jeremy capì che Claire non avrebbe più avuto incubi. Sarebbero cessati quella notte stessa, e lei avrebbe potuto dormire in pace. Non era in grado di spiegare perché anche se la sua previsione in seguito si sarebbe rivelata esatta ma negli ultimi anni aveva imparato che la scienza non aveva tutte le risposte.
Come sempre le luci furono una visione celestiale, salivano e scendevano in maniera pirotecnica, e Jeremy ne rimase incantato quanto la figlia. Quella sera sembrarono indugiare un po più a lungo del solito e, nell'alone brillante, lui scorse il volto di Claire trasfigurato dall'emozione. "É la mamma?" chiese lei alla fine. La sua voce era simile al sussurro della brezza tra i rami. Jeremy sentì un nodo in gola. Nel silenzio della notte sembrava che non ci fosse nessun altro al mondo. Fece un profondo respiro, ricordando Lexie, convinto che lei fosse lì con loro, e che stesse sorridendo felice nel vedere che sua figlia e suo marito stavano bene insieme. "Sì", rispose, tenendola stretta. "Probabilmente voleva conoscerti" FINE.